sabato 13 ottobre 2012

I drammi umani ai tempi dei reality e dei social forum


Ho letto con sgomento della tristissima vicenda del bimbo di Cittadella messo al centro (e vittima assoluta) di una squassante e prolungata battaglia tra i genitori, evolutasi fino all'inverecondo episodio di “prelievo” forzato presso la scuola che frequentava.

Tutti gli adulti con un livello adeguato di equilibrio mentale, e di tranquillità esistenziale, non possono che obbedire a quella sorta di impulso innato (la letteratura scientifica si spinge a considerarlo un condizionamento genetico) che li stimola ad assumere atteggiamenti protettivi nei confronti dei bambini.      
Anzi, tale pulsione è talmente forte che, sempre in assenza di condizioni patologiche o disequilibrate, l'istinto si rivolge anche ai cuccioli di altre specie.

E' dunque per questo, credo, che la stragrande maggioranza dell'opinione pubblica ha reagito alla notizia con una molteplicità di manifestazioni che, invariabilmente, denotano grande emotività, grande indignazione e grande desiderio di giustizia declinata però, quest'ultima, in senso punitivo piuttosto che di riparazione dei torti. 
In sostanza, non potendo agire direttamente in tutela del bimbo, si cerca di individuare un responsabile, un colpevole più precisamente, sul quale rivalersi.
Un vero e proprio surrogato dell'azione diretta che non si è potuta sviluppare, reso ancor più necessario ed urgente dalla visione del noto filmato, girato dalla zia del bimbo, così drammatico e duro.

Parlo da adulto adeguatamente equilibrato, consentitemi, e da padre; se la sola conoscenza del fatto mi ha generato un sentimento di assoluta costernazione, la visione delle immagini mi ha indotto un'urgenza impellente di intervento e di coinvolgimento personale.
Come tutti infatti sono stato sollecitato dolorosamente dallo spettacolo, tremendo, di un bambino tenuto per gli arti e sono stato coinvolto dal sottofondo di una voce femminile che urla la propria indignazione e richiede, anzi esige, l'intercessione degli astanti, come solo una donna sa fare (altro segnale ancestrale che, in condizioni normali, scatena una risposta pressoché pavloviana).

Ovviamente non ho potuto beneficiare di una catarsi di questi sentimenti e dell'urgenza che mi avevano indotto. Gli avvenimenti si erano già svolti e compiuti, altrove per giunta, quindi avevo solo due possibilità: o scatenare la mia indignazione (la mia frustrazione in realtà) sui responsabili che credevo di poter individuare, oppure elaborare l'acuto malessere che provavo e salvaguardare il mio equilibrio, senza cedimenti forcaioli.
Siccome la penso esattamente come il ministro (o ministra, fate voi) Cancellieri, ho optato per la seconda possibilità.

Sono assolutamente convinto che il bambino sia la vera vittima della situazione. Ritengo anche che qualcuno, probabilmente più di una persona, abbia assunto comportamenti e decisioni sbagliate e che, in tutta evidenza, la vicenda abbia coinvolto emotivamente chiunque ne sia venuto a contatto.

Sono però altrettanto sicuramente cosciente che, in realtà, noi non si sappia assolutamente nulla dei fatti e del decorso che, alla fine ha portato a quel terribile esito.
Noi non sappiamo che tipo di persone siano la madre, il padre o i nonni del bimbo. 
Non abbiamo la minima idea delle condizioni e delle ragioni che hanno portato al fallimento del matrimonio dei due genitori. 
Possiamo arrivare alla conclusione che perlomeno una delle parti abbia strumentalizzato la questione dell'affidamento a seguito della dinamica del rancore e della rivalsa che, frequentemente, si presentano alla fine dei rapporti affettivi, non siamo però in grado di discriminare le valenza e le responsabilità, in questo senso, degli attori coinvolti.
Non conosciamo neppure il dispositivo della sentenza che sancì l'affidamento al padre. Quali furono gli elementi che convinsero il magistrato a pronunciarsi in quel modo? Quali competenze abbiamo per valutare le perizie fornite al tribunale?
Perché la madre ed i nonni sono così determinati? Perché il padre, ancorché sostenuto da una sentenza, arriva a tali estremi? 
Atteggiamenti così drammatici possono discendere sia da egoismo che dal desiderio, disperato, di porre fine ad una situazione insostenibile.  Una delle parti potrebbe anche essere mossa da buone intenzioni, ancorché attuate malamente. Anzi, ambedue le parti potrebbero essere in buona fede, oppure tanto egoiste e crudeli da far ritenere più adeguato il ricorso alla casa famiglia. 
Cosa è successo in realtà?
Noi non lo sappiamo, né potremmo saperlo, in quanto i mezzi di informazione hanno riferito il fatto (spesso con indecente opportunismo), ma non hanno circostanziato nulla, perlomeno in prima battuta. Si sono pilatescamente astenuti dal riferire altro che un ghiotto evento di sicura evidenza.

L'incontenibile pulsione a soddisfare la nostra naturale reazione ha prevalso su tutto, ma non è solo questo.
In realtà, proprio per la dimensione emotiva della nostra risposta, dall'esperienza personale di tutti noi non ha potuto fare a meno di emergere prepotentemente il vissuto più problematico che ciascuno cela nelle profondità dell'animo. E più tale vissuto è irrisolto, maggiore è la veemenza della nostra reazione. 
Chi ha sofferto, o ritiene di aver subito torti, per le azioni di un coniuge ostile o infedele, di un genitore instabile o autoritario, chi nutre rancori verso le autorità costituite, chi si rimprovera per una carenza di azioni, magari non più redimibile, verso i propri figli o ha vissuto l'ostracismo sociale per veri o presunti addebiti inerenti la propria figura parentale, ebbene tutti costoro non possono evitare facilmente di sentirsi coinvolti personalmente. 
Si urla la propria opinione, ma in realtà si grida la propria autodifesa o il proprio risentimento, quando non una mescolanza di questi; comunque si proietta il nostro dolore.
E ancora, oltre alle prese di posizione di chi si sente passionalmente coinvolto, onesto seppure parziale e spesso oggettivamente in errore, vi è anche quella categoria di persone, ciniche e inumane, che trae un certo conforto (sic!) dalla contemplazione, ingorda e ributtante, delle altrui disgrazie. 
Si tratta di quel tipo di essere vivente (altri e più precisi termini sono inadeguati) che, non avendo la capacità o la fibra morale necessarie a vivere con pienezza e responsabilità la propria vita prende, per così dire, in appalto le vite altrui. 
Costoro si appropriano delle sciagure vissute da altri per supplire al loro vuoto emotivo azzerando i rischi personali e detestano e negano le altrui virtù per evitare sgradevoli comparazioni. E' per questo che si accaniscono particolarmente in compiaciute, virulente e inappellabili sentenze.
Questo tipo di persone è sempre esistito, ma ha tratto particolare impulso dal consolidarsi dei programmi di “reality”, dove però i pretesi drammi umani sono invariabilmente costruiti a tavolino e recitati dai partecipanti.
Non che questo renda la cosa meno sgradevole; trovo comunque ributtante la strumentalizzazione operata, in quei prodotti di "intrattenimento", da chi li produce e da chi li consuma; gli uni cinici e profittatori, gli altri guardoni inqualificabili e onanisti.

