sabato 28 gennaio 2012

Disturbiamo il manovratore


Ho deciso di rielaborare il testo del mio post “La misura è colma” del 25/01/12 per redigere una mail da indirizzare alle massime cariche dello stato, ai segretari dei maggiori partiti ed ai segretari dei sindacati confederali.
L'ho poi inviata e, per farlo, ho dovuto diversificare le modalità d’inoltro perché, in alcuni casi, è stato necessario ricorrere ai form reperibili all’interno dei siti, istituzionali o di organizzazione, riconducibili ai destinatari.
In passato ho utilizzato indirizzi di posta elettronica reperiti fortunosamente ed ho fondati motivi per ritenere di aver fallito nel comunicare.
Ho quindi optato per questa modalità, più macchinosa – bisogna ripetere generalità, casella di posta ed incollare il testo - e certamente più fastidiosa, perché volevo essere sicuro che il messaggio venisse effettivamente recapitato, ed ho utilizzato indirizzi di posta elettronica solo se indicati esplicitamente dai siti nelle sezioni “contatti” o quando i form, per qualche ragione, sono risultati non funzionanti o non adeguati, come nel caso del Senato.
Perché questa lunga premessa? Semplice, poiché ritengo fondamentale che in tempi di personale politico nominato, e non scelto, la nostra voce salga fino in cima, intendo proporvi, eventuali lettori di questo post, di valutare la possibilità di inoltrare a vostra volta la mail, così come è o, se lo riterrete opportuno, modificata secondo i vostri desideri o anche completamente differente, qualora riteniate di non essere rappresentati da quanto scrivo.
L'importante, secondo me, è comunicare a chi detiene le leve del potere che siamo depositari di aspirazioni, aspettative, esigenze ed istanze precise, ma soprattutto che esistiamo e che dobbiamo essere considerati.
Vi chiedo anche di proporre, a vostra volta, questa iniziativa ad amici e conoscenti.
Potreste anche ritenere sufficiente rivolgervi solo ad alcuni dei destinatari, lo ritengo meno efficace, ma è un'opinione personale.
L'attività che vi chiedo di svolgere è noiosa, pesante e scoraggiante e ciò senz'altro non è per caso. Il manovratore, evidentemente, non vuole essere disturbato. Valutate voi se è il caso di fare questo piccolo sacrificio.

  • per scrivere al Presidente della Repubblica: https://servizi.quirinale.it/webmail/

  • per scrivere al Presidente della Camera: http://presidente.camera.it/760

  • Per scrivere ai segretari di partito, che sono tutti deputati, bisogna andare sul sito della Camera - http://www.camera.it/28 – selezionare il deputato dal menù a tendina e poi cliccare su “vai alla scheda del deputato”. Andrete a finire su di un pannello dove sarà presente un tasto virtuale “scrivi” da cliccare a sua volta.




I restanti destinatari potranno essere raggiunti con la vostra posta elettronica abituale ai seguenti indirizzi:

Ecco la mail che ho inviato e che vi propongo:

Oggetto: Liberalizzazioni

Ill.mo Sig. Presidente della Repubblica
Ill.mo Sig. Presidente del Senato
Ill.mo Sig. Presidente della Camera dei Deputati
Ill.mo Sig. Presidente del Consiglio dei Ministri
Egr. Sig. Segretario del Partito Democratico
Egr. Sig. Segretario del Popolo della Libertà
Egr. Sig. Segretario di Italia dei Valori
Egr. Sig. Segretario della Unione dei Democratici Cristiani e di Centro
Egr. Sig. Segretario della Lega Nord Padania
Gentile Sig.ra Segretario della CGIL
Egr. Sig. Segretario della CISL
Egr. Sig. Segretario della UIL

ai loro recapiti di posta elettronica o per il tramite dei siti istituzionali o di organizzazione

