giovedì 22 dicembre 2011

Il passaggio del testimone.


Ho discusso con mia figlia (23 anni – studentessa) del futuro suo e dei suoi coetanei.
Non ho molti riscontri, al di fuori di lei, con la generazione che si affaccia, come si dice, alla vita. Non ne ho molti perché, innanzitutto, le mie frequentazioni abituali avvengono in ambiti scarsamente frequentati da giovani.
Quando lavoravo, grazie al blocco delle assunzioni vigente da lunga pezza, i miei “giovani” colleghi partivano dai 35 anni, e non erano neanche numerosi.
Ora che sono in mobilità e che vivo in un paesello che, per dire, non ha neanche una piazza, un luogo di aggregazione anche spicciola, posso toccare con mano cosa significhi crescita zero. I giovani sono pochi e, come è tradizione, non scalpitano per interagire con un anziano rompiballe pronto, come ritengono, ad elargire perle di saggezza non richieste. Non mi sono chiuso in un mondo isolato, ho interessi e li coltivo, ma le occasioni di contatto rimangono limitate.
Quando mi capita di parlare con gli amici di mia figlia, mi rendo conto di venire ascoltato con cortesia, qualche volta li stupisco con posizioni quantomeno attente ai loro punti di vista, ma percepisco la loro sensazione di essere "altrove" rispetto a me. Niente di che. Ricordo benissimo quanto, a mia volta e in anni oramai remoti, ritenessi aliene le sensibilità che venivano manifestate dalle persone più anziane.
Scarseggiando i riscontri diretti, cerco di compensare con la lettura di saggi ed articoli di giornale e con l'ascolto di trasmissioni televisive e radiofoniche. Sia gli uni che le altre, però, sospetto siano un po' troppo mediate per rappresentare adeguatamente il pensiero giovanile. Va un po' meglio con la frequentazione del web dove, tuttavia, mi scontro con la mia estraneità a certi linguaggi. Nessuno ha detto che dovesse essere facile.
Ho già avuto modo di dire che il mondo che questi ragazzi devono imparare ad affrontare è diverso da quello della mia gioventù. Diverse le aspettative, gli scenari e, soprattutto, le potenzialità. Le ricette che noi possiamo suggerire non sono necessariamente valide. Noi però possiamo fornire testimonianza e credo che questa debba venire recepita ed elaborata.
Molte cose sono cambiate o sono inedite, ma spesso sono anche talmente vecchie da “sembrare” nuove, per cessata frequentazione.    E', questo, il maggior successo del marketing politico mistificatorio operato dal berlusconismo.
Prendiamo, per dire, la polemica sull'art. 18. Secondo mia figlia questa norma, impedendo i licenziamenti in caso di ristrutturazioni del ciclo produttivo (maggiore efficienza o migliori processi possono generare esuberi) ingessa il mondo del lavoro e comprime la dinamica delle assunzioni. Questa considerazione è, mi risulta, abbastanza condivisa anche da giovani genericamente orientati al progressismo. 
Posso anche concordare, in linea puramente teorica. Per usare un'espressione cara agli economisti liberisti, in un "mondo perfetto" una maggiore flessibilità dovrebbe andare a vantaggio di tutti. Naturalmente il mondo in cui viviamo non è per niente perfetto.
Mi si dice che il fenomeno della precarietà si è generato nel tentativo di superamento dell'art. 18 addebitandone, dunque, la responsabilità a quest'ultimo ed alla mentalità “conservatrice” del sindacato. Io, invece, chiedo: non è che il precariato è la concezione tendenziale di rapporto di lavoro così come la concepisce una classe imprenditoriale che predilige mani libere e rifugge da qualsiasi responsabilità? Il sindacato, come fenomeno, è storicamente legato al contrasto dello sfruttamento dei lavoratori da parte della classe padronale. Se il sindacato è conservatore, allora Marchionne – che vuole riportare l'orologio dei rapporti industriali agli inizi del Novecento – come può essere definito?
Quello che intendo dire ai ragazzi è questo:  se si ritiene di dover intervenire su fattori nevralgici come, appunto, l'art. 18 bisognerebbe pretendere sempre che tutti si assumessero la loro parte di compiti.     Certo se si aspetta la vigilia della catastrofe, diventa facile declinare l'equità alla maniera di Monti.
Ragazzi, ascoltate la nostra testimonianza.  Avete gli strumenti per elaborarla e farne buon uso. Però, per piacere, evitate i nostri errori. Del resto anche questi sono una forma di testimonianza.

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