La sempre più frequentata arena dei social forum, inoltre, ha offerto una ineguagliabile possibilità di esternare le proprie posizioni e, in questo caso e grazie ai sentimenti particolarmente sollecitati dalla vicenda, tale opportunità è stata sfruttata massivamente e, molto spesso, con grandissima intolleranza verso opinioni divergenti dalle proprie.
Ho provato a seguire alcuni dei roventi dibattiti che si sono sviluppati in questo caso e sono rimasto colpito, anche se non stupito, dalla singolare polarizzazione tra l'adesione assoluta alle considerazioni espresse da chi originava il commento, quest'ultimo peraltro quasi sempre fortemente assertivo e non negoziabile, e l'altrettanto insofferente rigetto di quelle stesse considerazioni.
Non ho provato ad interagire in quel contesto poiché, come si vede, la mia posizione è troppo articolata per trovare adeguata collocazione all'interno del mezzo e comunque, viste le opinioni maggiormente rappresentate e focosamente difese, avrei solo collezionato insulti senza un'adeguata contropartita in termini di dibattito.
Proporrò un link a questo post, ma con esiti incerti ritengo.   Anzi no, credo che potrò contare su un certo numero di contumelie.

Mi si potrebbe obiettare che, a mia volta, ho trovato dei bersagli sui quali sfogare la mia frustrazione e, in qualche misura, ciò è vero. 
Me la sono presa con tutti quelli che, a mio sindacabilissimo parere, non hanno rispettato la figura del bambino conteso e in qualche modo, comprensibile o meno, lo hanno strumentalizzato per dar sollievo alle proprie tensioni.
Non posso fare nulla per il bimbo, anche se vorrei che le cose stessero diversamente. Non posso e non voglio entrare nel merito di quello che è accaduto perché non potrei essere altro che arbitrario e conseguentemente in errore. 
Penso che i diretti interessati abbiano già sufficientemente complicato la situazione e non vi è alcun bisogno di aiutarli in questo. 

La mia solidarietà ed il mio affetto vanno incondizionatamente al bimbo perché è l'unica vittima sicuramente individuabile ed io sarei un uomo scadente, e un pessimo padre, se non nutrissi questa convinzione.

martedì 2 ottobre 2012

Neutralizzare i delinquenti? Si può provare.


Leggete questo articolo e, se concordate con quanto scritto come penso e spero, valutate la possibilità di agire in modo da superare questo sfascio. 
Non c'è bisogno di fondare partiti o movimenti. Qualcuno lo ha già fatto e abbiamo visto che non basta. 
Quello che dobbiamo fare è cominciare a gratificare i numerosi omuncoli, che al momento hanno la prevalenza, del nostro chiaramente espresso disprezzo e della nostra manifesta disapprovazione. 
Nulla di eclatante, non c'è bisogno di una caccia all'untore né bisogna cedere alla tentazione di divenire ululanti puritani. I furiosi giacobini spaventano e favoriscono la loro stessa neutralizzazione. Semplicemente dobbiamo creare intorno a loro una persistente rete di civile disapprovazione. 
Vi sembra poco?  No, non lo è.  Non è immediato, ma la costanza consente grandi traguardi.    Il contesto edonistico e di gratificazione immediata che ci hanno costruito intorno, e che ci ha cacciati così profondamente nel guano, ce lo ha fatto dimenticare.
Gli ultimi vent'anni di politica hanno sdoganato i maneggioni e i borsari neri creando intorno a loro un ambiente favorevole? Ebbene facciamo in modo che i loro sorrisetti soddisfatti incontrino smorfie di disgusto. Ricacciamoli nelle fogne. 
Naturalmente, nel contempo, esigiamo scontrini e fatture e prendiamoci la briga di pretendere civiltà e rigore o, quanto meno, di non avallare con la nostra neutralità, furberie ed illeciti. 
Faticoso? Certo, ma come abbiamo visto, certe comodità si pagano care.

lunedì 20 agosto 2012

Un compleanno speciale


Il mio cinquantottesimo compleanno l`ho trascorso nel Serengeti e la giornata successiva ho potuto ammirare il cratere del Ngorongoro dal crinale che lo contorna, 3 gradi a sud dell`equatore. Mica male per uno nato e cresciuto a Porta Vittoria in anni in cui il massimo dell`esotico era una gita di un giorno sul Lago Maggiore, col trenino delle Nord.

Considerazioni un filino provinciali e da anziano signore? Ma io ero provinciale (a dispetto dei miei natali meneghini) ed ora sono un signore di età, credo di avere il diritto di produrmi in uscite del tipo: "qui, una volta, erano tutti prati", e sghignazzate pure quanto volete!

Comunque, a parte i primi tre giorni da turista in safari (che significa viaggio), la restante parte del mio mese tanzaniano l`ho trascorsa in gran parte a Buswelu, un sobborgo di Mwanza (la seconda città della Tanzania, dopo Dar es Salaam), dove si trova l`Hisani Orphanage nel quale, tra le altre, opera l`Associazione Filippo Astori, con la quale collaboro da qualche anno.

Aspettavo questa occasione da tempo e sono partito un pò emozionato, senza sapere esattamente cosa avrei trovato e cosa avrei provato. Avevo un certo timore di non essere in grado di conciliare le immagini mentali costruite nel tempo (e quanto venate di pregiudizio?) con la realtà che avrei incontrato. Avrei dovuto saperlo, dopo undici anni di frequentazione dell`antica arte del Tai Chi, che le cose non vanno presagite, ma vissute, come dice sempre Stefano, il mio maestro. Sono sempre stato un pò testone.

In realtà è stato sufficiente aprire occhi ed orecchie, sospendere le aspettative e le abitudini casalinghe, ed affidarci alle capaci mani di Luigi un medico palermitano, ed un amico, che opera in Tanzania da quindici anni ed assiste, tra altre indispensabili attività sul territorio, i giovani ospiti dell`Hisani. Luigi, con pazienza, ci ha offerto le giuste chiavi di lettura della realtà che incontravamo e, con delicatezza, ci ha suggerito i giusti comportamenti da assumere. Non basta, infatti, essere animati da buone intenzioni, bisogna anche saper adeguarsi alle sensibilità che incontri. Essere benintenzionati non ti salva dalla possibilità di essere desolantemente cafone e ingiuriosamente altezzoso, anzi. 

Esiste un voluttà del benefattore che, in realtà, strumentalizza le persone che dovrebbe aiutare per gonfiare il proprio ego. Non ho mai creduto veramente alla possibilità di essere uno di questi parassiti, ma certo ero terrorizzato all`idea di poter essere confuso con uno di loro. Forse non dovrei dirlo io, ma pericolo scampato, credo.

Mancano pochi giorni al mio ritorno in Italia e, sicuramente, dopo aver metabolizzato le tante e forti sensazioni che ho accumulato in questa esperienza (che avrà senz`altro un seguito negli anni a venire) affiderò a questo spazio i pensieri che avrò nel frattempo chiarito, ma una cosa intendo dire fin d`ora, cosa ho trovato?
Ho trovato un paese di incredibile bellezza, anche al di fuori dei parchi nazionali.
Ho trovato persone amichevoli nel porsi, incredibilmente gentili e dotate di una dignità naturale che induce al rispetto automatico. Luigi dice che, come in molte situazioni africane, più sali nella scala sociale, più tali doti si guastano. In quanto italiano non ho alcun bisogno di farmi spiegare il fenomeno, lo conosco benissimo e so che il funzionario corrotto è un`escrescenza su di un corpo altrimenti sano.
E ho trovato i bimbi e gli adolescenti dell`Hisani e, con loro, la confortante constatazione che bimbi e ragazzi sono uguali ovunque, per fortuna. Pur così sfortunati i più piccoli sono capaci di ridere e giocare, mentre i più grandi cercano un loro modo di esprimersi. Tutti formano un corpo unico straordinariamente solidale. Ho visto la giovane Jackie, non più di nove anni, raffreddare pazientemente il porridge della piccola Dory, la più piccola degli ospiti. Litigi e contrasti? Naturalmente, se no che bimbi sarebbero, ma sempre di piccola entità e prontamente composti. All`Hisani la disciplina è blanda ma ferma, non viene inculcata, ma perseguita con scrupolosa e naturale coerenza, per cui è più facilmente rispettata. Merito di Fred, il direttore dell`Hisani, un omone gentile. Potrebbe fingere una bonomia d`occasione, davanti ai visitatori europei, ma i bimbi non fingono, soprattutto i più piccini, e gli saltellano intorno giocando con lui.