Il governo tecnico attualmente in carica si è insediato, come noto, con il compito di trarre il paese dalle secche di una perniciosa decadenza economica e strutturale.
Era a tutti evidente che non si trattava di elaborare aggiustamenti, applicare pannicelli caldi o varare manovrine di facciata, era anzi più corretto rievocare le lacrime, il sudore, la fatica ed il sangue di churcilliana memoria.
I lavoratori dipendenti ed i pensionati (quantitativamente la parte più rilevante della nazione) sono stati precettati immediatamente e con le brusche, per di più. Costoro, nonostante la consapevolezza di essere stati già in passato chiamati a patire rinunce e di averlo fatto ripetutamente, a fondo perso e senza ricevere vantaggi commisurati, pur elevando le proprie più che giustificate rimostranze, hanno dimostrato di possedere un grado elevatissimo di responsabilità ed hanno aderito ad una vera e propria chiamata all'opera di risanamento nazionale.
L'hanno fatto, dopo una breve mobilitazione sindacale, avente più che altro il significato di una testimonianza, senza porre clausole vessatorie e senza pretendere garanzie
L'hanno fatto pur nella consapevolezza di non essere i maggiori responsabili dello sfascio attuale.
L'hanno fatto pur avendo ogni ragione di temere il ripetersi, nella prossima trattativa sul lavoro, dello stesso schema di aprioristica rinuncia a diritti faticosamente conquistati.
L'hanno fatto, infine, direi patriotticamente e prendendo per buone semplici promesse, come quelle relative ad una maggiore equità, confidando nell'instaurazione di un contesto politico più credibile e nonostante la persistenza di un parlamento oramai asincrono rispetto alla situazione ed alla volontà popolare.
Ora che si tratta di intervenire anche su coloro che, spesso, si sono sottratti ai loro doveri civici, che non hanno adempiuto ai loro doveri fiscali, che prosperano al riparo di privilegi irragionevoli, di monopoli di fatto, di medioevali gilde corporative, non è possibile assistere ai ricatti ed alle pretestuose argomentazioni di questi renitenti alla responsabilità nazionale senza provare un profondo senso di disgusto e senza sentire una furia incandescente montare nel proprio animo.
Vedete bene di riservare anche a questi incivili le stesse brusche maniere che ci avete riservato.
Vorrei che fosse per tutti chiara una cosa. Questa volta non potrà andare a finire come al solito. Chi ha sempre fatto la propria parte, con scarso vantaggio e nessun riconoscimento, questa volta è prossimo al tracollo e, come tutti quelli che hanno poco da perdere, diviene estremamente reattivo e portato ad inquietarsi parecchio.
Questa volta non abbiamo dato a fondo perso, abbiamo investito le nostre ultime sostanze e vogliamo vedere un adeguato ritorno.
Ringrazio tutti Voi per l'attenzione che avrete ritenuto di potermi dedicare e Vi auguro un buon lavoro.

nominativo del mittente



mercoledì 25 gennaio 2012

La misura è colma


Un vecchio proverbio, tedesco mi pare, dice grosso modo che “chi guarda gli alberi non vede la foresta”; profondo e contemporaneamente banale, come tutti i proverbi.
Sta di fatto che, distratti dai lanci giornalistici e coinvolti nelle aspre dispute che infiammano il dibattito politico, rischiamo di perdere la visione d'insieme e di non capire che sta svolgendosi il tipico teatrino mistificante dei soliti, e noti, “furbetti”.

A posteriori, non appena il tempo avrà aggiunto un po' di distanza, si vedrà più chiaramente di quanto non appaia ora chi, nel nostro sciagurato paese, è animato dal senso civico e del dovere.
Si prenderà atto di chi pur protestando accetta, ancora una volta, di rinunciare a sacrosanti diritti - pagati nel corso di una vita con rinunce, lotte e sudati guadagni - in nome dell'emergenza di cui, peraltro, non porta neanche la principale responsabilità.

Altrettanto nitidamente spiccherà chi, già tradizionalmente abbarbicato a privilegi irragionevoli e chiuso nel recinto della propria gilda corporativa, ritiene di poter continuare ad imporre monopoli di fatto, cartelli e protezionismi asfissianti.
Verranno, retrospettivamente, inchiodati alle loro responsabilità coloro che senza adempiere adeguatamente ai propri obblighi fiscali, reclamano servizi per i quali non hanno pagato e che anzi hanno sottratto a chi, più fragile, ne avrebbe avuto maggior diritto.

Tutto ciò sarà chiarissimo, ma è lampante già da ora, se riuscite a superare le ciniche manovre di “distrazione di massa” messe in atto dai renitenti alla cittadinanza responsabile.

Il governo tecnico si è insediato con il compito di trarre il paese dalle secche di una perniciosa decadenza economica e strutturale, un vero e proprio “bacio della morte”.
Non si trattava di elaborare aggiustamenti, pannicelli caldi o manovrine di facciata.
Si trattava di lacrime, sudore e sangue di churcilliana memoria.
I lavoratori dipendenti ed i pensionati (quantitativamente la parte più rilevante della nazione) sono stati precettati immediatamente e con le brusche, per di più.
Certo che hanno protestato, visto il rospo da ingoiare.
Naturale che abbiano fatto presente che avevano già dato, peraltro spesso a fondo perso e senza ricevere vantaggi commisurati.
Chiaro che hanno accettato di fare la propria parte senza ricatti, rivolte e minacce all'ordine pubblico, come sempre.

