sabato 10 ottobre 2015

A proposito di travi e pagliuzze.

Amare considerazioni si intrecciano sullo stato generale delle nostre “qualità” civiche, e ciò accade fin da molto prima di Tangentopoli e mentre precipitiamo verso fondali d'indecenza e corruzione morale a velocità sempre maggiori.

La situazione è veramente compromessa se ci ritroviamo a prendere atto di malcostume e furbizie così profondamente innestate nel vissuto di ciascuno da portarci a considerare di non potere, noi stessi, lanciare la proverbiale pietra di chi è
 senza peccato.

Il fatto è che ci sono, pragmaticamente, molte ottime ragioni per ogni nostro cedimento. Mantenere una linea di condotta retta è faticoso anche nelle situazioni migliori, perché richiede uno sforzo di coerenza non precisamente naturale. 

Solo che in un contesto di generale correttezza questo sforzo è un po' come l'alzarsi da una comoda poltrona; una volta in piedi muoversi non è molto più impegnativo, ma qui, in questa specie di marcio basso impero, da quella poltrona ti alzi solo per affrontare ardue salite, gravato dai pesi che dovrebbe portare qualcun altro ed esposto al pubblico ludibrio di chi si sente minacciato dai tuoi sforzi di essere meno censurabile di loro.

Ecco dunque che i migliori tracciano una linea sotto la quale non intendono andare e si attrezzano a faticosi compromessi per tutto ciò che non possono evitare, rinunciando a tutto il resto e vivendo insidiosi sensi di colpa per un malcostume che per altri è addirittura noiosamente virtuoso.

Ora, in questo bailamme di indecenza orgogliosamente rivendicata, i buoni principi servono solo a rinfacciare ad altri di non poter aprire bocca, come il borsaro nero che ti offre un po' della merce per poi poterti tenere a bada.

Marino non può parlare perché "ha rubato pure lui", che questo sia vero oppure no, come accerterà la magistratura, mentre cani e porci grufolano allegramente, ma nessuno può dirlo, perché tutti sono in qualche modo immerdati e vengono, con questa argomentazione, prontamente zittiti.

Ma anche se non sempre ho chiesto la fattura all'idraulico e talvolta sono stato meno rigoroso di quanto mi ero prefissato di essere, sono pur sempre uno che paga le tasse, che non ha brigato per farsi esentare dal servizio militare e che quando getta la spazzatura impiega tempo a selezionare accuratamente i tipi di plastica e a separare la carta riciclabile da quella irrecuperabile, che dà la precedenza ai pedoni sulle strisce, anche se altri automobilisti lo sfanculano e discettano sulle qualità morali delle donne della sua famiglia.

Dunque non sarò un angioletto, ma benedetto iddio mi sono lo stesso guadagnato il diritto di puntare un dito accusatore, e lo faccio perché, nonostante gli sforzi di corrotti e corruttori, i miei "quarti" di onestà sono lì, a dispetto di tutto quello che fanno per negarli.


Un contesto di onestà diffusa è pur sempre possibile, ma non può prescindere dal concorso di tutti ed ha bisogno di costante vigilanza, rigore, onestà intellettuale e assenza d'ipocrisia, come ben sanno i tedeschi che defenestrano ministri che hanno copiato la tesi, ma poi armeggiano con i test sulle emissioni delle automobili.



sabato 3 ottobre 2015

Chiunque incontri è tuo fratello, figlio, figlia (Don Gallo)

Leggo questo bell'articolo di Paolo Sassanelli, che ci ricorda che ciascuno di noi è stato, e in molti casi è ancora, lo "sporco negro" o il "terrone" nella considerazione di qualcun altro, e che dunque non abbiamo alcuna giustificazione quando assumiamo atteggiamenti di intolleranza e razzismo verso gente più sfortunata.

Sassanelli è stato un bambino "terrone" in una Milano che faticava ad includere i flussi migratori, pur riuscendo in questo meglio di altre città, ed il mio pensiero è corso ai miei ricordi di bambino "polentone".