Basta per ora. Queste sono le mie prime impressioni e le ho buttate giù così come mi venivano in quanto premevano per uscire. Sono una specie di buonista infoiato? Fate voi, ma attenzione al cinismo, fa cagliare il latte.

Habari za jioni, marafiki.

sabato 12 maggio 2012

Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni?


Leggo del moltiplicarsi di manifestazioni, attentati e proteste nei confronti di Equitalia. 
Da che ho memoria sento persone e perfino istituzioni (la scuola con la mitizzazione dei moti contro "l'iniqua tassa sul macinato") stigmatizzare il concetto stesso di fisco, ma qui siamo di fronte ad uno scenario da fine impero.
Non sono insorti solo bottegai (nell'accezione bordighiana e spregiativa del termine) dediti all'occultamento del proprio reddito per sottrarlo all'imposizione fiscale o artigiani che evadono per "pompare" il valore aggiunto della loro attività al fine di non prendere atto della propria marginalità o rentiers depositanti nei paradisi fiscali più o meno offshore, qui hanno cominciato ad agitare cappi e forconi anche le vere vittime dell'evasione fiscale.
Sto parlando dei poveracci con redditi discontinui e vergognosamente inadeguati che scivolano nell'opaco mondo del “nero” e che lo fanno un po' per non erodere ulteriormente gli spiccioli che riescono a percepire e un po' perché sottoposti ai diktat dei loro sfruttatori. Questi ultimi, a loro volta, o sono solo marginalmente messi meglio e sottostanno, a loro volta, ad altri sfruttatori, oppure sono proprio quella categoria di incivili parassiti che ritengono di non dover concorrere al mantenimento del proprio paese.
Negli eventi riportati dalla cronaca si avverte chiaramente che qualcuno, farisaicamente e dolosamente, sfrutta lo stato di profonda prostrazione del nostro Paese per mistificare gli encomiabilissimi ed inediti sforzi volti a combattere la piaga dell'evasione fiscale. Lo fa nel solito e sperimentato modo, offrendo cioè alla gente esasperata un “untore” di comodo sul quale scaricare la propria rabbia.
I raids a Cortina e in altre amene località saranno pure stati spacciati come folcloristici, ma qualcuno ha tremato ed ora rimesta nello stagno per sollevare il provvidenziale fango. Il fatto che Equitalia, che è un soggetto che si remunera con percentuali sulle somme recuperate, si sia segnalata nel tempo per particolare arroganza, pressapochismo e odioso sfruttamento del proprio strapotere, non ha fatto altro che facilitare la sua individuazione come capro espiatorio.
Ma dietro a tutta questa cortina di fumo (derivante ahimè da incendi reali) rimane pur sempre un concetto.
Il proprietario di una casa ha la responsabilità – e la convenienza -di manutenere il suo bene. Se la casa è singola può anche decidere di andare contro il proprio interesse scegliendo di non investire nella sua manutenzione. Fatti suoi verrebbe da dire, e invece non è esatto. Se lo stato di incuria fosse tale da causare crolli, e l'evento causasse danni o lesioni a terzi o ad altre proprietà, questo sconsiderato proprietario verrebbe giustamente giudicato responsabile, penalmente e civilmente, per le sue omissioni.
Ancor più evidente risulta il principio di responsabilità quando si consideri l'unità abitativa inserita in un condominio. La gestione e la manutenzione delle parti comuni è di pertinenza di tutti i condomini e financo, per alcuni aspetti, degli inquilini. E' evidente, anche al più sprovveduto, che il peso di questa gestione è troppo elevato per un solo proprietario e per questo la legge ed il codice civile disciplinano minuziosamente la responsabilità in solido dei proprietari.
Ora, chiunque abbia partecipato anche ad una sola assemblea condominiale è al corrente della non trascurabile possibilità che uno o più proprietari si sottraggano al dovere di corrispondere la propria quota di spese. Indipendentemente dalle motivazioni di questo comportamento, è evidente che chi non partecipa alle spese, oltre a danneggiare gli altri proprietari, si comporta parassitariamente usufruendo, a spese loro, del riscaldamento, dell'illuminazione, dello smaltimento dei rifiuti, della pulizia delle parti comuni e della loro manutenzione.
Tre, fondamentalmente, sono le motivazioni che muovono tipicamente questi personaggi. Il condomino può essere in lite con l'amministrazione o con altri proprietari e, non pagando le quote, intende esercitare una certa pressione. Può anche verificarsi che, semplicemente, la persona non ha in quel momento un reddito abbastanza capiente per versare la propria quota. Si tratta di fattispecie che possiedono una propria dignità e oggettività (più la seconda che la prima a mio parere), ma a dispetto del grado di opinabilità che è possibile attribuirvi, si tratta pur sempre di situazioni che possono essere transitorie e che non escludono la volontà di addivenire ad una sistemazione o composizione della turbativa.
E' la terza possibilità che risulta completamente inaccettabile. Sto parlando dell'asociale che, confidando nella propria faccia di bronzo e nell'inefficienza italiana della giustizia civile, decide di non onorare i propri obblighi, di procrastinarne, in tutto o in parte, l'esecuzione o di accaparrarsi servizi in più o spazi comuni e, magari, indivisi. In realtà, non è assolutamente raro che faccia tutte queste cose contemporaneamente e nel farlo, odiosamente, cerchi di contrabbandarsi come uno dei primi due.
La similitudine che ho elaborato è trasparente. La nostra nazione è il condominio, noi tutti siamo i condomini ed abbiamo pure gli inquilini (gli stranieri più o meno extracomunitari).
Il nostro condominio, nel corso degli anni, ha optato per una gestione gravosa con vantaggi non equamente distribuiti e quote sempre più onerose per compensare il mancato gettito dei morosi.
Arrivati ad un passo dal fallimento, l'amministratore eletto ha lasciato il posto ad un curatore che non deve coltivare voti, che ha caricato quelli che hanno sempre pagato di ulteriori sacrifici e che, fregandosene dei rituali bizantini e dilatori di un sistema inefficiente, ha cominciato ad entrare in casa dei parassiti promettendo pignoramenti ed espropri.
I parassiti non hanno gradito ed ora montano vergognose campagne. I poveracci che faticano a campare sono stati opportunamente catechizzati su quanto sarà tremenda l'IMU ed ora si ribellano. E' vero, quella tassa sarà in molti casi una botta insopportabile, ma la colpa non è esclusivamente di chi la impone. Vogliamo parlare un attimo di chi ha portato i nostri "tecnici" (che comunque sono eccessivamente strabici e mirano da una parte sola) a dover confezionare questo scherzetto?
Invece di far saltare le dita ai dirigenti Equitalia e minacciare gli impiegati, vogliamo identificare i veri colpevoli? Quelli ai quali abbiamo pagato servizi, strade, incentivi alle imprese e pensioni d'oro senza che contribuissero con un centesimo e che magari ululavano contro Stato, Fiamme gialle e fisco?
Forse sarò eccessivamente tranchant, ma le tasse sono imprescindibili e vanno pagate. Si, è vero, sono troppo alte, il gettito che ne deriva è utilizzato malamente e Equitalia è stata in passato troppo arrogante e pressapochista.
Ma questi aspetti attengono al malcostume,  dovranno essere corretti e non sono da confondersi con il sacrosanto principio sancito dall'art. 53 della nostra costituzione:
Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

giovedì 10 maggio 2012

Sogno o son desto?