Adesso è venuto il turno dei petrolieri che, misteriosamente, non riescono a differenziare che di pochi millesimi il prezzo alla pompa tra le varie compagnie, che reagiscono come ghepardi all'aumento del greggio e come bradipi al suo ribasso, che ricattano i gestori e li incatenano alle proprie politiche commerciali.
E' la volta delle ferrovie che abbandonano il traffico pendolare e che disorganizzano subdolamente i collegamenti interregionali, per dichiararli improduttivi, e scodellano sostitutive Frecce Rosse costosissime e parcellizzate in classi esclusive.
Tocca ora alle banche che, come i petrolieri, sono singolarmente allineate nell'offerta commerciale, che pretendono depositi, li remunerano poco e male e non adempiono alla loro funzione principale, l'erogazione del credito.
E' il turno dei notai, imprescindibili, costosi e territorialmente contingentati; professione chiusa per antonomasia.
Tocca alla pletora di professioni e mestieri dediti alla mimesi fiscale ed alle prestazioni, più o meno approssimative, accompagnate dalla rituale formula  di “80 senza e 100 con”.

Tocca a tutti costoro o, meglio, toccherebbe.
I grossi (banche, petrolieri, ferrovie ecc. ecc.) hanno già azionato le loro liaison e da consumati volponi, senza eccessivo clamore, hanno già strappato differimenti e conferimenti ad authority, presenti o future, dove non disperano di poter edulcorare o depotenziare i decreti governativi.
I piccoli (professionisti, farmacisti, autotrasportatori e tassisti e via elencando), chi più chi meno, si sbragano e minacciano di paralizzare il paese. Ma come, non erano i flagellatori dell'eccessivo ricorso allo strumento dello sciopero?
Il problema è che in Italia il pensiero scientifico, con il conseguente rigore, è negletto. E' troppo impegnativo. C'è il rischio di dover essere coerenti.
Il nostro è un paese di avvocaticchi. La verità assoluta non esiste, esiste solo la propria tesi contingente. Così quello che tu fai costituisce una prevaricazione, mentre per me è un sacrosanto diritto, o viceversa. Dipende dall'immediato tornaconto.

Vorrei dire solo una cosa al governo ed ai politici.   Vedete bene di riservare anche a questi incivili mantenuti le stesse brusche maniere che ci avete riservato.    
Questa volta non potrà andare a finire come al solito. Chi ha sempre fatto la propria parte, con scarso vantaggio e nessun riconoscimento, questa volta è prossimo al tracollo e, come tutti quelli che hanno poco da perdere, diviene estremamente reattivo e portato ad incazzarsi parecchio.
Questa volta non abbiamo dato a fondo perso, abbiamo investito le nostre ultime sostanze e vogliamo vedere un adeguato ritorno. 
Avete capito PERDIO?

domenica 22 gennaio 2012

L'evoluzione come antidoto alla decadenza



Riporto, di seguito, il testo della mail che ho oggi inviato al Dott. De Nicola tramite la casella di posta della Adam Smith Society, che lo stesso presiede, e per  conoscenza al Dott. Caldarola utilizzando, in questo caso, la casella di posta de l`Inkiesta, il giornale on line su cui conduce una rubrica.

