domenica 22 gennaio 2012

L'evoluzione come antidoto alla decadenza



Riporto, di seguito, il testo della mail che ho oggi inviato al Dott. De Nicola tramite la casella di posta della Adam Smith Society, che lo stesso presiede, e per  conoscenza al Dott. Caldarola utilizzando, in questo caso, la casella di posta de l`Inkiesta, il giornale on line su cui conduce una rubrica.

Egregio Dott. De Nicola,
la informo, innanzi tutto, che questa mia mail verrà riportata anche sul blog al quale affido i miei pensieri. E' un ambito del tutto ininfluente e con pochi frequentatori, ma è pur sempre un ambito pubblico e ritengo giusto che Lei ne sia a conoscenza.
Seguo abitualmente Omnibus, su La7, ed ho, di conseguenza, l'opportunità di ascoltare le Sue enunciazioni riguardo ai temi economici e le Sue valutazioni in merito ai fenomeni che ci investono. 
Pur apprezzando la Sua urbanità, Le confesso che, per storia personale e per personale convincimento, non riesco ad apprezzare le posizioni di cui Lei si fa interprete.
Non sono un economista e la mia conoscenza in materia deriva da disordinate letture e da una non troppo prolungata esperienza come gestore imprese in una grande banca (dove ho svolto una molto più estesa attività in compiti operativi prima e di supporto informatico poi). 
Mi rendo conto, dunque, di abusare della sua pazienza, ma confido nella Sua evidente urbanità per esternarLe un mio pensiero.
Nella puntata odierna di Omnibus ho seguito lo scambio di considerazioni tra di Lei ed il Dott. Caldarola in merito alla fluttuazione percentuale, per così dire, dell'influenza dello stato rispetto a quella del mercato, nel corso degli anni ed all'interno di vari stati.
Il Dott. Caldarola, mi sembra, sosteneva che si è andata maturando nel tempo, e sempre più urgentemente, la considerazione che è più conveniente inglobare, in una concezione organica della conduzione dell'economia e dello sviluppo della società, il contributo sistematico dello stato.
La convenienza, ritengo, risulterebbe dalla maggiore vocazione ed interesse di quest'ultimo ad amministrare prospetticamente lo sviluppo, le scelte strategiche sociali ed il potenziamento delle infrastrutture. 
A mio modesto avviso questa, più che una nuova concezione, è una rivitalizzazione di una visione socialdemocratica di stampo nord europeo che riscuote, per inciso, il mio profondo gradimento.
Il Dott. Caldarola rinforzava le sue argomentazioni riportando gli esempi del Brasile e della Cina Popolare, al che Lei obiettava, coerentemente e con buona ragione, che in questi due paesi il processo, semmai, ha riguardato l'arretramento dello stato a favore del mercato.
Se mi posso permettere, quest'ultima considerazione può anche corroborare valutazioni differenti da quelle che Lei esprime.
Io ritengo che la dottrina e, soprattutto, la pratica liberista abbiano teorizzato come adeguato ed ineluttabile un modello funzionale economico sostanzialmente inefficiente, un vero e proprio fenomeno entropico. 
Un ciclo che, immutabilmente, si sviluppa per un certo lasso di tempo e si conclude, all'esaurimento della sua propulsione, in un collasso funzionale la cui gravità viene ritenuta ininfluente (e sminuita dai successi precedenti) ed a cui si ritiene di poter porre rimedio ricominciando altrove. 
Ci si comporta come cavallette piuttosto che come contadini che perseguono la sostenibilità del proprio ciclo vitale.
La pratica liberista ha sempre raccolto i frutti delle fasi iniziali e lasciato allo stato la gestione delle conseguenze negative di questo ciclo che, tra l'altro, diviene sempre più corto e meno performante, a testimonianza dell'esaurimento della sua vitalità.
Credo che sia giunto il momento di ridiscutere e fissare le quote di partecipazione ed i ruoli delle due entità nella conduzione dei fenomeni economici. 
Credo anche che questa necessità si sia resa indiscutibile alla luce del fatto che, a differenza di quanto si verificava nel diciottesimo secolo, non vi sono più frontiere da superare, perlomeno a costi sostenibili. Ciò fa si che la tattica di spostare altrove l'azione, mancando nuovi territori e luoghi fisici, si trasformi nella decadente pratica della postulazione di luoghi virtuali. 
Una pratica scellerata la quale, mi sembra, si sostanzi nella prevalenza della finanza più astratta e cinica a discapito dell'economia produttiva.
In una competizione tra la dottrina economica liberista e quella marxista, unico competitore sotterrato nel frattempo dal verdetto della storia, credo che il liberismo possa essere dichiarato vincitore solo in quanto unico sopravvissuto.
Troppo poco.
Mi sembra, in altre parole, che mai come ora l'umanità necessiti di una nuova teoria economica, che consenta il superamento di quelle fin qui attuate e affronti con rinnovato spirito vitale le grandi incognite, sociali ed ambientali, che già ci hanno investiti.
La ringrazio anticipatamente per l'attenzione che riterrà di poter rivolgere a queste considerazioni e Le auguro un buon lavoro.

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