Concordo con l'arguzia di  Gianfranco Personè sulla necessità di adottare la definizione di "uomo partitico" che è differente da quella di uomo politico e, soprattutto condivido la visione espositivamente onirica del suo articolo e la puntualità dei suoi successivi commenti.  Rete e Social Network cambieranno tutto, ma siamo ancora come un selvaggio che guarda una lucente chiave inglese e, per il momento, la brandisce.



La rete-acchiappasogni

mercoledì 2 maggio 2012

Stay sharp and focused


E' da un po' più di un mese che non alimento questo blog. Ciò è successo per varie ragioni, e la principale risiede nella complessità degli eventi politici e sociali recenti che hanno reso le mie emozioni ed i miei pensieri altrettanto complessi.
Certo la consapevolezza di essere una tra le tante vittime, per di più programmaticamente tale, priva di reali opzioni ed inerme di fronte all'ineluttabilità di una ricetta dal fortissimo sapore neoliberista, non mi ha consentito di elaborare, per il momento, un testo abbastanza chiaro e di dimensioni adeguate ad un blog.
La mia abituale prolissità e lo scoramento che provo (sono un esodato con tutto quello che ciò comporta) mi hanno portato ad elaborare alcune bozze (il mio hard disk contiene diversi files “provvi1”, “provvi2” ecc. ecc.) che, rilette, risultano ai miei stessi occhi disordinate e poco articolate. Gli elementi, i giudizi e le analisi che ho cercato di organizzare, risultano spesso slegati e dimostrano che se non mi fossi riproposto fermamente di mantenere un minimo di calma e di serenità, sarei ora un componente di quella sempre più grande schiera di “antipolitici”, ululanti ed esasperati, che rischiano, come sempre avviene in situazioni estreme, di buttare l'acqua sporca con il proverbiale bambino.
Intendiamoci, non credo che vi sia molto da salvare e recuperare da questa classe politica e dirigente. Troppi hanno dimostrato l'incapacità, l'inciviltà e la meschinità di un comune parassita sociale, dedito allo sfruttamento e del tutto incurante della conseguenza delle sue azioni.
Questo però significa che dobbiamo pretendere che la nutrita schiera di personaggi inadeguati (e da troppo tempo abbarbicati alle proprie posizioni) tolga finalmente il disturbo e che molti di questi paghino il conto dei disastri che hanno combinato. Non significa, tuttavia, che il sistema nel quale si articola la politica sia altrettanto fallimentare. Cosa vogliamo fare in alternativa? Forse votare il sabato mattina, per alzata di mano, sulla pubblica piazza del paese, come avviene in certi cantoni svizzeri? Certo la Confederazione Elvetica è un'antica democrazia, ma è anche una nazione piccola , con poco meno di 8 milioni di abitanti, e limita questa affascinante modalità ad ambiti municipali. Vogliamo provare l'ebrezza di votare una finanziaria radunandoci sul sagrato? L'italica inefficienza raggiungerebbe nuove e vertiginose vette.
Vogliamo forse, correndo all'altro capo dello spettro, ricorrere al personaggio taumaturgico al quale appaltare le nostre vite e la conduzione della cosa pubblica? Mi sembra che, come nazione, abbiamo già fatto questa esperienza che, peraltro, ci è costata carissima rivelandosi fallimentare. Guerre, dittatura, nanismo industriale, riprovazione mondiale e infine l'8 settembre del '43, col rischio, scampato per pochissimo, di definitiva dissoluzione di uno Stato non ancora centenario. 
Né, d'altra parte, ha dato buona prova la versione “light” dell'uomo della provvidenza, il Berlusconi del “ghe pensi mi”, altrimenti non saremmo così derelitti.
Quando si verifica qualche emergenza, in caso di incendio in un ambiente chiuso per esempio, la risposta del singolo e del gruppo è istintuale ed adrenalinica; tutti si catapultano disordinatamente e freneticamente verso le uscite con il risultato che, spesso, muore o si ferisce più gente per la calca che per le fiamme.
Anche in caso di forte disagio sociale, in presenza di episodi di malavita o di turbativa dell'ordine pubblico frequenti e reiterati per esempio, si arriva facilmente scivolare nei più biechi qualunquismi xenofobi, razzisti o classisti, fino a contemplare le peggiori opzioni di giustizia sommaria e “fai da te” . 
Lo stesso meccanismo si attiva in occasione di un collasso della credibilità e della funzionalità di un sistema politico, come avvenne nel '92 e come sta avvenendo ora.    La gente si ritrova improvvisamente senza riferimenti, con terrificanti prospettive, vittima di provvedimenti devastanti e, immemore del processo che li ha condotti fin li, si pone alla ricerca inesorabile di untori (veri o presunti) e salvifici risolutori di crisi.     E' così che si spiana la strada alle più aberranti restaurazioni ed ai più consistenti arretramenti del progresso sociale.
Ricordiamoci sempre che, nei momenti di crisi e di smarrimento, acquattato nell'ombra e sotto le più viscide pietre, c'è invariabilmente il profittatore di turno, il demagogo asservito o anche solo l'esasperato di talento che è pronto ad offrirci una consolatoria sponda per il nostro sdegno, alimentando le nostre paure e inducendoci a dilapidare le nostre energie nervose in inutili grida e annichilente disperazione.
Una volta ben stanchi ed esauriti, e completamente atterriti, eccoci pronti a subire, con il minimo di reattività, macelleria sociale, diktat e ricatti assortiti.
In realtà dobbiamo mantenere i nervi saldi, recuperare il cuore del nostro ordinamento, il profondo equilibrio della nostra Costituzione, e dopo averlo depurato di tutti gli interventi superficiali e dolosamente “strategici”, recuperarne tutti gli aspetti positivi, che sono numerosissimi, e stavolta vigilare affinché nessuno se ne appropri per fare gli interessi propri, dei propri familiari, sodali e gruppi d'interesse.
Questo significa però avere una maggiore presenza nella vita sociale e politica, significa fare la fatica di seguire e valutare le azioni di chi ci governa a tutti i livelli. Comporta il non disinteressarsi del dibattito politico, affrontando e approfondendo le opzioni che si presentano. 
E' faticoso e spesso ingrato farlo. Imparare a valutare le opinioni che non condividi, dividendo le posizioni strumentali e fasulle da quelle dotate di validità intrinseca, ancorché detestate, riconoscere e inquadrare aspettative che non ti appartengono è gravoso e ti allontana dalla semplicità a cui tutti anelano. 
La realtà è però eminentemente complessa ed articolata e se pretendi di scansare queste caratteristiche condanni te stesso e tutti gli altri al fallimento. 
La caratteristica di obbedire aprioristicamente ed eseguire asetticamente qualsiasi ordine è peculiare di tre tipologie di persone: i pecoroni, i picchiatori ed i parassiti. C'è forse qualcuno che anela ad appartenervi? Purtroppo si, ma questo non significa che ciò debba andarci necessariamente bene, implica semmai il loro riconoscimento e la loro pronta neutralizzazione.
Buttiamo dunque a mare, e alla svelta, una legge elettorale “poterecentrica”, un maggioritario d'accatto e truffaldino, pretendiamo le dimissioni dei vecchi arnesi politici di lungo corso, facciamo spazio ad una classe politica rinnovata e civile.
Valorizziamo tutti quei movimenti nati dal disgusto per la politica (M5S e ALBA per esempio), depurandoli dai demagoghi che talvolta li frequentano, per costruire dal basso e durevolmente una vera e propria rinascita del senso civico e di responsabilità, per stimolare nei partiti (dai quali non ritengo si possa prescindere, checché se ne dica) l'abbandono dell'autoreferenzialità ed il recupero della loro missione storica.
Incazziamoci pure, visto che ne abbiamo tutte le ragioni, ma senza abbandonarci alla furia, rimaniamo concentrati e focalizzati e, quindi, minacciosi e pericolosi per i nostri sfruttatori.
Come esortano i marines "stay sharp and focused"








