giovedì 22 febbraio 2018

Come muore una democrazia.


Mancano, al momento in cui scrivo, esattamente dieci giorni al 4 marzo 2018, data alla quale saremo chiamati a votare per il rinnovo del Parlamento, e tutti i segnali ci dicono che andremo incontro ad uno stallo istituzionale che potrà essere risolto solo in due modi: ritornando alle urne, magari dopo aver promulgato una legge elettorale meno indecente del Rosatellum, oppure ricorrendo a qualche Große Koalition all’amatriciana, indecente e innaturale.
Ho già espresso in maniera articolata le mie considerazioni circa il fatto che il partito italiano e la coalizione che si assicureranno i risultati elettorali più lusinghieri, M5S e centrodestra rispettivamente, valgono, una volta sommati assieme, esattamente quanto il numero di elettori che si asterranno o deporranno una scheda bianca nell’urna.
La politica italiana è ormai permanentemente scollata da gran parte del popolo - 34% - che dovrebbe rappresentare, a certificazione dello stato comatoso della democrazia nel nostro paese e del fallimento del sistema nella sua globalità.
Un mio amico e collega, acceso sostenitore di M5S, sostiene che 
“i non votanti coscienti come te di quel 34% pesano circa il 15, ma essendo abbondanti, quindi cala trinchetto che l'astensione pesa, ma non pesa quello che dici tu. Gli altri non hanno quasi mai votato, ma non perché non sanno chi votare, ma perché, semplicemente, non gliene fotte nulla e credo che sia davvero un bene che non votino”.
Capisco come, essendo M5S al momento accreditato quale primo partito italiano tra quelli che verranno votati, al mio amico non interessi prendere atto del disastro civico che ci riguarda, salvo poi prendersela con i rincoglioniti che non votando defrauderanno il Movimento della immancabile vittoria, ma una semplice occhiatina ai dati storici sull’astensione racconta una storia differente, come si evince dall’immagine qui sotto.


Negli anni dal 1948 al 1979 la consistenza fisiologica dell’astensione, sostanzialmente composta da persone disinteressate alla politica e all’esercizio di una cittadinanza attiva, si è sempre mantenuta tra il 6 ed il 7%.
Quel livello comincia ad aumentare dopo la famosa intervista del 1981 a Berlinguer sulla Questione Morale, sunteggiata dall’affermazione che 
“i partiti non fanno più politica, hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia”.
Alle successive elezioni del 1983 quel dato si porta a poco meno del 12%, per poi aumentare in corrispondenza dello scandalo di Mani Pulite e non fermarsi più, impennandosi logaritmicamente dopo il bunga-bunga, le nipoti di Mubarak, il diffondersi della corruzione, la crisi, il tradimento del PD nei confronti della sua base elettorale e la supina accettazione di ogni diktat europeo.
Il corpo elettorale, nel corso di settantadue anni di storia repubblicana, è aumentato dell’83,18%, il numero di votanti del 35,72%, quello degli astenuti del
470,33%.

Anche ammettendo che il mio amico abbia ragione, e che dunque poco meno di 9 milioni di italiani se ne fottano, a me pare che alla cosa dovrebbe essere posto riparo urgentemente, recuperandoli ad una cittadinanza attiva che non può che passare dalla ricostruzione di una credibilità da troppo tempo scomparsa.
I problemi del paese sono grandi, e le prospettive, nonostante la propaganda del PD e l’accorta manipolazione dei dati statistici, non sono buone, anche perché il modello gestionale è immancabilmente quello neoliberista, più o meno temperato da risvolti semi-assistenziali o privilegi accortamente distribuiti, e siamo ancora lontani dalla feccia del proverbiale amaro calice.
Ci sono milioni di persone che faticano ad arrivare alla fine del mese, milioni di giovani che non possono mettere in piedi un progetto di vita, e tutti hanno la prospettiva di una vecchiaia di indigenza e lavoro gramo, se saranno fortunati, protratto fino al giorno della loro dipartita, in una società disgregata dove ci si arrampicherà sui corpi dei meno fortunati per prolungare un’esistenza tormentosa.
Togliere loro la sensazione di ineluttabilità, di condanna, che pesa sul loro capo come un macigno è l’unica cosa che li scuoterebbe dalla loro sfiducia.
Tutti i partiti pensano di farlo, ma i risultati dicono che si sbagliano!


lunedì 19 febbraio 2018

Vota Antonio, vota Antonio, vota Antonio!




