venerdì 18 novembre 2016

Dio è l’unico essere che, per regnare, non ha nemmeno bisogno di esistere. (Charles Baudelaire),

Facebook ha una funzione interessante che, giornalmente, ripropone gli interventi che il detentore di un account ha postato negli anni precedenti alla stessa data della sua consultazione.

Oggi mi compare la condivisione, avvenuta il 18 novembre del 2014, di questo articolo, nel quale Zichichi rintuzzava, con un'assertività invero poco scientifica, la di poco precedente dichiarazione di Umberto Veronesi circa l'inesistenza di un'entità divina.
Quel post diede luogo, come logico, ad una discussione abbastanza infervorata, anche se piuttosto prevedibile nei contenuti e nelle implicazioni.
Non si concluse nulla, ovviamente, ma rileggere gli interventi mi ha fatto venir voglia di puntualizzare alcune cose.

Io non sono un credente e, in quanto tale, non posso credere in un dio, ma neanche nella sua inesistenza, in quanto ciascuna delle due opzioni richiede una dimensione fideistica, pro o contro, per la quale non esistono presupposti che non siano teorici, indimostrabili e grottescamente apodittici.   Zichichi, devo dire senza particolare originalità, rintraccia nella perfetta giustapposizione di ogni cosa la dimostrazione evidente dell'esistenza di un architetto, anzi, dell'architetto per eccellenza.

Il fatto è che 0,000000000000001 secondi dopo il BigBang il caos era assoluto e niente era organizzato. Virtualmente qualsiasi seguito sarebbe stato possibile. Poi, pian piano, le infinite cose di un infinito universo si sono sistemate nell'unico modo possibile, creando un assetto che, a posteriori sembra miracoloso. 
Si tratta di un effetto che Richard Feynman. premio Nobel per la Fisica, sardonicamente commentava nelle sue conferenze dicendo: "stasera, venendo qui, ho visto una macchina targata AZ 004 YZ. Ma ci pensate? Tra milioni di targhe possibili ho visto proprio quella. È meraviglioso".
Magari un Creatore esiste, ma non è l'unica possibilità, con buona pace di Zichichi.


Un mio caro amico, credente, ma devoto anche alla scienza e appassionato cultore delle frontiere della fisica quantistica, intervenne con un'affermazione che, a mio avviso, riflette abbastanza bene l'accomodamento che è riuscito a realizzare tra queste due posizioni e mi rispose che 

"Difatti l'altra [possibilità] è un'Universo Auto-Creante, il che equivale logicamente a divinizzare l'Universo"
Il fatto è però che se se divinizzi qualcosa non lo rendi per questo vero, ma decidi di attribuirgli una qualità, ed è una cosa molto diversa. Se pensi che la semplice volitività possa creare oggettività non fai altro che sollevarti tirandoti per le stringhe delle scarpe.
Sono agnostico, come ho subito chiarito, e dunque non mi interessa "dimostrare" che Dio non esiste. Non lo so e non lo posso sapere. Tutto quello che posso pensare è che l'ipotesi divina non è strettamente indispensabile. 

Un altra cosa che penso è che il mio agnosticismo non ha bisogno di essere avallato da conferme esterne. Sono fermamente convinto della mia incertezza e le certezze altrui non mi minacciano in alcun modo, fino a quando non vogliono decidere per me. 

Veronesi maturò una convinzione, compiendo un percorso esistenziale che oggi si è concluso tra l'altro.     Zichichi lo contesta opponendogli la fede e dando per oggettiva una sua considerazione, sostanzialmente definita autoevidente
Zichichi è uno scienziato, dovrebbe sapere che quell'evidenza è in realtà un'ipotesi, e che dunque la sua verità è più propriamente una teoria.


Anche Zichichi compie un percorso esistenziale e regola i conti con sé stesso.  Quello che mi disturba è il vizio di gerarchizzare le convinzioni mettendo la propria nell'unica casella disponibile di autenticità, relegando le altre nel regno dell'errore e della falsità. È evidente che Dio non può esistere solo un po', è o non è, ma la cosa non è dimostrabile e la validità di una convinzione può essere solo un fatto strettamente personale.