giovedì 29 marzo 2012

L'antica malattia massimalista.


E' un po' che non alimento questo blog. In parte ciò è avvenuto per uno strano miscuglio tra crisi di rigetto da frequentazione della rete ed insorgenza di noiosi problemucci (di non grave entità, ma persistenti) da frequentazione della burocrazia sanitaria e degli enti locali.
Si è anche però verificata una sorta di blocco “valutazionale” di fronte a due differenti problemi che recentemente hanno occupato la cronaca. Mi riferisco alla TAV ed alla riforma del mondo del lavoro.

Per il secondo problema mi riprometto di esprimermi più avanti, quando e se sarò stato in grado di padroneggiare l'incazzatura al calor bianco che mi ha causato la visione della solenne noncuranza, per gli aspetti sociali della riforma, mostrata dai nostri cosiddetti salvatori. Il governo dei tecnici anche questa volta ha esibito la sua abituale e glaciale determinazione che già ha caratterizzato il disastro delle pensioni. Mi sembra, a questo punto, del tutto evidente che gli esimi professori hanno un concetto di “equità” piuttosto strabico.
Perché il Prof. Monti non ha inalberato la stessa petulante e querula espressione imbronciata, che ci proviene dal suo tour asiatico, in occasione del coro di distinguo inverecondi seguiti alla sua timidissima azione su monopoli e liberalizzazioni? Evidentemente, ai suoi occhi, non tutte le terga sono ugualmente violabili.

Riguardo alla TAV (e premetto subito che io non sono contrario), grande è la mia confusione e profonda la mia frustrazione di fronte alle bordate propagandistiche incrociate delle due parti. Ascolto le due campane e non riesco a non pensare che nessuno ce la racconta giusta. Da una parte vedo mobilitati gli interessi delle imprese, illanguidite dalla prospettiva di lucrosi appalti, e non riesco a non pensare che il malcostume e la corruzione hanno costellato la nostra terra di opere la cui utilità – non sempre assodata – è spesso stata annullata da grottesche levitazioni di costi e da rovinosi effetti collaterali sull'ambiente. Dall'altra parte vedo una rigidità manichea ed una compunta strategia aprioristicamente antagonista, peraltro extraterritoriale rispetto alla Val di Susa, che si appropria di un contendere per esercire la propria “giustezza” d'intenti e “bellezza” d'animo.
Come sempre avviene in questi casi, le belluinità propagandistiche assolute proferite dalle parti finiscono con il marginalizzare la sottostante realtà e, lasciando spazio solo alle estreme polarizzazioni, uccidono la complessità delle ragioni opposte. Avviene comunemente infatti che nelle guerre e, generalmente, nelle contese più accese, le zone di sovrapposizione delle argomentazioni dei due partiti vengano negate e criminalizzate dagli zeloti degli opposti schieramenti. 
E quando i giusti “senza se e senza ma” decidono di far vincere la propria visione, quelli che amerebbero avere certezze, ma riescono solo a nutrire dubbi, vengono immediatamente additati al pubblico ludibrio e ritenuti più pericolosi dello stesso nemico dichiarato.

Io, purtroppo per la mia pace interiore, pur collocandomi per storia personale e per intimo sentire nel campo progressista, non riesco a condividere (e neanche a comprendere veramente) la contrarietà assoluta e pugnace che una parte della sinistra nutre nei confronti della TAV.
Una rilettura, anche superficiale, della storia della penisola italiana dimostra come l'esecuzione dei principali trafori alpini abbia permesso, a suo tempo, alla nostra nazione di inserirsi vantaggiosamente nella dinamica degli scambi commerciali europei. Quelle opere ci consentirono di ovviare da una parte all'isolamento indotto dalla presenza del formidabile ostacolo alpino e, dall'altra, alla marginalità delle rotte mediterranee rispetto ai flussi mondiali. E non si trattò solo di privilegiare un'ottica mercantilistica; insieme alle merci iniziarono a circolare più facilmente le idee e, grazie a queste, i processi costitutivi stessi della nostra nazione ne trassero vigore ed impulso.
Molti di quei trafori sono ora, a dispetto degli interventi manutentivi e delle modernizzazioni operabili nei limiti della circostante natura, inadeguati tecnicamente e funzionalmente, quando non rischiosi nella loro operatività per vetustà o eccessivo sfruttamento.

E' stato spesso opposto che la linea ferroviaria già esistente è al momento sottoutilizzata e che, quindi, la costruzione di un'altra sarebbe inutile e inutilmente dispendiosa. Questa è una considerazione valida esclusivamente nel breve termine. Si presume e si opera perché l'attuale crisi che deprime gli scambi e le economie venga superata rendendo l'opera necessaria, funzionale e conveniente. E non sarebbe neanche possibile implementare la linea esistente senza interrompere i collegamenti per anni, spendere comunque cifre comparabili o superiori ed ottenere risultati inferiori. Io non riesco a capire perché si debba sancire la nostra esclusione dal futuro network europeo condannandoci ad una marginalità da repubblica caucasica ex-sovietica, priva però di risorse naturali.
Non capisco neanche perché la possibilità reale di spostare il transito delle merci da gomma a rotaia debba essere così messa in secondo piano. Questa perplessità è stata, a suo tempo, espressa anche da alcuni ambientalisti transalpini. Di loro non ho più sentito parlare.
Mi si dice che il materiale di risulta degli scavi sarebbe composto in gran parte da amianto ed uranio. Questa è una obiezione formidabile, ma credo che sarebbe stato sufficiente prevedere ed imporre un adeguato trattamento dei detriti, costituendo un organismo di vigilanza composto dai valligiani (o da tecnici di loro fiducia) munito di poteri effettivi e non di semplici funzioni consultive e di controllo. Questo avrebbe neutralizzato le eventuali furbate delle imprese costruttrici e le avrebbe responsabilizzate per i loro intuibili dinieghi dimostrando, se del caso, che il re era nudo.

Io sono sicuro che c'è stato un tempo, all'inizio di tutto, in cui le ragioni pro o contro questa infrastruttura sono state più chiare e lineari. Tale chiarezza è oramai persa e, credo, irrecuperabile, sotterrata sotto slogan, forzature ed iniziative volte a negare dignità e valore alle posizioni avverse. In questo sport nessuno si è risparmiato, né i pro né i contro.

