domenica 6 maggio 2018

...ché la diritta via era smarrita!

Abbiamo il problema di come superare l'attuale fase di stallo, propiziata dall'impianto sostanzialmente tripolare del sentire politico del corpo elettorale e acuita dall'assuefazione alla soluzione maggioritaria, oggi del tutto impraticabile, indotta, anzi inculcata, dal berlusconismo.

A me verrebbe da dire che la soluzione consisterebbe nel tornare a praticare la politica, intesa come attività intrinsecamente dialettica di individuazione di esigenze e strumenti, motivata dalla volontà di risolvere problemi e di progettare il futuro, guidata da una visione, ma consapevole, e rispettosa, della natura composita del contesto sociale.

Questo significherebbe, come dice la nostra Costituzione, che il luogo di questa sintesi dovrebbe essere il Parlamento, all'interno del quale si dovrebbero verificare i necessari processi di elaborazione, ma, come dicevo, Berlusconi non è passato invano, e tutti si affannano a vedere nei sistemi maggioritari la soluzione al problema.

In pratica si sostiene che il luogo di elaborazione e attuazione della politica dovrebbe essere l'istanza esecutiva, e non quella legislativa, in una truffaldina sopravvivenza del cuore pulsante di quella riforma costituzionale, con Italicum a corredo, fortemente voluta da Renzi, e sonoramente sconfitta dal referendum popolare: un forte esecutivo senza effettivo contraddittorio e con il Parlamento ridotto alla funzione di pura vidima notarile dei desiderata governativi.

Stiamo accarezzando un incubo democratico poiché la composizione delle attuali istanze parlamentari ci dice che le varie proposte politiche rappresentano parti minoritarie dell'elettorato, rese ancora più minuscole se rielaboriamo le percentuali emerse considerando il forte tasso di astensione.
Un impianto maggioritario sancirebbe l'imperio di una minoranza e la castrazione operativa di un'opposizione del tutto ornamentale.

In questi ultimi giorni, in particolare e soprattutto tra chi ancora vede nel PD il proprio punto di riferimento, particolare enfasi viene posta sul modello maggioritario alla francese, e un mio amico, ed ex collega, sottolinea che:

"con l’elezione diretta il candidato, soprattutto al secondo turno, si fa appello direttamente agli elettori. Ci sono vantaggi e svantaggi".

Ma il candidato non può che essere il distillato di una proposta politica.
Questa, alla fine, discende da interessi precisi che o vengono mediati da una organizzazione partitica, a base popolare, oppure da gruppi di interesse specifici, che di popolare possono anche non avere nulla.

Con l'enfasi sul candidato viene meno la fase elaborativa e di coinvolgimento dei diretti interessati, cioè tutti noi.   
L'elettore, scoraggiato dal prendersi le sue responsabilità nell'elaborazione di una linea politica, smette di essere l'artigiano che costruisce il suo futuro, e diviene il consumatore che preleva dallo scaffale il prodotto che trova.

I nostri guai peggiori sono cominciati proprio quando abbiamo iniziato a opzionare nomi, e non modelli politici.

Nessun commento:

Posta un commento

Ti ringrazio per aver voluto esprimere un commento.