Un altro interlocutore intervenne ponendomi la domanda fatale, ovvero: "ma dov'è la logica che regge il mondo?"  Una domanda che non mi è mai parsa così definitiva come sembrano pensare i credenti, che invariabilmente la pongono, il mondo, infatti, non mi sembra poi sempre così miracolosamente logico.

Guarda, dice il credente, l'acqua scorre verso il basso. È miracoloso. Se non lo facesse il mondo, così come lo conosciamo, non potrebbe esistere. Poi, ogni tanto, quell'acqua fa altro e il miracolo diventa un incubo. Le ragioni per le quali le due cose avvengono si dipanano su una linea infinita di ragioni concatenate che si allontanano dal vissuto quotidiano e dalle dimensioni macro, divenendo nel frattempo sempre più "esotiche" fino a sfumare nella nostra ignoranza.

Ma non riusciamo a dire semplicemente che non sappiamo, non tolleriamo di non avere una ragione che ci giustifichi e allora ci creiamo una certezza indimostrata e indimostrabile, a meno che non si ritenga valida la prova circostanziale suggerita con la domanda circa la logicità del mondo.

Il mondo è logico? Si , lo è, ma non nel senso che sottintende quella domanda. È logico anche nelle incongruenze che non comprendiamo e in fondo quello che succede avviene perché non può essere diversamente e noi esistiamo quale logica, ma per quanto ne sappiamo incidentale, conseguenza. O forse no. Chi lo sa veramente?


Come si fa a credere che Dio esiste? E come si fa a credere che non esiste? Sia il credente che il non credente sono due presuntuosi. Non a caso presumono.
Luciano De Crescenzo, I pensieri di Bellavista, 2005

giovedì 10 novembre 2016

Elezioni USA, un reality di scarsa qualità.







Una mia amica, Lela Dall'acqua, condivide su Facebook questo interessante istogramma e mai come in questo caso sono portato a pensare che un'immagine vale più di cento parole.

Lei commenta, asciuttamente e con britannico understatement: "doverosa una piccola ulteriore riflessione".
Io ne farei perlomeno due, e non tanto piccole.

Risulta innanzitutto evidente che mentre la frazione repubblicana rimane sempre più o meno della stessa consistenza, quella democratica sembra mobilitarsi quando il candidato appare in grado di alimentare una visione strategica e di largo respiro (come il primo Obama nel 2008), salvo poi allontanarsi progressivamente (secondo mandato nel 2012) quando l'eletto disattende malamente le aspettative, per poi giungere al minimo quando a quel presidente si fa seguire un candidato amorfo e per di più organico allo stesso establishment che ha fatto strame dei progetti di vita e delle aspettative dei delusi.

In questo senso mi sembra che la maggior responsabilità per la debacle democratica non vada imputata alla pur "antipatica" Hillary Clinton, ma piuttosto a Barak Obama, il detentore di un Nobel per la Pace, sulla fiducia e decisamente precipitoso, timido nel suo primo mandato e inconcludente, salvo purtroppo sul versante della politica - guerreggiata - estera, nel secondo.
E anche lo stato maggiore del Partito Democratico, con la sua asfittica capacità progettuale e i miserabili, ed errati, conti della serva elettorali porta una rilevante quota di responsabilità nella sconfitta.

Tutti si affannano a rivendicare a Trump una maggiore consonanza con il sentiment dell'americano medio, ma alla luce di questo diagramma non sembra essere quella la ragione del suo successo, mentre lo è la disaffezione dem, dato che solo l'assenza di una fetta impressionante di elettori progressisti ha consentito al tycoon di prevalere rimanendo il suo partito esattamente dove è sempre stato, perlomeno negli ultimi otto anni.

E qui scatta la mia seconda considerazione, che ha a che fare con le pecche della capacità rappresentativa effettiva dei sistemi bipolari e maggioritari. Una percentuale assai importante, risolutiva come si è visto, non ha riscontrato in nessuno dei due candidati elementi in grado di rappresentarne istanze e aspettative, risultando in tutta evidenza le due offerte virtualmente indistinguibili e sovrapponibili in più di un elemento. Si può discutere sulla congruità di questa sensazione, concordando o meno, ma sta di fatto che era presente e che ha agito in modo determinante.