Io so solo che ritengo necessaria l'esecuzione dell'opera, ma che non vorrei per questo prevaricare chi abita in prossimità dei cantieri.  Mi (e ci) è stata negata la possibilità di valutare serenamente la situazione.     Ancora una volta mi (e ci) viene richiesto un arruolamento “a prescindere” e negata la possibilità di sviluppare ed articolare le nostre considerazioni. 

Siamo dei barbari.

domenica 26 febbraio 2012

L'ottica da "bottegai"


E' un'attività piuttosto affascinante spigolare nella blogosfera ed imbattersi in ogni genere di spunto e notizia. Ora che sono un “retired worker” (il termine “pensionato” è prosaico ed al momento impresentabile) è anche una sorta di rivincita contro anni di costante, spasmodica e preferenziale focalizzazione su elementi congruenti con la mia passata attività. Setacciare le migliaia di elementi che magmaticamente ribollono nei social networks, o che ti si presentano quando consulti i motori di ricerca, è distensivamente dispersivo. E' anche deliziosamente affascinante per le continue sollecitazioni che ti scuotono e, qualche volta, ti confondono, obbligandoti ad una tonificante attività di correlazione tra input spesso molto differenti. E', in definitiva, una forma post-moderna di “cazzeggio”, ma molto produttiva se ti mantieni ricettivo.
Ognuno di noi però mantiene speciale considerazione e sensibilità per taluni argomenti. E' di conseguenza scontato che determinate notizie, o pareri, continuino a posizionarsi su corsie preferenziali che le fanno emergere con vigore e prepotenza, ponendo le altre sullo sfondo, non dimenticate, ma valutabili con maggior comodo.
Nel mio caso, ma sono credo in numerosa e qualificata compagnia, tutto ciò che ha a che fare con la condizione del mondo del lavoro e, in particolare, con la questione dei lavoratori ultra-cinquantenni, attira il mio sguardo e mi induce a riflessioni piuttosto amare vista l'angolazione con la quale, al momento, il dibattito viene svolto. Nella fattispecie la mia attenzione è stata calamitata da un articolo a firma di Marina Cavalieri e pubblicato oggi su Repubblica, consultabile a questo link:

Il titolo - Produttivi, competenti e flessibili" Aziende, assumete i cinquantenni" – ha chiaramente catturato la mia attenzione e, leggendolo, apprendo che in Germania la Sig.a Ursula von der Leyen, Ministro del Lavoro, dichiara:
Assumete i cinquantenni, fateli lavorare. Sono competenti, responsabili e anche flessibili. Non hanno il problema urgente di fare carriera, non devono dimostrare di valere. Per questo sono meno competitivi e più collaborativi. La loro esperienza non è da buttare: gli over 50 possono diventare, con l'allungamento dell'età pensionabile, di nuovo strategici. Queste parole non sono l'ultimo appello di una generazione in declino, prima della definitiva rottamazione, ma l'esortazione di Ursula von der Leyen, ministro del Lavoro tedesco, che ha chiesto alle aziende di assumere sempre più persone sopra i 50 anni, di non prepensionarle. Le ultime ricerche elaborate dalla nazione più efficiente d'Europa dimostrano infatti che la produttività sale quanto più in un'azienda l'età dei dipendenti è equilibrata. Quando cresce il numero dei lavoratori che hanno tra i 45 e i 50 anni, anche la produttività aumenta, secondo uno studio del 2%. È dunque un pregiudizio infondato che più si è giovani e più si lavora.


Nel corpo dell'articolo, inoltre, viene rapportata la posizione istituzionale tedesca con... quella italiana? Non scherziamo. Qui da noi non c'è alcun tentativo di governare processi sociologici, così come non esiste alcuna ipotesi di politica industriale, di politica energetica o di altre auspicabili, ma neglette, azioni di governo strategico e responsabile della nazione. Se ci sono, promanano comunque da un governo emergenziale e transitorio, sono in barcollante fase iniziale e, quando toccano interessi costituiti, vengono prontamente smorzate ed edulcorate. Da noi, come noto, si naviga a vista e la frase evoca recenti e dolorosi eventi nautici.
Vengono riportate le opinioni di Paolo Citterio – presidente dei direttori risorse umane – che, in qualche modo, riconosce il valore aggiunto dei lavoratori più anziani, ma che naturalmente riesce solo a entrare nel merito del loro maggior costo per l'azienda. Evidentemente se la risorsa è inanimata il suo costo è una variabile accettabile, altrimenti no. Citterio, con sagacia italica, ritiene di poter aggirare il “problema” postulando per i dispendiosi vecchietti un part time al 50% del loro costoso tempo, ma remunerato al 60%, bontà sua. Che sarebbe poi come dire che è ben contento di fruire del valore aggiunto di un lavoratore esperto e formato, ma che dopo aver gustato il dolce frutto non si perita di gettarne per terra la buccia.
Una proposta agrodolce che arriva all'indomani del passaggio a un sistema previdenziale contributivo che collega quel 50% a durature e pesanti conseguenze, e a carico di chi? Indovinate! Nel 19° secolo il minatore vedeva il suo salario decurtato del costo degli esplosivi e degli attrezzi che utilizzava. In altre parole veniva costretto a partecipare integralmente ai costi percependo, in cambio, i ricavi marginali che l'imprenditore riteneva di riconoscergli. Concettualmente non mi pare che si sia fatta molta strada da allora.
Il sociologo Luciano Aburrà, giustamente, rileva che il tasso di lavoratori con età superiore ai 45 anni non può che aumentare per fattori sia demografici che di scelte in materia previdenziale, solo che mentre in Germania “si cercano soluzioni, da noi continuano i processi di espulsione in base all'età anagrafica, la crisi ha spento gli ultimi segnali di gestione dinamica delle risorse, di acting age, da noi prevale la rottamazione spesso attraverso la forma dei prepensionamenti". Una dinamica piuttosto strabica e controproducente, indice sicuro di carente (o non perseguita) capacità progettuale.
Nella solerte e produttiva Germania, aumentano certamente l'età pensionabile, ma costruiscono e manutengono una prassi complessiva ed efficace a supporto del mondo del lavoro. Stimolano una “visione” del dipendente ultracinquantenne e dei suoi punti di forza, magari interessata, ma funzionale. Da noi, come al solito, la si vuole "cotta e ben condita". Così aumenti l'età pensionabile, espelli i "vecchi" costosi, demotivi i giovani e poi concioni, ideologicamente e con scarsissima onestà intellettuale, riguardo l'art. 18 e la sua presunta esizialità. Naturalmente infrastrutture carenti, corruzione, inefficienza amministrativa, giustizia funzionalmente bloccata sono solo bazzecole che, non appena scongiurato il pericoloso strapotere della trimurti sindacale, si dissolveranno come neve al sole garantendo magnifiche sorti e progressive.
Tempo fa, su Facebook, ha circolato una vignetta che riportava la frase: “una bugia, se ripetuta a sufficienza, diviene realtà”. Nella vignetta , una bimba cancellava la parola “realtà” e la sostituiva con “politica”. Il sentimento soggiacente era, evidentemente, ispirato all'antipolitica, ma questo non toglie nulla alla validità della frase non emendata. Le affermazioni che ci vengono così spesso ripetute, sono così poco argomentate e pervicacemente ripetute da assumere, dopo un po', vita e “validità” proprie.
Per esempio:
  1. I lavoratori a tempo indeterminato non sono persone che, grazie ad una lotta secolare e con sacrifici e privazioni, sono arrivati ad un certo grado di difesa dei propri diritti, sono dei privilegiati che drenano risorse.
  2. I sindacati che si oppongono all'arretramento delle condizioni dei lavoratori sono “conservatori”. Gli imprenditori che si accaniscono a riportare la situazione agli ultimi anni del 18° secolo, invece, come li definiamo?
  3. I giovani, se volessero, potrebbero lavorare anche da subito. Premesso che non è statisticamente vero, di che lavoro stiamo parlando? A che condizioni? Con quale durabilità? Con quali prospettive?
  4. I giovani devono mettersi in testa che devono essere “più bravi”. Piccolo problema; visto che la cosa è posta in termini relativi, con tutta evidenza, non possono essere tutti “più bravi” e, comunque, quelli meno bravi cosa dovrebbero fare, suicidarsi? E, ancora, “più bravi” significa meglio pagati? Non sta funzionando così; in genere più bravo significa con maggiori probabilità di usufruire di qualche mese di contratto di esotica definizione, con retribuzioni vergognose.
Quando, finalmente, avranno demolito del tutto lo statuto dei lavoratori, caduto l'ultimo paravento e  verificata la persistenza degli annosi problemi che deprimono la nostra società, cosa si inventeranno per occultare la semplice constatazione che la classe dirigente di questo paese è incapace e dedita a compulsioni tafazziane? Come faranno a nascondere che, in realtà, manager e politici non sono in grado di andare oltre l'angusta progettualità e la meschinità dei "bottegai" di bordighiana memoria? Non lo so, ma sicuramente qualcosa se la inventeranno.
C'è solo un piccolo problema, Tafazzi massacrava i suoi di attributi, questi invece dispongono liberamente dei nostri (ricordate il dolce frutto e la buccia?). E se, improvvisamente e tutti assieme, dicessimo basta?

