giovedì 29 agosto 2019

La vita è fatta di occasioni perse




Nel 2013, prima che il narcolessico Crimi e la solare Lombardi partecipassero alla famosa diretta streaming al solo scopo di pigliare per il culo il povero Bersani, peraltro sotto dettatura grillesca dato che la loro autonomia di pensiero si esauriva tutta già nella scelta del cornetto durante la prima colazione, io pensavo che il dato politico più rilevante delle votazioni svoltesi quell’anno consistesse nella prorompente affermazione dei cosacchi pentastellati.

M5S, infatti, uscì letteralmente dal nulla per piazzarsi al terzo posto, a un soffio dal PDL (secondo, ma in forte calo) e non molto distanti dal PD che, con la coalizione Italia bene Comune, si attestò al primo posto.

Non è, la mia, una semplice ed oziosa rilevazione notarile. I tre primi partiti erano separati da pochissimi punti percentuali e rappresentavano un vincente senza abbrivio, un secondo arrivato già olezzante come una carogna ben stagionata, ed un club dopolavoristico di neosanculotti che nel bene e nel male, soprattutto quest’ultimo, si avviava a rappresentare le istanze di riscossa di una parte importante, e potenzialmente in crescita, di un popolo deluso e incarognito dal pessimo spettacolo offerto dai partiti tradizionali.

A quei tempi io già nutrivo forti dubbi sull’assai indefinito programma piddino, poi metastatizzatosi nel tradimento della propria duale appartenenza, al campo socialista ed al cattolicesimo democratico, e sapevo già, con ogni più intima fibra del mio essere e grazie alla mia pluridecennale osservazione dei processi politici, che gli apritori di tonno parlamentare, molto efficaci nel campo poco impegnativo dell’opposizione urlata, avrebbero fatto un tonfo rumorosissimo una volta transitati nel settore di chi deve attuare una politica governativa, o anche solo produrre leggi e decreti con un minimo di verosimiglianza.

Pensai a quei tempi che Bersani avrebbe dovuto sedersi al tavolo di quella indecorosa diretta e tirar fuori un voluminoso paio di gran coglioni, oltre ad una smisurata faccia di tolla, e dire:

guardate, noi siamo arrivati primi, ma di poco, e chiunque sappia di politica vede che voi del Movimento avete saputo interpretare il disagio dell’elettorato meglio di chiunque altro. A questo punto mi sembra chiaro che se noi abbiamo la forza, voi avete la fiducia della gente quindi, sapete che c’è? Andiamo dal Presidente e diciamo che il PD appoggerà un esecutivo pentastellato nel quale noi potremmo avere qualche ministero, ma anche no. Ci state?”

A quel punto i pentastellati, che ancora ci pigliavano per il culo con la storiella del facciamo le cose con chi ci sta, o accettavano, avviandosi poi a dimostrare con un anticipo di cinque anni che razza di pericolosi incompetenti sono sempre stati (e il PD avrebbe potuto staccare la spina in ogni momento), oppure fiutavano il pericolo e si ritiravano, magari senza infliggere a Bersani quella penosa umiliazione, ma assicurando al PD una posizione morale meno precaria di quella che poi propiziò il penoso spettacolo che seguì e, magari, evitando di aprire la strada alla deriva renziana, con relativa distruzione dello Statuto dei Lavoratori.

Ai tempi, esponendo questa mia idea, mi guadagnai sonori pernacchi e numerosi e sanguinosi insulti, ma a me fu chiaro fin dall’inizio che a quelle elezioni qualcuno 

perse vincendo e qualcun altro vinse perdendo

e che la situazione avrebbe meritato un approccio il meno ortodosso possibile, proprio perché, rimanendo nel solco della prassi consolidata, come in effetti avvenne, tutto quello che seguì, lo psicodramma della rielezione del Presidente della Repubblica, il festival del franco tiratore e le più infide pratiche di opportunismo parlamentare, si sarebbe concretato con la stessa sicurezza per la quale il tanfo ristagna su un letamaio, per non parlare delle premesse per il successivo, per quanto malissimo utilizzato, successo elettorale pentastellato, preparato, facilitato e sdoganato dalla successiva berlusconizzazione, per via renziana, del PD.

