domenica 20 maggio 2018

E il rancio? Ma ottimo e abbondante, che diamine.

Molti giornali annunciano trionfalmente che il 94% degli iscritti M5S approva il contratto legastellato, credo intendendo, con la dizione iscritti, il numero di abilitati alla piattaforma Rosseau che hanno espresso la loro opinione su quel programma.

Un risultato importante?  Beh, vediamo!

Cominciamo col dire che gli elettori che hanno votato per M5S, alla Camera, nello scorso 4 marzo sono esattamente 10.937.305, cosa che fa del Movimento, come sappiamo, il primo partito italiano, senza se e senza ma.

Proseguiamo col dire che è pressoché impossibile sapere quanti di quegli elettori si siano effettivamente accreditati presso la piattaforma, peraltro risultata piuttosto insicura e costantemente ansimante, non appena sottoposta a livelli anche limitati di accessi, e che l'unico dato che ho fortunosamente reperito riporta il risibile numero di 140.000, ovvero l'1,28% degli elettori pentastellati.  Prendendolo però per buono, ne dobbiamo far discendere che si è pronunciato in proposito il 32% degli iscritti citati nei titoli giornalistici.

Trattandosi tuttavia di un dato non certificato (l'ho riportato solo per sottolineare l'opacità che avvolge il sistema di voto digitale grilliano), dimentichiamocelo e prendiamo atto che gli abilitati che si sono espressi sul contratto sono esattamente 44.796, ovvero lo 0,41% degli elettori del Movimento, e che il 94,37% rivendicato dai titoli di cui sopra, corrisponde al non cospicuo numero dei 42.274 favorevoli (2.522 i contrari), ovvero lo 0,39% del popolo pentastellato.

Quanto sopra non per squalificare l'esito della consultazione, ma solo per dire che certi toni trionfalistici sono piuttosto ridicoli.   A me già basta considerare che:
  • la consultazione elettorale ci ha consegnato un primo partito, M5S, ed una prima coalizione, centrodestra, al cui interno vi è quella Lega che sta trattando col Movimento;
  • l'infima qualità del Rosatellum bis impedisce di discriminare una gerarchia tra quelle due primazie;
  • il popolo pentastellato ha rumoreggiato assai più quando si è profilato un abboccamento col PD, rispetto all'attuale concerto con la Lega.

Dato dunque che il favore elettorale ha privilegiato, col voto e con le dinamiche successive, l'evoluzione di un'ipotesi di governo sostanzialmente di destra moderata, con molte componenti di quella estrema non neofascista, e che il funzionamento delle nostre istituzioni non abbisogna di strutture altre rispetto alla: 

  • prassi del conferimento di un incarico da Primo Ministro;
  • formazione di un governo su un programma;
  • successiva votazione della fiducia; 

tutta questa rappresentazione pataccara di democrazia diretta (nel frattempo la Lega ha promosso i banchetti) non è altro che fumo negli occhi, per spogliarsi della responsabilità delle proprie future azioni.

Non è necessario, infatti, possedere arcane doti divinatorie per sapere che questa armata Brancaleone, se investita della responsabilità di governare, ci porterà a sbattere la capoccia su molti solidissimi muri, dato che privilegia le soluzioni demagogiche, senza porsi problemi di fattibilità e verosimiglianza, e quando ciò accadrà ci sentiremo dire: “ma l'avete voluto voi, e ci abbiamo le prove”.

Insomma, signori miei, avete voluto la bicicletta? Bene, ora pedalate.

A me fanno un pochino pena, e anche molto incazzare, i compagni grillini, con i loro spericolati esercizi di free climbing sugli specchi, che si fanno bastare i larvati accenni ad un'abrogazione della Legge Fornero tutta da verificare, l'epocale endorsement per un NO TAV che non fa i conti con l'Europa ed i notoriamente cazzutissimi francesi, e che liquidano flat tax e rodomontate razziste dicendo che “si aprono prospettive per una nuova sinistra”, sottintendendo che si piglieranno il buono dell'operato legastellato  predisponendosi a protestare ed opporsi per il cattivo dell'operato del governo giallo-verde.