sabato 18 febbraio 2012

Il destino di un satellite


Le potenze vincitrici della Grande Guerra, la Francia in particolare, dopo l'armistizio  protrassero criminalmente il blocco delle derrate alimentari ad una Germania già sconfitta, affamata ed inerme, con ciò causando inutili morti tra i civili e moltiplicando gli effetti della concomitante e letale epidemia di spagnola.   Imposero anche riparazioni economiche così ingenti da stroncare preventivamente e programmaticamente, nel breve e medio termine, qualsiasi ipotesi di ripresa di una nazione che solo cinque anni prima era all'avanguardia tecnologica ed industriale mondiale.
Le potenze dell'Intesa perseguirono l'obiettivo strategico di rimuovere dalla scena un ingombrante competitore.    Agirono con protervia e in preda ad un fatale desiderio di rivalsa che, ancora oggi produce effetti.

L'atteggiamento così meschino e miope dei vincitori rese precario e alla fine perdente l'esperimento di una democrazia, quella di Weimar, già costitutivamente gracile, innestata com'era su di un terreno fino a poco prima monarchico e semi assolutistico. 
La democrazia, vissuta senza alcuna padronanza di strumenti adeguati, circondata da suggestioni autoritarie e impazienti sentimenti revanscistici, finì ben presto schiacciata dal confronto tra il miraggio bolscevico e la risposta populista e reazionaria nazista. Sappiamo chi ebbe la meglio e, retrospettivamente, possiamo dire che si trattava della classica “alternativa del diavolo”.

Chi se la sente di rimproverare ai tedeschi reazioni pressoché pavloviane di fronte a scenari economici recessivi? 
Immaginatevi di aver avuto un nonno che vi raccontava di prezzi decuplicati nell'arco di una giornata lavorativa e borsellini grandi come zaini alpini per riuscire a contenere le banconote necessarie all'acquisto di un filone di pane e un po' di cipolle. Figuratevi di essere cresciuti con un padre reduce da un conflitto che ha guadagnato alla vostra patria una inossidabile diffidenza mondiale. Pensate a voi stessi come ad un soggetto che, comunque, deve aprioristicamente chiarire di non avere suggestioni antisemite, autoritarie ed egemoniche prima di intraprendere qualsiasi confronto. Piazzate tutto questo nel quadro di un paese condannato ad essere, per virtù propria, forte e leader e vedrete come sia fatalmente facile produrre comportamenti sbagliati se non si esprimono, nel contempo, leaders politici veramente cospicui.

La signora Merkel è persona seria ed onesta, ma non è un gigante politico. Anzi, l'intero personale politico tedesco (e non solo) è inadeguato alla bisogna. Pur per ragioni distanti anni luce da quelle delle potenze dell'Intesa, l'atteggiamento tedesco nei confronti della crisi in generale e della Grecia in particolare è strategicamente e rovinosamente errato. E' paradossale come proprio i tedeschi non comprendano quanto è storicamente pericoloso ridurre una nazione ed un popolo all'angolo, senza prospettive e con certezza di un futuro di fame e sofferenze e, d'altra parte e ancor più paradossalmente, è proprio il loro vissuto che li condiziona a farlo.
I processi storici non sono lineari e pretendere di affrontarli e risolverli come se si trattasse del montaggio di uno scaffale è velleitario e rovinoso.

I greci sono stati cicale? Pare di si. Hanno fatto tutto da soli? Pare proprio di no. I due maggiori fustigatori, Francia e Germania, hanno le loro responsabilità tanto nell'insorgenza quanto nell'incancrenirsi del problema e ora appaiono come quegli animali selvatici che, sorpresi nella notte su di una strada di campagna, fissano immobili i fari dell'auto che li travolgerà o, peggio ancora, vi corrono incontro spaventati e palpitanti.
Adenauer, De Gasperi e Schumann, contemplando le macerie materiali e morali di un'Europa distrutta e sofferente per numerose piaghe ancora aperte, consapevoli che gli odi, i tornaconti nazionali e nazionalistici erano ancora lì a covare sotto la cenere, si sono detti che l'unica strategia risolutiva doveva essere il superamento dei particolarismi e la fusione delle varie identità in un tutto coerente e vitale. Un compito immane e di lungo corso che avrebbe meritato costante applicazione e grande concentrazione. Non è stato così. Man mano che le generazioni di politici si succedevano le une alle altre, e sulla ribalta si affacciavano persone sempre più appagate per una sicurezza ereditata e non costruita, il processo di costruzione dell'Europa unita perdeva di chiarezza e focalizzazione. Ora l'Europa è qualcosa di incompiuto e contraddittorio, con componenti di serie A e di serie B e con tutte le tipiche compartimentazioni che la visione frammentata ed egoisticamente localistica di governanti piccoli e di corto respiro, fatalmente, comporta.