Egregio Dott. De Nicola,
la informo, innanzi tutto, che questa mia mail verrà riportata anche sul blog al quale affido i miei pensieri. E' un ambito del tutto ininfluente e con pochi frequentatori, ma è pur sempre un ambito pubblico e ritengo giusto che Lei ne sia a conoscenza.
Seguo abitualmente Omnibus, su La7, ed ho, di conseguenza, l'opportunità di ascoltare le Sue enunciazioni riguardo ai temi economici e le Sue valutazioni in merito ai fenomeni che ci investono. 
Pur apprezzando la Sua urbanità, Le confesso che, per storia personale e per personale convincimento, non riesco ad apprezzare le posizioni di cui Lei si fa interprete.
Non sono un economista e la mia conoscenza in materia deriva da disordinate letture e da una non troppo prolungata esperienza come gestore imprese in una grande banca (dove ho svolto una molto più estesa attività in compiti operativi prima e di supporto informatico poi). 
Mi rendo conto, dunque, di abusare della sua pazienza, ma confido nella Sua evidente urbanità per esternarLe un mio pensiero.
Nella puntata odierna di Omnibus ho seguito lo scambio di considerazioni tra di Lei ed il Dott. Caldarola in merito alla fluttuazione percentuale, per così dire, dell'influenza dello stato rispetto a quella del mercato, nel corso degli anni ed all'interno di vari stati.
Il Dott. Caldarola, mi sembra, sosteneva che si è andata maturando nel tempo, e sempre più urgentemente, la considerazione che è più conveniente inglobare, in una concezione organica della conduzione dell'economia e dello sviluppo della società, il contributo sistematico dello stato.
La convenienza, ritengo, risulterebbe dalla maggiore vocazione ed interesse di quest'ultimo ad amministrare prospetticamente lo sviluppo, le scelte strategiche sociali ed il potenziamento delle infrastrutture. 
A mio modesto avviso questa, più che una nuova concezione, è una rivitalizzazione di una visione socialdemocratica di stampo nord europeo che riscuote, per inciso, il mio profondo gradimento.
Il Dott. Caldarola rinforzava le sue argomentazioni riportando gli esempi del Brasile e della Cina Popolare, al che Lei obiettava, coerentemente e con buona ragione, che in questi due paesi il processo, semmai, ha riguardato l'arretramento dello stato a favore del mercato.
Se mi posso permettere, quest'ultima considerazione può anche corroborare valutazioni differenti da quelle che Lei esprime.
Io ritengo che la dottrina e, soprattutto, la pratica liberista abbiano teorizzato come adeguato ed ineluttabile un modello funzionale economico sostanzialmente inefficiente, un vero e proprio fenomeno entropico. 
Un ciclo che, immutabilmente, si sviluppa per un certo lasso di tempo e si conclude, all'esaurimento della sua propulsione, in un collasso funzionale la cui gravità viene ritenuta ininfluente (e sminuita dai successi precedenti) ed a cui si ritiene di poter porre rimedio ricominciando altrove. 
Ci si comporta come cavallette piuttosto che come contadini che perseguono la sostenibilità del proprio ciclo vitale.
La pratica liberista ha sempre raccolto i frutti delle fasi iniziali e lasciato allo stato la gestione delle conseguenze negative di questo ciclo che, tra l'altro, diviene sempre più corto e meno performante, a testimonianza dell'esaurimento della sua vitalità.
Credo che sia giunto il momento di ridiscutere e fissare le quote di partecipazione ed i ruoli delle due entità nella conduzione dei fenomeni economici. 
Credo anche che questa necessità si sia resa indiscutibile alla luce del fatto che, a differenza di quanto si verificava nel diciottesimo secolo, non vi sono più frontiere da superare, perlomeno a costi sostenibili. Ciò fa si che la tattica di spostare altrove l'azione, mancando nuovi territori e luoghi fisici, si trasformi nella decadente pratica della postulazione di luoghi virtuali. 
Una pratica scellerata la quale, mi sembra, si sostanzi nella prevalenza della finanza più astratta e cinica a discapito dell'economia produttiva.
In una competizione tra la dottrina economica liberista e quella marxista, unico competitore sotterrato nel frattempo dal verdetto della storia, credo che il liberismo possa essere dichiarato vincitore solo in quanto unico sopravvissuto.
Troppo poco.
Mi sembra, in altre parole, che mai come ora l'umanità necessiti di una nuova teoria economica, che consenta il superamento di quelle fin qui attuate e affronti con rinnovato spirito vitale le grandi incognite, sociali ed ambientali, che già ci hanno investiti.
La ringrazio anticipatamente per l'attenzione che riterrà di poter rivolgere a queste considerazioni e Le auguro un buon lavoro.

lunedì 16 gennaio 2012

E allora ditelo!!


E così, proprio all'indomani di un breve periodo di incoraggianti segnali di cambiamento (il raid di Cortina, un serio recupero del decoro nella comunicazione politica, gli annunciati piedi nel piatto di professionisti, corporazioni e – speriamo – banche ed assicurazioni), proprio quando la gente, esasperata ma straordinariamente responsabile, cominciava a maturare la convinzione che, pur pagando un prezzo salato, qualcosa si avviava verso il cambiamento (e miglioramento), nell'esatto momento in cui mercati e partners mostravano di apprezzare la straordinaria volontà di recupero italiana, ebbene proprio allora sono arrivati tre colpi carogna, dritti sotto la cintura, a colpire quelli che la Litizzetto chiama “gli amici di Maria”.

Colpo n.1
La consulta dichiara non ammissibili i referendum abrogativi dell'attuale legge elettorale.
Non che tale esito fosse del tutto inatteso. Fin dal primo momento era stata ventilata la possibilità che i giudici della Consulta potessero giudicare il primo quesito – abrogazione totale del “Porcellum” - non ricevibile, perché la sua omologazione avrebbe lasciato l'ordinamento del tutto privo di una legge elettorale (un'eventualità pericolosa e folle). 
Il secondo quesito – abrogazione delle variazioni al “Mattarellum” che hanno generato l'attuale legge elettorale – a sua volta veniva giudicato di problematica ammissibilità per questioni legate al premio di maggioranza. Per sapere esattamente le motivazioni della sentenza bisognerà attendere la sua pubblicazione che, molto probabilmente, confermerà le ipotesi di cui sopra; nel frattempo eccoci qui a valutare le conseguenze.
Si potrebbe obiettare che, vista la previsione, concepire i referendum in quel modo è stato quantomeno improvvido. Sarà anche vero, ma provate voi a creare un quesito, su di una materia così arcanamente tecnica, in grado di essere compreso, univocamente interpretato ed efficacemente condiviso dalla gente comune, quella che nella vita si occupa di tutt'altro e che, come me per esempio, ha violente reazioni allergiche tutte le volte che legge un testo in “legalese”. 
E comunque qui quello che conta è che l'azione del comitato referendario ha raccolto una quantità straordinaria di firme, vale a dire di consenso, tale da testimoniare l'indubbia ostilità della popolazione italiana verso l'attuale legge elettorale e da far ipotizzare la sua abrogazione a colpo sicuro, se i referendum fossero stati accettati. 
Può la classe politica ignorare una tale direttiva, proveniente da gente sempre più insofferente e con le spalle al muro? Certo é che si proverà a farlo. Tocca a noi farci sentire forte e chiaro. Investiamo un po' del nostro tempo e scriviamo, in massa e magari collettivamente (gruppi Facebook e quant'altro), alle cariche istituzionali, ai partiti ed ai sindacati. 
Esigiamo che chi pretende di rappresentarci lo faccia effettivamente. Va bene lamentarci, tra di noi, dell'incapacità dei nostri rappresentanti, ma vediamo di essere anche rompiballe, altrimenti la colpa è anche nostra!