Solo un anno dopo, nel 2014, vi fu quell’altra diretta, tra Renzi e Grillo, ma si trattò di puro e semplice teatro, un’occasione per segnalare a tutti che la distanza tra i due soggetti era siderale ed incolmabile, con i due capataz che parlavano alle proprie rispettive basi mostrando il massimo disprezzo possibile per il proprio interlocutore, al quale si rivolgevano solo in quanto elemento scenografico di soliloqui sovrapposti.

Oggi noi abbiamo, nelle posizioni apicali del favore elettorale, tre soggetti variamente scossi:
  • il PD, che è l’ombra del partito che sbandierava il 40,8% alle europee del 2014, ha in sostanza due segretari, quello ufficiale ostaggio di quello dimesso ma mai effettivamente rimosso, con relativa incerta traiettoria; 
  • M5S, che ha passato gli ultimi 15 mesi a smentire i propri irrinunciabili capisaldi morali e a farsi brutalizzare da un partito originariamente di seconda schiera, ha perso per strada qualche milionata di voti, pressoché dimezzandosi; 
  • la Lega , partito capeggiato da un soggetto, Sua Ferocità Salvini, che è riuscito in un batter di ciglia a passare dall’essere il più accorto animale politico del momento a far la figura del peracottaro, sbagliando tempi, strategia ed esibendosi in indecorosi comizi autoassolutori, scivola bruscamente nei sondaggi fin qui baldanzosamente rivendicati, perdendo 5 o 6 punti percentuali, fino ad ora.


Il Paese è ad una svolta cruciale, ma non è attrezzato per affrontarla al meglio.
Il sedicente Governo del Cambiamento ha costruito le premesse per una manovra finanziaria lacrime e sangue (una delle ragioni che, nel tentativo di sottrarsi alle proprie responsabilità, ha originato l'improvvida sceneggiata salviniana), manovra che si avvicina implacabilmente, mentre l'economia della locomotiva teutonica, dalla quale dipendiamo, ansima e scricchiola in una salita inaspettata e le paturnie britanniche si apprestano ad assestare un colpo micidiale agli asfittici indicatori economici comunitari.

Il ricorso alle urne, velleitario e quantomeno prematuro, rischierebbe comunque di perpetuare lo stallo attuale per via dello smagrimento leghista e della permanenza di una legge elettorale che ha pretese maggioritarie, ma che, mancando del tutto un partito del 51%,  richiede ugualmente ai partiti una capacità, al momento del tutto inesistente, di praticare un tipo di politica ormai dimenticata, fatta di capacità di mediazione e chiara visione dei pesi effettivi degli attori coinvolti, con conseguente visione realistica degli obiettivi perseguibili.

E così ora abbiamo partiti che hanno passato gli ultimi sette anni ad accoltellarsi, fantasticando sulla onorabilità e propensione alla promiscuità interrazziale delle donne e sull'incerta sessualità degli uomini delle formazioni avversarie, che improvvisamente si trovano a cercare di mettere assieme un programma di governo, negando tutto ciò che avevano precedentemente affermato e pigliandoci tutti per scemi, pretendendo di propinarci ragioni ridicolmente disinteressate per giustificare il loro attaccamento al potere, conseguito o da riguadagnare.

Io non so come andrà a finire, ma uno degli indicatori certi della nostra miserevole condizione è che essere scampati, per il momento, all'avvento del novello uomo della Provvidenza, il paninofago Salvini, a molti sembra già un buon affare.

Si naviga a vista su una nave lunga 50 metri, con la plancia situata a poppa ed una visibilità di 20 metri scarsi, e lo facciamo sottocosta, su bassi fondali e fondo roccioso.