Noi dobbiamo trovare il coraggio e la forza di riprendere a costruire il sogno dei nostri padri. Dobbiamo sforzarci di assumere, ciascuno per la propria parte, assetti adeguati per poi fonderci gli uni con gli altri. Dobbiamo fare ciò per riuscire a competere sullo stesso piano dei giganti mondiali che ci circondano. Dobbiamo fare in modo di essere loro partner, diversamente diventeremo loro satelliti e noi sappiamo cosa accade, di norma, ai satelliti, vero?

mercoledì 15 febbraio 2012

Chi guarda il dito e chi la luna splendente


Ho preso atto del risultato delle primarie del PD per la scelta del candidato sindaco di Genova.
Uso l'espressione “prendere atto”, distaccata e neutra, perché a mio parere non dobbiamo sprecare una preziosa occasione per cercare di comprendere al meglio un evento e trarne preziosi insegnamenti e validi orientamenti, e dobbiamo poterlo fare spassionatamente ed analiticamente.
Non sono interessato all'evento specifico. Conosco solo superficialmente i problemi di Genova. So solo che la città è compressa in uno spazio angusto rispetto alle sue dimensioni e che questo ha conseguenze sulla qualità della vita, sulla viabilità e sulle comunicazioni. Il porto, tra le principali attività economiche genovesi, ha visto tempi migliori. Il centro storico ha, credo, vaste zone che abbisognerebbero di urgenti ed onerosi interventi di recupero. Anche sui candidati non ho che elementi di giudizio superficiali, ma non ha molta importanza. Presumo che i genovesi avessero tutte le informazioni necessarie e che la loro scelta sia stata ben ponderata poiché, come molte altre realtà italiane, il governo di Genova è una sfida impegnativa e necessita di scelte adeguate.
Quello che mi interessa è altro. Intanto faccio una considerazione. Prendo in esame gli esiti delle primarie più recenti e posso solo pensare che una cosa può accadere una volta e va bene così; può accadere una seconda volta ed è una bella combinazione; dalla terza volta in avanti devo concludere che un fatto si ripeta per ragioni precise ed oggettive. Sarà importante valutare tutte le implicazioni connesse.

Implicazione numero uno.
Il sistema delle primarie è un sistema di successo. I tassi di partecipazione possono fluttuare, ma la comunità degli elettori del centro sinistra vi annette grande importanza ed ha fiducia, finora confermata, che il partito si atterrà alle indicazioni scaturite dalle urne, anche quando queste saranno differenti da quelle indicate dalla segreteria.
Il PD, di conseguenza, potrà avere qualche mal di pancia in alcune sue componenti, ma aderisce sostanzialmente alla promessa di trasparenza e democrazia di base connessa al sistema delle primarie, e non è poco in un contesto politico di nominati.

Implicazione numero due.
Il PD, evidentemente, aggrega un grande numero di elettori, ma fatica a produrre candidati realmente in sintonia con la base elettorale. Troppo spesso la selezione risponde più a logiche interne di corrente che all'individuazione delle personalità che più sanno interpretare le istanze territoriali.

Implicazione numero tre (che affina quella precedente).
Milano, Cagliari, Regione Puglia dimostrano che l'elettorato ha scelto personalità consistenti che, poi, hanno condotto alla vittoria. Spesso queste personalità vengono messe in quota SEL, ma questo non è sempre corretto. Il più delle volte sono semplicemente appoggiate da SEL e, in sé, accolgono il consenso di vasti e compositi strati della cittadinanza. 
Qualcuno pensa veramente che a Milano Pisapia avrebbe avuto qualche chance se non avesse goduto di grande ascendente personale e di un appoggio trasversale e incredibilmente rappresentativo di tutte le componenti cittadine, anche di quelle piuttosto distanti dalla sinistra? Tra l'altro, per quello che ne so, l'affermazione di Doria a Genova presenta notevoli somiglianze con quella di Pisapia.

Credo che sia corretto affermare che il PD è nato per aggregare al suo interno le due grandi tradizioni riformiste italiane, quella socialista e quella cattolica e generare così una più completa e valida offerta politica progressista. Non si tratta di un compito banale date le peculiarità, tutte italiane, del processo evolutivo politico del secondo dopoguerra. 
Troppo prolungate e polarizzate sono state le divergenze conseguenti alla cristallizzazione del dibattito in un paese che, contemporaneamente, ospitava  un papa invariabilmente ingombrante, fungeva da baluardo contro l'Est sovietico ed annoverava la presenza del più grande e potente partito comunista d'opposizione del mondo. 
Né è stato molto di aiuto il collasso repentino di quello status quo. La regolarità del processo di elaborazione del cambiamento ne ha molto risentito. Il risultato è che la fusione armoniosa delle migliori istanze delle due componenti non è avanzata quanto sarebbe desiderabile e che le resistenze e le meschinità delle frange più arretrate delle due parti incidono più di quanto sarebbe auspicabile.
Tra le conseguenze di questo stato di cose vi è, tra l'altro, la difficoltà di elaborazione di una linea politica coerente, persistente e con respiro strategico. Troppo spesso la tattica miope ed il gioco correntizio prendono il sopravvento, questo perché le pratiche egemoniche restano pericolosamente seducenti.

Agli elettori, però, non interessano le manovre più o meno sagaci e spietate dei vari capibastone, la finezza o la brutalità con la quale scafatissimi, e di lungo corso, professionisti della politica riescono a mettere in minoranza, momentanea peraltro, indesiderati competitori alla conduzione del partito.
La gente “normale” si aspetta senz'altro che all'interno del proprio partito di riferimento vi sia un processo di elaborazione della linea politica, magari anche brutale, ma compiuto e fungibile e non, come ora, inconcludente e privo di propositività. Da una parte si teme di perdere pezzi, dall'altra si cerca di scongiurare ogni parvenza di vittoria, anche parziale, che possa avvantaggiare l'antagonista interno. 
Il risultato, sotto gli occhi di tutti, è che troppo spesso il candidato è una personalità opaca che, più che rispondere alle istanze del territorio e degli elettori, è il prodotto della soffocante tutela degli equilibri di compromesso dell'apparato che lo ha espresso. 
Se poi, come a Genova, si compie l'errore tattico (ma inevitabile vista la logica soggiacente) di andare alla consultazione con più candidati, non si fa altro che lastricare il percorso della proposta “esterna”, già intrinsecamente più appetibile, favorendo la dispersione dei voti.

L'insofferenza dell'elettorato (soprattutto di centro sinistra) ha veramente raggiunto livelli di guardia. Il meccanismo di identificazione con un partito-chiesa non funziona più già da decenni. L'elettore pretende sempre più pressantemente dalla politica, vista la situazione e le prospettive deprimenti, l'assunzione di precise responsabilità sui programmi e sulla loro gestione.
Prodi, nella sua prima campagna elettorale, raccolse molti consensi perché, tra l'altro, era l'unico che dimostrava di avere una prospettiva storica. I programmi che proponeva guardavano al ventennio successivo. Questo dovrebbe fare un politico. Prodi venne fatto fuori dal piccolo cabotaggio di manovratori della politica dal corto respiro. In molti se lo ricordano tuttora e non sono troppo disposti a perdonare o dimenticare.
Pisapia ha avuto successo perché è risultato credibile e propositivo, ha dimostrato di voler governare in stretta relazione con i cittadini e non ha mai occultato o edulcorato i provvedimenti critici che si proponeva di prendere. 
E' stato, in una parola, autorevole e questo lo ha ripagato, ha insomma deciso di correre i suoi rischi.
Siamo tutti in ansiosa attesa che il PD arrivi alla stessa determinazione. Certo, può optare per una tormentosa morte per inedia.
Fatti suoi? No, dannazione, fatti nostri.




P.S. Ho inoltrato, come allegato, questo articolo a Pierluigi Bersani, Rosy Bindi, Anna Finocchiaro, Enrico Letta, Massimo D'Alema e Walter Veltroni.   Alcuni destinatari li ho coinvolti in quanto istituzionali, altri perché li ritengo responsabili dell'impasse che affligge il PD, tutti perché gestiscono, tra gli altri, anche il mio voto.