Colpo n.2
La Camera non concede il nulla-osta all'incarcerazione dell'on. Cosentino.
Qui l'esito, fino alla vigilia del voto, appariva un po' meno scontato. Forse l'intuizione di un possibile cambiamento nel Paese ci aveva fatto indossare lenti rosate che ci hanno indotto ad un ottimismo prematuro.
Qui non intendo, sia chiaro, disquisire su valutazioni relative all'operato dell'on. Cosentino; è materia della magistratura ed io non ho titolo alcuno, né sono adeguatamente informato dei fatti, per entrarci legittimamente. Ho un'opinione, naturalmente, ma è personale e del tutto ininfluente.
Le mie critiche, semmai, riguardano il processo di elaborazione e le motivazioni del voto espresso dalla Camera. Di tutto hanno parlato questi non-rappresentanti.   Li chiamo così per via del sistema, praticamente leninista, di individuazione del deputato/a, nominato dal “capo” e ratificato da un elettore che, così, può scegliere tra il caso A ed il caso A (come Ancora lui/lei). 
Effettivamente un sistema molto simile era alla base della formazione della Duma sovietica. Dipenderà dal fatto che la coalizione politica che ha patrocinato la vigente legge elettorale si avvale di consiglieri, selezionati tra il fior fiore di una schiera di ex-comunisti, romanticamente fedeli alla pratica del centralismo democratico?   La buona qualità del personale politico che ne risulta, comunque, è spesso incidentale.
Sta di fatto che l'istituzione, invece di votare sull'unico aspetto che le competeva, la presenza del cosiddetto fumus persecutionis, ha disquisito a lungo, con motivazioni e tesi prevalentemente ipocrite e di natura tattica, di tutt'altro.
L'impudica esibizione di tesi interessate, considerazioni improprie e mercenarie storture dei fatti, ha dimostrato chiaramente che per quell'organismo il tornaconto politico, la manovra, la miopia e la difesa delle prerogative di casta hanno la precedenza sul dettato costituzionale e sullo stesso regolamento che si è dato.
Del resto è del tutto evidente che il parlamento in carica è un fossile vivente, espressione di un momento politico passato e delegittimato, asincrono rispetto al sentimento popolare vigente ed alla crisi che stiamo vivendo.
Non stupiamoci dunque troppo della determinazione assunta dalla Camera, ricordiamocene piuttosto ed informiamo di conseguenza le nostre azioni, rivendicative ed elettorali. Questo, peraltro, rende ancora più necessaria ed urgente la reazione alla bocciatura dei referendum.