Sono un "ragazzo del '54".  Ho frequentato la scuola elementare Tommaso Grossi, in via Monte Velino, a Porta Vittoria, in una Milano che non esiste più.   Il quartiere era in larga parte popolare, perlomeno nella zona dove abitavo, intorno a Piazza Martini/Piazza Insubria, con frange ben localizzate di relativo benessere; piccoli funzionari, qualche bottegaio ben avviato, qualche libero professionista di oneste, ma non cospicue, capacità.
Nella mia classe di 35 bambini (allora questa era la consistenza media e per non meno di 6-7 sezioni) c'erano tantissimi figli di facchini dell'Ortomercato, data la presenza nel quartiere di quella struttura.  

Nella mia qualità  di figlio di commesso di banca io navigavo, per dire,  nella fascia medio-alta della classifica di reddito, e il papà  del mio migliore amico non lo vedevo mai, perché  faceva la guardia notturna alla Montecatini.  Quando lui era sveglio, noi dormivamo.  

Quel signore era di Bitonto, e la moglie di Berceto, in provincia di Parma.  Sul nostro pianeŕottolo si affacciavano gli usci di casa di una famiglia mantovana, di una calorosissima famigliola di messinesi (la signora quando faceva i croccanti di sesamo e mandorle ne dava sempre un po' anche a me e mia sorella) e di una coppia di persone, estremamente riservate, di cui non sapevo nulla, tranne che erano nate altrove. 
Al piano di sopra abitava una signora palermitana simpaticamente sboccata, con grande scorno di mia nonna, e al piano di sotto una famiglia bergamasca.  Già allora i milanesi "autoctoni" erano in minoranza e, molto spesso, sposati con persone provenienti da ogni dove.

Girando per il quartiere si sentivano accenti e dialetti tra i più disparati e non voglio dire che mancassero gli attriti, dato che quando usi e costumi divergono anche una formula di cortesia può  divenire problematica, ma tutti trovavano un modus vivendi, più o meno efficace, e nel mio quartiere, che io sappia, l'orrido cartello "affittasi non  a meridionali" non è  mai comparso perché,  perlomeno allora, la fratellanza di classe aveva il sopravvento.   Purtroppo non posso dire la stessa cosa per altre zone della città.  


L'unico episodio di intolleranza di cui ho memoria nella mia infanzia provenne dalla nostra maestra chesciaguratamente,  riservò ad un nostro compagno appena giunto dalla Puglia un trattamento infame, che vidi poi replicato solo nelle miserrime pratiche del nonnismo militare.
Noi bambini, in un primo momento e per consonanza con la maestra, collaborammo con il dileggio, ma poi, piuttosto a disagio, smettemmo e so che molti genitori, venuti a conoscenza della cosa, protestarono vivacemente con il direttore della scuola.

Il razzismo è un modo di pensare apparentemente "ragionevole".  Prende tutti i problemi che possono verificarsi tra persone provenienti da ambiti diversi e, invece che cercare di individuare i punti di contatto, esalta le differenze e identifica immancabilmente nel processo di fusione tra culture che vengono a contatto un'azione ostile di conquista da parte "dell'intruso".  

Una volta passato il concetto, non vi è più alcuna necessità di comprendere le ragioni dell'altro, perché si tratta di un nemico, un pericoloso antagonista, e la faccenda risulta essere unicamente una lotta per la sopravvivenza nella quale non si fanno prigionieri.

Il razzismo di conseguenza si attrezza costruendo un arsenale di assiomi indimostrati e non negoziabili, la cui messa in discussione, come il più timido dubbio a riguardo, vengono prontamente e ferocemente bollati come inqualificabile tradimento.
La sua perpetuazione si articola principalmente nella riproposizione continua, spasmodica e martellante di radicatissimi pregiudizi.

Il razzismo dunque prospera nell'ignoranza, nella paura e nella meschinità e nessuno di noi ne è veramente immune, perché tutti abbiamo un pezzettino di umanità imperfetta e paure inespresse e corrosive.

Bisogna essere vigili e saper fare quel passo che supera il fossato, e tenere presente che proprio perché l'altro ti è fratello potrebbe, a sua volta, essere diffidente, dunque ti sarà richiesto essere paziente, oltre che fiducioso, così potrai trovare un abbraccio invece che un pugno serrato.


Un'ultima cosa.  Mia madre era francese di nascita perché  mio nonno, bergamasco del Lago d'Iseo, emigrò in Francia per sfuggire alla miseria che lo attanagliava.  Sono dunque nipote di migranti e figlio di una "straniera", non potrei mai angariare qualcuno solo perché nato altrove.