sabato 18 dicembre 2021

Ma quanto scrivi


Non mi sono mai adattato allo stile sintetico che, secondo alcuni, sarebbe l'unico accettabile e funzionale nel contesto "social".
Mia figlia in particolare, millennial da manuale, mi rimproverava spesso, in passato, per i miei "muri di parole", anche se ora si è ravveduta, fortunatamente, e spende il numero di parole necessarie quando, appunto, necessario.

Ho imparato molto precocemente che sforzarsi di mettere in forma articolata il proprio pensiero non è solo molto produttivo sul piano strettamente comunicativo, se decidono di ascoltarti ovviamente, ma anche molto efficace ai fini della comprensione intima delle tematiche sulle quali vai ad esprimerti.
I nostri pensieri ci appaiono infatti quasi sempre chiarissimi, chiusi nel nostro cervello, ma è un'intuizione il più delle volte fallace.

Mi sono accorto, ad un certo punto, che formalizzare le proprie idee, come se si dovesse comunicarle in forma di lettera ad un amico, obbliga i nostri pensieri sparsi ad assumere una propria organizzazione che fa emergere molto chiaramente contraddizioni o manchevolezze fino a quel momento non percepite, e che lo sforzo compositivo favorisce molto la loro risoluzione.

E vi sono anche altri vantaggi. Molto frequentemente, infatti, quello sforzo organizzativo propizia la "condensazione" di implicazioni fino a quel momento non percepite, ampliando la comprensione di processi e fornendo una maggior definizione di concetti, soluzioni e conseguenze.
E' poi nel momento nel quale si compone quella lettera immaginaria che emerge la convenienza di possedere un lessico adeguatamente ampio, perché la complessità delle idee deve potersi riflettere in un una corrispondente ampiezza del linguaggio.
L'utilità di questa pratica espositiva deve però essere completata dalla propria capacità e disposizione a leggere testi complessi, riservando la "telegraficità" alle poche occasioni che la giustificano.

Io ritengo che molti problemi, e non solo relazionali, che oggi ci affliggono derivino proprio dall'eccesso di stringatezza indotta dai canoni espositivi social, mutuati da un criterio sviluppato in un ambito pubblicitario che privilegia l'emozione rispetto alla razionalità, ma che rinuncia anche a svilupparla quell'emozione, sostituendola con calembour molto raramente geniali, e più frequentemente banali e costruiti su una mortificante convenzionalità, piuttosto superficiale, che privilegia una comunicazione implicita e scontata e che, perciò, necessita di una solida base di "pensiero unico", banalizzato e codificato.

Penso che un riflesso evidente di questo stato di cose sia individuabile nel successo di frasette fatte, che divengono frequentemente quegli intercalari ossessivamente ripetuti che infiorettano spesso il nostro eloquio ed i nostri post: "ma anche no", "chiedo per un amico", "tanta roba" e via elencando.
Tutte formule che potevano avere un loro significato, presto disperso e diluito nell'eccesso di utilizzo, con criteri modaioli e costanti spostamenti di significato, che le rendono un linguaggio simbolico comune... il più delle volte frainteso.

Mi piacerebbe poter verificare chi è arrivato fino a questo punto del mio componimento, probabilmente pochi, e tra di loro il più delle volte parenti ed amici, che mi conoscono e mi sopportano.
Comunque sia io continuerò ad essere prolisso perché, come ho scritto, se anche non comunico, perlomeno emergo dal cimento con le idee più chiare.