Colpo n.3
Declassamento dell'Italia operato da Standard & Poors.
Questo, dei tre sganassoni, è il più pericoloso perché travalica il provincialismo italiota, la cui redenzione risiede principalmente nelle nostre capacità e possibilità d'intervento.
Il colpo, anzi, proviene da un ambito internazionale (ma geograficamente collocato negli USA) profondamente intossicato dalla preminenza anglosassone, spocchiosa ed autoreferenziale, e dal pregiudizio neoliberista. 
Lo stesso ambito che a mio modesto parere è il terriccio, umido e brulicante di infime forme di vita, da cui è nata la bestia avida e spietata della speculazione finanziaria. Quella che, per intenderci, è all'origine della crisi economica mondiale che ci sta flagellando.
Lo so, quando dico queste cose vengo accusato di superficialità e provincialismo e mi viene opposta la considerazione che le società di rating hanno scopi più ampi della semplice trombatura dell'Italia.
Sono d'accordo, l'orizzonte operativo di S&P è ampio quanto l'intero globo, e allora? Non vi sembra che, nate per offrire valutazioni terze agli investitori, queste agenzie vantino comunque un DNA straordinariamente univoco e sinistramente unilaterale? Vogliamo dare un'occhiata all'azionariato per verificare potenziali (o effettivi) conflitti d'interesse? 
Inoltre, non è forse vero che, come è costume di una comunità (quella finanziaria) che pretenderebbe di essere scientifica, determinati assunti prendono forza di dogmi religiosi, quindi rivelati e intangibili, spazzando via ogni dialettica? 
Non è forse evidente, infine, che data l'eccessiva sacralità attribuita alle valutazioni emesse da queste agenzie, le loro sentenze diventano ineluttabilmente autoavveranti? Dov'è la scientificità in tutto questo?
E non è tutto. Affidarci esclusivamente, come facciamo, alla presunta sagacia delle agenzie di rating, sarebbe già grave ed incauto in presenza di una soddisfacente serie di predizioni azzeccate. Purtroppo però non è questo il caso e, vista l'impressionante sequenza di cantonate (Enron, Parmalat, Lehman Brothers e via elencando) infilate da questi guru, si tratta di una pratica quantomeno sospetta.
Per dirla con Andreotti “a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca” o, come dicono gli americani, “dove c'è fumo, c'è arrosto”. 
Magari non è il caso di evocare complotti internazionali, ma la gravità e l'ampiezza delle bocciature proferite da S&P assume l'aspetto di un'offensiva nei confronti dell'Europa e, indipendentemente dagli intenti di chi le ha emesse, qualcuno ne beneficia a spese di qualcun altro. 
Direte: certo, succede sempre così. E' vero, è solo che ritengo sospetta la scelta di tempo.
Il declassamento non è avvenuto quando ci si dibatteva senza prospettive nella crisi del debito sovrano, ma proprio quando l'Europa dava segni consistenti di ritrovata coesione e cominciava ad approntare le prime efficaci concertazioni. 
Di più, è avvenuto in coincidenza con il rilancio di un'ipotesi di compimento dell'unità politica continentale.
Credete forse che un'Europa federale non possa essere vista come un pericoloso competitor? Questo per le entità statali. Ma anche per i privati, credete forse che agli speculatori non convenga di più uno spezzatino europeo, meno ostico da aggredire e piegare alle proprie esigenze?
Si obietterà che le turbolenze finanziarie sono pericolose e colpiscono anche chi scaglia la pietra. Gliene fosse mai fregato qualcosa. Se fossero veramente lungimiranti non sarebbero scommettitori.

Quali orientamenti dobbiamo trarre da tutto ciò. Credo che non abbiamo alcuna scelta. Mio nonno, uomo sobrio, determinato e gentile, era straordinariamente saggio e diceva:
Quando piove puoi solo bagnarti o aprire l'ombrello. Nessuno ti impedisce di desiderare il bel tempo, ma farlo non ti servirà a nulla”.
Ha subito la rovina finanziaria della sua famiglia, avvenuta proprio quando, divenuto maggiorenne, affrontava autonomamente la vita. Ha combattuto una guerra, affrontato l'ostracismo derivante dal rifiuto della tessera del Partito Nazionale Fascista, sopportato un'altra guerra ed ha contribuito ad una ricostruzione laboriosa, sempre con dignità e senza perdere la sua gentilezza e bonomia. E' morto sereno, realizzato e invitto. Lo amavo molto.
Inveire contro chi gioca con il nostro destino può alleviare il nostro disagio, ma non risolve i nostri problemi. Dobbiamo "aprire l'ombrello", ripararci e per farlo dobbiamo essere forti e risoluti, individuare gli obiettivi paganti e perseguirli.     
Soprattutto dobbiamo dare il benservito a chi ci ha condotti fino a qui.

domenica 8 gennaio 2012

Il dopo-sbornia


E' diventato davvero un esercizio di contrizione tenersi informati e seguire telegiornali e trasmissioni di approfondimento. Lo è diventato, prima di tutto, perché la situazione economica europea, e non solo italiana, è evidentemente ben lontana da una soluzione qualsiasi, accettabile o meno, e non ha ancora svelato tutti i tormenti che ci attendono.
E' inoltre particolarmente penoso affrontare la realtà in un paese come il nostro, dove l'azione più che ventennale di ilari ed irresponsabili venditori porta a porta - assurti al ruolo di opinion maker e statisti – ha convinto la gente che non vi sono problemi che non possano essere risolti da una bella dormita e da una robusta dose di immotivato ottimismo d'accatto.
L'irresponsabililtà, eletta a sistema di vita e meccanismo di governo, alla fine non paga (a meno che tu non sia uno speculatore, un evasore o un malavitoso).

I miei genitori avevano interiorizzato uno schema preciso e, per i tempi, convenzionale per il loro progetto di vita. Lavoro, uno qualsiasi purché sicuro e decentemente remunerativo (lo si accettava anche sottopagato, in attesa di tempi migliori), acquisti pianificati, fortemente limitati al necessario e propedeutici al miglioramento della propria situazione, estrema ripugnanza a contrarre debiti se non per beni durevoli e strategici (la casa per esempio), corretta valutazione della convenienza di una maggiore istruzione per i propri figli. 
Qualsiasi miglioramento del tenore di vita veniva considerato esclusivamente dopo il conseguimento di una maggiore capacità di spesa.
Tutto ciò, inoltre, era scrupolosamente inserito all'interno di un quadro etico preciso, quasi calvinista, e con l'acuta – anche se non esplicitamente articolata - consapevolezza del significato e del valore di concetti quali senso del dovere, della comunità e del bene comune.
E' lo schema che, sotto i miei occhi fin dal primo giorno di vita, ho assunto a mio riferimento. La differenza sta nel fatto che, rispetto ai miei genitori (e grazie a loro) ho potuto partire da un gradino più alto. Il mio salto l'ho spiccato dalle loro spalle. Identico discorso per mia moglie che, semmai, è molto più rigorosa di me.