Quale corollario a questa considerazione mi sembra che vada esaminata, e messa severamente in discussione, anche la capacità effettiva del sistema delle primarie di rappresentare l'elettorato e non, come sembra invece evidente, gruppi d'interesse organizzati e la sudditanza a questi degli apparati di partito.

Mi sembra del tutto evidente, a questo punto e a dispetto di tutti i semplificatori e fluidificatori, nostrani e non, dei processi di definizione politica che gli impianti maggioritari e bipolari risultano grossolani e inadeguati, atti più a rappresentare interessi organizzati ed economici che le effettive aspirazioni di un elettorato che dovrebbe essere rappresentato il più fedelmente possibile.
L'individuazione del 45° Presidente degli Stati Uniti d'America ha avuto un esito clamoroso, ma mi sembra di poter dire che sia il frutto di un processo impreciso, deludente e incapace di rappresentare integralmente la realtà sottostante. I suoi possibili esiti, precipitati poi nella proclamazione di un personaggio ampiamente criticabile, sarebbero stati in ogni caso una soluzione altamente opinabile, perché in fondo il processo non ha elaborato e distillato il meglio dalla società che dovrebbe rappresentare, ma solo un compromesso al ribasso, frutto più che altro di reciproche interdizioni e risentimenti, non importa quanto giustificati, il tutto subalterno alla definizione di rapporti di forza tra giganteschi interessi economici che vedono nell'elettorato solo una casella da spuntare e un elemento da manipolare.

La cosa ci riguarda? Certo che si. In fondo siamo tutti membri senza diritto di voto dell'impero statunitense e, da quando ho memoria, non si muove foglia che Zio Sam non voglia. Ma ci riguarda anche per le implicazioni di una pulsione arrembante all'instaurazione di una democrazia decidente, che ai riti nordamericani si ispira, e che vorrebbe anche qui semplificare e fluidificare.

Il concetto di democrazia decidente è un boccone avvelenato, e vanta sostenitori assai imbarazzanti (Berlusconi e Craxi, per dire). E' anche un concetto che ha a che fare molto con i rapporti di forza in un dato momento, e pochissimo con la sostanza della democrazia. Le dittature sono il tempio della modalità decidente, e sono anche costose, inefficienti e dolorose. Un pensierino per il giorno 4 dicembre 2016.

martedì 8 novembre 2016

La magia della "prestidirimiridigitazione" (Silvano, il mago di Milano)








La frequentazione dei social ti porta anche all'esposizione a testate giornalistiche che non degneresti mai di uno sguardo, conoscendone la propensione al fiancheggiamento acritico di tesi ai tuoi occhi squalificate e assai opinabili.

Ognuno ha le sue bestie nere, e per me quelle testate fanno parte della galassia informativa (sic!) berlusconiana, nella quale Libero si segnala per accentuata carenza di credibilità.


Ci sono però argomenti che raccolgono favori curiosamente trasversali, come il referendum costituzionale del 4 dicembre prossimo venturo, e l'euroscetticismo, di fronte ai quali la bocca si fa buona e allora si utilizza tutto quello che ti capita sottomano.

Così, un bel giorno, accedi a Facebook e mentre occhieggi in una pagina di persone che fanno riferimento a Sinistra Italiana, ti ritrovi a leggere questo articolo e l'entusiastica adesione del condividente, che con i componenti della redazione, in condizioni normali, potrebbe al massimo scambiarsi schiaffoni e insulti.

L'articolo riporta un'intervista all'avvocato Giuseppe Palma nel corso della quale sciorina le sue più che opinabili opinioni su quanto sarebbe semplice, veloce e conveniente uscire dall'Euro, fino a prodursi in questa straordinaria, e irresponsabile, affermazione:



"Una via d’uscita tuttavia esiste. È un’uscita d’emergenza. Il piano proposto da Palma è semplice e veloce: l’emanazione da parte del Governo di un decreto legge a mercati chiusi, il venerdì sera. Tale decreto, convertito in legge entro una settimana, dovrebbe prevedere l’uscita dalla moneta unica, la conversione nuova Lira/Euro in un rapporto 1:1, cioè 1 «nuova lira» varrebbe 1 euro, nonché la conversione del debito pubblico in nuova moneta nazionale."