Protestare?    
Opporsi?    
E come?    
Con chi?    
Attraverso quali canali? 

E intendente farlo contando sulla straordinaria benevolenza normalmente riservata a chi critica le virtù pentastellate? Sfruttando la proverbiale correttezza dialettica e dibattimentale che ha sempre accolto le rimostranze degli implicitamente collusi e venduti che osano dissentire?

Dormite bene, cari compagni.   Sarà anche poco elegante, ma io ho già bello pronto un bel “ve l'avevo detto, cazzoni”! 




mercoledì 9 maggio 2018

Il ventennio berlusconiano non è passato invano.

Tutti sembrano aver ingoiato l'idea che il nostro sia un ordinamento simil-presidenziale, che necessita di un Premier onnipotente, figura vicaria di un presidente come quello nordamericano, e di un Parlamento ornamentale, ridotto a mera segreteria di un esecutivo poderoso e senza contraddittorio.

Quella era l'idea che aveva della gestione politica di un paese un imprenditore, cioè un individuo abituato a pensare in termini di proprietà, nel senso di facoltà di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, e di brutali rapporti di forza.

Quella era anche la sostanza ultima della riforma costituzionale renziana, invero assai berlusconiana, che avrebbe dovuto essere attuata insieme all'Italicum, brutalmente maggioritario, ed al Job Act, che si occupava, e si occupa tuttora, della ricattabilità di un popolo tenuto programmaticamente a stecchetto.
Il tutto in una laida triade, di cui al momento sopravvive solo l'ultima gamba; un dispositivo teso ad impiantare un regime sostanzialmente autoritario, in nome di un'emergenza affrontata solo nominalmente, ma in realtà coltivata con cura.

Non è ancora finita comunque.    In questi giorni abbiamo la lampante dimostrazione di come il sistema partitico sia incapace di fare politica, imprigionato in una logica maggioritaria ed ostaggio di un quinquennio di dialettica fatta di insulti, falsità, delegittimazioni reciproche e solenni promesse di soluzioni finali velleitarie e controproducenti.

Nessuno sembra disposto a ricordarsi che la nostra è tuttora una repubblica parlamentare, ove la rappresentanza democratica della volontà popolare è affidata,  tramite elezioni politiche, al Parlamento e ai suoi membri, che, in quanto tale, elegge il Presidente della Repubblica, il quale individua il Primo Ministro, e con esso una compagine governativa la quale, a sua volta, deve riscuotere la fiducia nel Parlamento, in un ritorno che assicura a quell'organismo la patente di istituzione centrale del nostro ordinamento


Il luogo ove si fanno le leggi è il Parlamento, sede del potere legislativo che, costituzionalmente, deve essere ben distinto da quello esecutivo, espresso dal Governo, che non fa leggi, al massimo sollecitandole, limitandosi ad esprimere una conduzione, tattica quanto strategica, della vita del Paese, all'interno dei limiti espressi da quelle leggi.

La buona salute di una nazione è il frutto dell'armoniosa sinergia nell'azione dei tre differenti poteri, quelli sopra citati e quello giudiziario, espresso da quella Magistratura che molti vorrebbero imbrigliare.    Per converso, come stiamo sperimentando sulla nostra pelle, una distonia tra di loro la paghiamo con una pessima qualità del suo funzionamento 

L'enfasi posta sulla cosiddetta governabilità è solo la certificazione dell'incapacità, ma forse dovremmo parlare della non volontà di affrontare la fatica di una costante opera di composizione di aspettative e istanze differenti, che tengano conto della natura composita del contesto sociale di una nazione relativamente estesa, popolosa e percorsa da mentalità e storie differenti per quanto lungo e stretto è lo stivale.