Non so esattamente quando questa etica e questo modo di intendere la vita hanno perso appeal, quando sono stati declassati da dignitoso stile di vita a grigia e monotona sopravvivenza degna solo di opachi travet, minchioni e perdenti. 
Intendiamoci, non che un tempo non esistessero altre e più disinvolte declinazioni del concetto di progresso personale, solo che non avevano e non pretendevano di avere tutta la legittimazione, cafona e rapace, che hanno adesso.
Un tempo chi prendeva scorciatoie egoistiche e parassitarie non esibiva questa scelta, poiché la condanna sociale era pronta e scontata e la vergogna un prezzo che non si voleva pagare.
Oggi, scusate la banalità, il sistema è ribaltato. Quando esprimo i valori e le scelte che furono dei miei genitori, e che cerco di onorare, colgo più frequentemente di quanto ritenga accettabile sorrisetti di compatimento e seccate manifestazioni di fastidio.
Vengo definito un noioso integralista, un patetico conservatore, un incapace alla ricerca di giustificazioni per la propria incapacità, un patologico invidioso  del successo altrui.
Non ho voglia di contestare queste grossolane critiche. Chi le proferisce mi è estraneo quanto una forma di vita aliena. Mi sento degradato anche solo nel prenderle in considerazione. Purtroppo non posso liberarmi con uguale disinvoltura delle conseguenze delle scelte espresse da quelle persone, le stesse che hanno buttato in vacca tutto e ci hanno lasciato il conto da pagare.

Tutto dunque si riduce alla contrapposizione tra responsabilità ed edonismo? Non è solo questo, ci sono di mezzo giganteschi interessi finanziari. 
Grazie ai famigerati Chicago Boys ed alle loro istanze neoliberiste, è passato il concetto che costruire e pianificare il proprio futuro è da imbecilli. Molto meglio bruciare le tappe e conseguire traguardi anche al di là delle proprie effettive possibilità. Ed è stato senz'altro così, perlomeno per tutti gli attori finanziari che hanno speculato su questa sorta di allegria programmatica.
E' paradossale che proprio coloro che hanno sempre criticato la socialdemocrazia e le sue ricette economiche e sociali, sermoneggiando che non esistono “pasti gratis”, che tutto, alla fine, si paga, ebbene che proprio loro abbiano costruito un mondo ed un sistema di buoni pasto presunti  gratuiti o, perlomeno, estremamente convenienti.
Grazie all'instaurazione di un regime fatto di crediti accessibili senza requisiti, santificazione della leva finanziaria ed incentivazione di consumi voluttuari, dopo aver nascosto sotto il tappeto dei prodotti derivati e della finanza creativa la tossicità delle strategie perseguite, è passato anche il concetto che la formica è antica, noiosa ed importuna, mentre la cicala è trendy e smart (l'uso dell'inglese è antropologicamente giustificato). 
Si è a lungo vissuti in un eterno presente privo di scadenze e con un domani rimandato a data da destinarsi.
Su di una cosa avevano ragione, alla fine si paga tutto e siccome la pratica seguita è stata dissipatoria ed irresponsabile, ora che il domani è finalmente arrivato, il risveglio corrisponde al proverbiale dopo-sbornia con tanto di atroce mal di testa ed alito fetido.
La domanda è: ci siamo definitivamente giocati il fegato? Non lo so, ma credo che ci convenga dare una risposta negativa.
Tutti, mi pare, sono sconvolti di fronte all'enormità del recupero che ci attende. La sfiducia e lo sconforto minano il nostro morale. 
Io voglio citare un antico proverbio cinese: “anche un viaggio di mille miglia comincia con un passo”.
Se i nostri genitori sono riusciti ad emergere da un dopoguerra di rovine, materiali e morali, a maggior ragione potremo farcela noi, basta recuperare il senso della prospettiva e la fibra morale che abbiamo accantonate perché qualcuno ci aveva convinti che fossero desuete.
Solo una cosa dovremo tenere sempre presente. Dovremo pretendere da noi stessi e dagli altri il maggior grado di integrità possibile. Basta con furbacchioni, parassiti, veline, calciatori, nani e ballerine.      
Non c'è bisogno di fare rivoluzioni, dobbiamo solo non tollerare più i parassiti ed essere pazienti ma determinati.
Come dico sempre, dobbiamo essere cittadini, e non sudditi.

