venerdì 21 agosto 2020

L’ozio non è il non far nulla. L’ozio è essere liberi di fare qualsiasi cosa. (Floyd Dell)

Oggi ho letto un post nel quale si parlava dell'ozio quale pratica indispensabile all'uomo moderno per difendersi dallo straniamento di uno stile di vita che non concede "spazi di ricarica".

Leggendolo mi è venuto in mente che quando accettai di divenire un esodato, preludio ad una pensione che poi venne messa in grave pericolo dalla professoressa Fornero, alcuni colleghi mi chiesero cosa avrei fatto "con tutto quel tempo libero", pronosticandomi un futuro di noia e vuoto.

Io risposi, istintivamente e senza pensarci che lo avrei "buttato via" finalmente e che la cosa mi avrebbe dato un piacere dionisiaco, dopo una vita passata a rispettare scadenze serrate e tempi ristretti per conseguire obiettivi spesso irrealistici e invariabilmente per conto terzi.

E così è stato, anche se dopo un po' decisi di utilizzare una bella fetta di quel tempo in favore di alcune passioni trascurate (chitarra, ballo e scrittura), sfide (imparare a leggere uno spartito) e in una attività di volontariato piuttosto appagante.

Alla fine poi, non si tratta propriamente di ozio, ma di tempi rilassati, della perdita di una dimensione di frenesia contrabbandata come valore, ma che in realtà non è niente di più di un pesante basto impostoci sul groppone da gente che ha "oziato" veramente per tutta la vita.

D'altra parte è stata poi una fortuna poter disporre di tanto tempo libero, dato che la salute è peggiorata e gli accessi alla sanità pubblica, biblicamente prolungati, mi avrebbero messo in seria difficoltà se fossi stato ancora un lavoratore attivo. I lavoratori, dopo la cura renziana del job act e della promozione del lavoro precario a scapito di quello a tempo indeterminato, e annessa sterilizzazione dello Statuto che ne tutelava i diritti, sono divenuti a tutti gli effetti degli "strumenti", e che cosa si fa con uno strumento usurato? Ma lo si butta, che diamine, per prenderne un altro, e il serbatoio di disoccupati con basse pretese, perché tenuti programmaticamente a stecchetto, è sempre pieno.

I giovani di oggi sono vittime di un furto atroce. Costretti ad un precariato diluito in uno stato prevalente di disoccupazione, hanno prolungati periodi di inattività, che però non possono essere definiti "ozio", perché troppo carichi di un'ansia che tiene in uno stato di incertezza e impedisce l'inverarsi di un progetto di vita qualsiasi. E, ancora peggio, anche se precariamente impiegati in qualche sottopagato lavoro, è loro virtualmente impedito di costruire un cammino previdenziale adeguato, che comunque sarebbe molto più lungo di quello delle generazioni che li hanno preceduti nel dopoguerra e che si risolverebbe in un assegno assai striminzito.

Ci hanno privati della dignità del lavoro. Ci hanno privati di un accesso all'ozio, quale compenso di una vita operosa e dunque, sulla base dell'aforisma che funge da titolo per questo breve testo, ci hanno privati della libertà.