giovedì 25 giugno 2015

Due mondi che non si parlano

Io non sono per nulla propenso ad accreditare l'ambito religioso di eccessivo rigore. Non sono un teologo, ma mi pare che la millenaria e ricchissima produzione di testi e tesi religiosi sia un po' troppo spesso contorta e volta a giustificare fatti e motivazioni che il più delle volte non coincidono o che, meglio e assai più frequentemente, se non corretti dalla pesantissima mano misterica teologica, finirebbero col dimostrare esattamente il contrario di quanto si vorrebbe avvalorare.

Il procedere dialettico delle religioni, soprattutto quelle monoteistiche, bypassa allegramente il metodo scientifico (e perché no, essendo tra l'altro assai precedente a questo) e sistema tutto con verità "evidenti" e "rivelate", completando poi l'opera di contenimento residuale delle perplessità e della renitenza mediante dispositivi sanzionatori che arrivano fino all'ostracismo sociale o, in certi momenti storici, alla soppressione del dubitante, in quanto peccatore, o al suo supplizio.

C'è dunque un punto di non contatto esiziale tra i mondi laico e religioso. Semplicemente l'armamentario dialettico e il sistema di pensiero non coincidono e risultano pure incompatibili.
Tale incompatibilità può essere operativamente contenuta nei periodi "buoni", nei quali la reciproca sopportazione ha buon gioco, ma torna a esplicare tutta la sua virulenza non appena appare all'orizzonte un portatore di estremismo, dall'una o dall'altra parte, o non appena determinati equilibri sfumano.

Nel caso dell'intervento del neocatecuminale Kiko Arguello, nell'ambito della grottesca manifestazione del "family day" del 20 giugno, molto discussa in rete, credo che siamo nel secondo caso, che comunque rivitalizza immediatamente il primo.

Qualcuno mi ha rimproverato per la forte critica, espressa nella mia pagina FB, nei confronti della tesi sviluppata dall'oratore, sostenendo che il titolo dell'articolo che riportava il video dell'intervento fosse tendenzioso, ma quel titolo è una sintesi, e come molte sintesi è rozza e certo non può stare alla pari, quanto ad articolazione, con la sapiente cortina fumogena messa in piedi dall'oratore, cionondimeno io ritengo che abbia adeguatamente centrato il "succo" del messaggio.

Invitato ad una revisione del mio pensiero, mi sono sottoposto ad un vero esercizio di contrizione e, pur sapendo cosa mi aspettava, mi sono riascoltato tutto l'intervento. Una vera sofferenza. L'unica cosa che ho ricavato dal riascolto è una maggiore consapevolezza del salto logico grazie al quale si addossa la causa dell'omicidio, propiziato "naturalmente" dalla condizione di ateismo del peccatore, all'azione del diavolo il quale si avvale della maggiore "permeabilità" della donna alla lusinga demoniaca.

E' questa infatti che, abbandonando la famiglia (per andare con un'altra donna peraltro, ma si sa la manifestazione era contro la cosiddetta "ideologia gender") induce nell'uomo una coazione ad uccidere, con buona pace del libero arbitrio più volte citato nel discorso, ma mai correttamente focalizzato, a mio parere.

Questi sono i termini veri ed ultimativi del confronto dialettico tra i due mondi. A mio avviso l'incompatibilità, una volta esaurito il terreno comune di un'etica comunque condivisa nei suoi aspetti più basilari, può essere trattata esclusivamente sulla base di una adeguata e funzionante separazione tra ambiti di intervento e pertinenza.

Da questo punto di vista siamo assai arretrati, a dispetto infatti del dettato costituzionale noi viviamo per troppi aspetti in uno stato funzionalmente confessionale.