mercoledì 4 gennaio 2012

Cedere all'esasperazione


Seguo abitualmente alcuni blog. Uno di questi è Innovando ed è stato già citato nel mio post del 19 dicembre 2011 “C’è vita anche nella destra liberista?”.
Questo blog, al contrario del mio, non è solo una bacheca dove appendere, per così dire, i propri pensieri, è anche l'ufficio virtuale dove il curatore propaganda la propria offerta quale consulente di comunicazione, nell'ambito Web, per le aziende.
Quest'ultima definizione è fortemente riduttiva e la adotto per brevità, basta visitare il sito per rendersene conto.
Non ho un interesse specifico o professionale nel leggere le argomentazioni professionali del redattore (sono in mobilità propedeutica alla pensione, Fornero permettendo), ma mi fa piacere verificare come certe persone analizzino gli scenari, presenti e futuri, cercando di costruire un percorso, piuttosto che subirlo.
Provengo da un ambiente, quello bancario, storicamente tetragono all'innovazione e ho sempre dovuto lottare, con scarso successo, contro la resistenza al cambiamento opposta dalla catena gerarchica a cui ero sottoposto.
Il sito, comunque, non offre esclusivamente comunicazione professionale; molto spesso infatti vengono pubblicati interventi godibilissimi centrati sull'attualità ed i commenti che vi appaiono, frequentemente, non sono meno interessanti.
Argomentazioni stimolanti dunque, ma qualche volta permeate da un certo nichilismo, forse conseguente ad una forte esasperazione.
Io non mi sento di condividere quell'atteggiamento poiché l'ira, con la proverbiale acqua sporca, ti fa gettare l'altrettanto proverbiale bambino. Considerato che i teorici del “tanto peggio, tanto meglio” hanno sempre cinicamente coltivato e sfruttato l'esasperazione altrui per perseguire i propri scopi, generalmente imponendo la propria visione e lasciando salatissimi conti da pagare, non vedo per quale ragione favorirli nelle loro turpi macchinazioni.
In data 17 dicembre 2011 ho letto, sul sito in questione, un intervento particolarmente esasperato che, dopo aver amaramente enumerato alcuni incontestabili storture che ci affliggono, concludeva adombrando cupamente rivolte e ghigliottine in azione.
Poiché questo è uno stato d'animo sempre più incombente, condiviso e, a mio parere, pernicioso l'ho commentato come segue:

tutte le rivoluzioni sono violente, e tutte si verificano quando il tessuto sociale è distrutto e le strutture dello stato sono tanto marce da dissolversi.
In genere scoppiano inalberando idee e concetti preesistenti e maturati lentamente, che questi siano illuminismo, socialismo o altre elaborazioni del pensiero umano.
Questi concetti inoltre vengono immancabilmente traditi, proprio da quelle rivoluzioni, non appena il più grosso e bastardo degli insorti o, più spesso, l'astuto temporeggiatore (anche lui grosso e bastardo), approfittando del languore ”post coitum” degli esasperati insorti, riesce a prendere il potere.
Così la monarchia francese, assolutista e decadente, dopo un periodo di fervore rivoluzionario viene sostituita da una monarchia imperiale ed imperialista, esautorata a sua volta dal ripristino dello status quo ante. L'illuminismo era preesistente alla rivoluzione francese, ne è stato ostacolato ed il suo benefico influsso si è esplicitato a dispetto di questa.
L'anacronistico impero russo, marcia carogna liberticida, è stato spazzato via da un regime assolutista imploso su se stesso e sostituito, dopo 80 anni, da una cricca di oligarchi. Quella società non era mai uscita dal medioevo, non ha assimilato realmente ideali esogeni e tutte le sue squassanti vicissitudini non le hanno guadagnato altro che un simulacro di democrazia.
Quando la notte è scura è più facile appiccare incendi che alimentare focolari, ma solo questi ultimi durano fino alla mattina lasciandoti una casa da abitare.
L'ardore idealista è una mena ottocentesca. Ha fallito alla prova dei fatti e la circostanza che il fascismo se ne sia impossessato per infarcire di vuota retorica i suoi proclami, me lo rende indigesto.
Certo è che le rivolte, spesso, sono ineludibili. Anche la grandine, i terremoti e le malattie. Forse che per questo dobbiamo ritenerle benefiche?

La risposta è stata:

Non sono né benefiche né malefiche. Come hai scritto tu, sono ineludibili come lo è il progresso. Il progresso non è né bello né brutto, semplicemente è e per poter diventare evolutivo ha bisogno di scrollarsi di dosso il peso del passato. Questo comporta oggettivamente un momento rivoluzionario.”

Mi sembra una visione sbagliata. Ritengo che il progresso sia un processo complessivamente lineare, che sia il risultato di sedimentazioni. I sussulti rivoluzionari conseguono al vecchio che non vuole mollare e non al nuovo che emerge.
Le rivolte hanno spesso rallentato il progresso e alimentato la reazione, non sono indispensabili e sono pericolose.