È precisamente questa stupefacente superficialità a rendere poco credibile il campo dell'eruroscetticismo.
Tutto qui? Basterebbe veramente un colpo di mano la notte di un venerdì di un fatale week end?

E immagino che questo tasso di cambio 1:1 dovrebbe poi resistere indomito alle normali fluttuazioni del mercato valutario ed alla inevitabile tempesta che ne seguirà, vero? 

E anche il fatto che noi si sia un'economia, in profonda crisi, basata su trasformazione e terziario, con assoluta mancanza di materie prime e fonti energetiche, che dobbiamo procacciarci pagando in valuta forte, pare venga ritenuto un dettaglio in fondo secondario, mentre degli speculatori, con le loro leve finanziarie e la capacità di lucrare soprattutto dalla destabilizzazione degli assetti altrui, possiamo a quanto pare farcene un baffo.

Come possiamo felicemente non tener conto del fatto che la regia teutonica di questa Europa non potrebbe consentire, senza reazioni sanguinose, il fatto che un terzo dell'economia comunitaria (perché siamo tuttora un pezzo molto importante del costrutto europeo) se ne andasse allegramente.

Che idioti che siamo a subire in questo modo, quando sarebbe tutto così semplice, e che imbecilli i greci, gli spagnoli, i portoghesi, gli irlandesi, e via elencando, a dormire in piedi in questo modo.

Ma questo articolo conforta la convinzione, un bel po' meccanica e direi poco informata, di molti compagni, ai quali consiglierei la lettura di questo altro articolo, stavolta del Manifesto, soprattutto se sono anche lavoratori dipendenti, o quello che ora passa come tale, e ancor più se pensionati, come il sottoscritto.


Uscire dall'Euro si potrebbe anche fare, ma con un processo abbastanza articolato e complesso che, tra l'altro, prevederebbe l'instaurazione di una proto-divisa collaterale, come i certificati di credito fiscali illustrati in uno studio edito da MicroMega circa un anno fa, così da creare i presupposti economici in grado di essere rappresentati dal successore dell'Euro, una cosa che ci vedrebbe comunque sottoposti ad attacchi furiosi non solo dei fautori di questa Europa, ma anche degli speculatori che sono straordinariamente di bocca buona e colpiscono sempre dove fa più male.

Noi stiamo soffrendo non per l'Euro, che è uno strumento, ma per le logiche che lo utilizzano. Può sembrare un distinguo ozioso, ma non è così. E' come prendersela col randello e non con l'energumeno che te lo cala sulla testa.

Mi sembra assodato che l'Europa sia una camicia di forza asservita alle esigenze di un concerto turboliberista, e che sia necessario o rifondarne integralmente i principi funzionali, oppure concertare una separazione consensuale che però, per non risultare follemente autolesionistica, deve essere fatta con rapporti di forza non conseguibili da una sola entità nazionale.

Io propendo più per la prima opzione che per la seconda, e comunque anche la seconda dovrebbe configurarsi come un prerequisito funzionale a patti costitutivi di una diversa alleanza.
Mi sembra infatti abbastanza autolesionistico presentarsi soli ed isolati su di un palco già occupato da giganti come USA, Cina, India e Russia, soprattutto se non hai beni e servizi su base esclusiva o con forza economica cospicua.

Queste mie valutazioni, che ho espresso nel thread apertosi in calce alla condivisione dell'articolo, naturalmente, mi hanno già esposto, mentre scrivo, alla considerazione che mi qualificherebbe come digiuno di "economia e strategia politica" (sempre meglio sottovalutare l'interlocutore senza sostanziare la critica) il che è già un gradito cambiamento rispetto a quella canonica, espressami in altre occasioni, da parte di compagni che hanno preferito accusarmi di essere in odore di contiguità piddina, accusa che mi infastidisce assai per strumentalità e palese inconsistenza, facilmente riscontrabile da mie pregresse prese di posizione.
  
Potrei rimproverare loro prossimità, altrettanto imbarazzanti, con le posizioni leghiste, per tacere della fonte sulla quale ci stiamo accapigliando, ma mi ripugna scendere così in basso.

Ci sarebbe da entrare nel merito.  Magari un'altra volta eh?