Si avvicina, a grandi passi, la tornata delle elezioni politiche del 4 marzo 2018, alla fine di una delle più squallide campagne elettorali di cui ho memoria nei miei quasi sessantaquattro anni di vita.

Sono settimane che manifesto la mia totale sfiducia nei confronti di ogni singola proposta politica tra quelle che si affannano, in un florilegio di promesse ridicole e programmi velleitari, a contendersi il favore elettorale, e così, per la prima volta da quando ho la facoltà di esercitare il mio diritto di voto, mi trovo a valutare seriamente la possibilità di non votare per alcun partito.

E' una decisione che mi angustia profondamente, dato che sono cresciuto disdegnando l'astensione quale esercizio di qualunquismo, ma credo che in questo passaggio noi si sia di fronte ad un fenomeno mai prima verificatosi con pari consistenza nella nostra storia repubblicana, ovvero il continuo incremento del numero di elettori che non si vede rappresentato da alcuna formazione politica.

Ho dunque fatto i miei compitini ed ho trascritto i sondaggi del 16 febbraio 2018, gli ultimi pubblicabili prima del silenzio pre-elettorale, rilasciati da EMG per conto del TG La7, in un foglio elettronico, e li ho elaborati tramutando le percentuali in numero di elettori.

Esaminando il risultato delle mie fatiche è emerso qualcosa di più del dato, sottolineato da Masia e Mentana, che vede nei probabili esiti elettorali un sostanziale stallo, con una quota di indecisi - 12,3% del campione, ovvero 6,5 milioni di elettori - che getta sul tutto la stessa aleatorietà di un lancio di dadi.

Una delle cose che non vengono colte quando si leggono i sondaggi è che le percentuali  riferite ai partiti sono sempre relative agli intervistati che esprimono un'intenzione di voto positiva, col risultato che sommando tutti i risultati, partiti + indecisi + astenuti/scheda bianca, emergono dei totali eccedenti il 100%, nel nostro caso il 146,3%.

In realtà se si rielaborano i dati confrontandoli con l'intero campione quelle percentuali cambiano drammaticamente, tanto che M5S, il partito che con il 27,1% risulta primo nei sondaggi, corrisponde ad un meno entusiasmante 14,55% del corpo elettorale, così come la coalizione in testa a tutti, il Centrodestra, slitta da un grandioso 37,5% ad un più modesto 20,14%.

Alla luce di questa analisi, con i dati riferiti all'intero corpo elettorale, emerge chiaramente che il primo partito italiano è in realtà quello dell'astensione, che mette a segno un terrificante 31,9% (34% aggiungendovi le schede bianche), ovvero un terzo dell'elettorato, molto più del doppio di M5S, quasi tre volte il PD e quattro volte FI.

Anche prendendo in considerazione le coalizioni vediamo che l'astensione mette a segno uno scarto di circa 7 milioni di elettori in più rispetto al centrodestra, scarto che corrisponde alla consistenza sia del centrosinistra che di M5Ssopravanzati ciascuno di circa 10 milioni di voti. 

Si tratta di sondaggi chiaramente, e negli ultimi tempi gli istituti demoscopici non hanno certo brillato, complice la consistenza abnorme della quota di indecisi, ma se può risultare aleatorio cercare ora di strologare chi conseguirà più voti,
non mi pare possano esistere molti dubbi sulla scarsa capacità della politica italiana di rappresentare le istanze della maggioranza degli elettori.
Questo aspetto rende, tra l'altro, irricevibili le considerazioni circa il fatto che chi si astiene ha torto.   Io, posso sbagliare.  In centomila possiamo appartenere al popolo di qualunquisti che non si interessano di politica, ma 17 milioni di elettori non possono aver torto, sono troppi, e se hanno torto allora ancor più sbagliano i partiti politici, che non riescono ad intercettare la loro fiducia e ad interpretarne le istanze.

Non sono in grado di dire cosa accadrà dal 5 marzo in avanti, ma certamente avremo un Parlamento:

  • eletto con una legge che molto difficilmente passerà indenne dall'esame della Corte Costituzionale;
  • rappresentante a malapena una minoranza dispersa dell'elettorato italiano;
  • pronto alle aggregazioni più indecenti.
In una parola: un disastro.