La scarsa capacità della nostra classe politica emerge, in tutta la sua imbarazzante evidenza, nel continuo richiamo a sistemi elettorali che superino la complessità col semplice espediente di dopare una dichiarata minoranza, fino a farla diventare una maggioranza convenzionale. in quello che non possiamo definire altro che una prevaricazione dei principi costituzionali.

Comunque il nostro Parlamento, nuovo di zecca e ancora in rodaggio, è nella pienezza delle sue facoltà, e se solo volesse potrebbe legiferare, anche in assenza di un esecutivo politico, la cui individuazione sta risultando così problematica.

I due vincitori delle scorse elezioni, Lega e M5S, hanno dichiarato in campagna elettorale  di voler abrogare la Legge Fornero, e potrebbero ora realizzare quella promessa, dato che i numeri consentirebbero loro di farlo, ma ciò non avviene, e dovremmo tutti meditare su questa cosa, anche per capire la differenza tra le pubbliche dichiarazioni e le sottostanti volontà effettive.

domenica 6 maggio 2018

...ché la diritta via era smarrita!

Abbiamo il problema di come superare l'attuale fase di stallo, propiziata dall'impianto sostanzialmente tripolare del sentire politico del corpo elettorale e acuita dall'assuefazione alla soluzione maggioritaria, oggi del tutto impraticabile, indotta, anzi inculcata, dal berlusconismo.

A me verrebbe da dire che la soluzione consisterebbe nel tornare a praticare la politica, intesa come attività intrinsecamente dialettica di individuazione di esigenze e strumenti, motivata dalla volontà di risolvere problemi e di progettare il futuro, guidata da una visione, ma consapevole, e rispettosa, della natura composita del contesto sociale.

Questo significherebbe, come dice la nostra Costituzione, che il luogo di questa sintesi dovrebbe essere il Parlamento, all'interno del quale si dovrebbero verificare i necessari processi di elaborazione, ma, come dicevo, Berlusconi non è passato invano, e tutti si affannano a vedere nei sistemi maggioritari la soluzione al problema.

In pratica si sostiene che il luogo di elaborazione e attuazione della politica dovrebbe essere l'istanza esecutiva, e non quella legislativa, in una truffaldina sopravvivenza del cuore pulsante di quella riforma costituzionale, con Italicum a corredo, fortemente voluta da Renzi, e sonoramente sconfitta dal referendum popolare: un forte esecutivo senza effettivo contraddittorio e con il Parlamento ridotto alla funzione di pura vidima notarile dei desiderata governativi.

Stiamo accarezzando un incubo democratico poiché la composizione delle attuali istanze parlamentari ci dice che le varie proposte politiche rappresentano parti minoritarie dell'elettorato, rese ancora più minuscole se rielaboriamo le percentuali emerse considerando il forte tasso di astensione.
Un impianto maggioritario sancirebbe l'imperio di una minoranza e la castrazione operativa di un'opposizione del tutto ornamentale.

In questi ultimi giorni, in particolare e soprattutto tra chi ancora vede nel PD il proprio punto di riferimento, particolare enfasi viene posta sul modello maggioritario alla francese, e un mio amico, ed ex collega, sottolinea che:

"con l’elezione diretta il candidato, soprattutto al secondo turno, si fa appello direttamente agli elettori. Ci sono vantaggi e svantaggi".

Ma il candidato non può che essere il distillato di una proposta politica.
Questa, alla fine, discende da interessi precisi che o vengono mediati da una organizzazione partitica, a base popolare, oppure da gruppi di interesse specifici, che di popolare possono anche non avere nulla.

Con l'enfasi sul candidato viene meno la fase elaborativa e di coinvolgimento dei diretti interessati, cioè tutti noi.   
L'elettore, scoraggiato dal prendersi le sue responsabilità nell'elaborazione di una linea politica, smette di essere l'artigiano che costruisce il suo futuro, e diviene il consumatore che preleva dallo scaffale il prodotto che trova.

I nostri guai peggiori sono cominciati proprio quando abbiamo iniziato a opzionare nomi, e non modelli politici.