Tutti sembrano aver ingoiato l'idea che il nostro sia un ordinamento simil-presidenziale, che necessita di un Premier onnipotente, figura vicaria di un presidente come quello nordamericano, e di un Parlamento ornamentale, ridotto a mera segreteria di un esecutivo poderoso e senza contraddittorio.
Quella era l'idea che aveva della gestione politica di un paese un imprenditore, cioè un individuo abituato a pensare in termini di proprietà, nel senso di facoltà di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, e di brutali rapporti di forza.
Quella era anche la sostanza ultima della riforma costituzionale renziana, invero assai berlusconiana, che avrebbe dovuto essere attuata insieme all'Italicum, brutalmente maggioritario, ed al Job Act, che si occupava, e si occupa tuttora, della ricattabilità di un popolo tenuto programmaticamente a stecchetto.
Il tutto in una laida triade, di cui al momento sopravvive solo l'ultima gamba; un dispositivo teso ad impiantare un regime sostanzialmente autoritario, in nome di un'emergenza affrontata solo nominalmente, ma in realtà coltivata con cura.
Non è ancora finita comunque. In questi giorni abbiamo la lampante dimostrazione di come il sistema partitico sia incapace di fare politica, imprigionato in una logica maggioritaria ed ostaggio di un quinquennio di dialettica fatta di insulti, falsità, delegittimazioni reciproche e solenni promesse di soluzioni finali velleitarie e controproducenti.
Nessuno sembra disposto a ricordarsi che la nostra è tuttora una repubblica parlamentare, ove la rappresentanza democratica della volontà popolare è affidata, tramite elezioni politiche, al Parlamento e ai suoi membri, che, in quanto tale, elegge il Presidente della Repubblica, il quale individua il Primo Ministro, e con esso una compagine governativa la quale, a sua volta, deve riscuotere la fiducia nel Parlamento, in un ritorno che assicura a quell'organismo la patente di istituzione centrale del nostro ordinamento
Il luogo ove si fanno le leggi è il Parlamento, sede del potere legislativo che, costituzionalmente, deve essere ben distinto da quello esecutivo, espresso dal Governo, che non fa leggi, al massimo sollecitandole, limitandosi ad esprimere una conduzione, tattica quanto strategica, della vita del Paese, all'interno dei limiti espressi da quelle leggi.
La buona salute di una nazione è il frutto dell'armoniosa sinergia nell'azione dei tre differenti poteri, quelli sopra citati e quello giudiziario, espresso da quella Magistratura che molti vorrebbero imbrigliare. Per converso, come stiamo sperimentando sulla nostra pelle, una distonia tra di loro la paghiamo con una pessima qualità del suo funzionamento
L'enfasi posta sulla cosiddetta governabilità è solo la certificazione dell'incapacità, ma forse dovremmo parlare della non volontà di affrontare la fatica di una costante opera di composizione di aspettative e istanze differenti, che tengano conto della natura composita del contesto sociale di una nazione relativamente estesa, popolosa e percorsa da mentalità e storie differenti per quanto lungo e stretto è lo stivale.
La scarsa capacità della nostra classe politica emerge, in tutta la sua imbarazzante evidenza, nel continuo richiamo a sistemi elettorali che superino la complessità col semplice espediente di dopare una dichiarata minoranza, fino a farla diventare una maggioranza convenzionale. in quello che non possiamo definire altro che una prevaricazione dei principi costituzionali.
Comunque il nostro Parlamento, nuovo di zecca e ancora in rodaggio, è nella pienezza delle sue facoltà, e se solo volesse potrebbe legiferare, anche in assenza di un esecutivo politico, la cui individuazione sta risultando così problematica.
I due vincitori delle scorse elezioni, Lega e M5S, hanno dichiarato in campagna elettorale di voler abrogare la Legge Fornero, e potrebbero ora realizzare quella promessa, dato che i numeri consentirebbero loro di farlo, ma ciò non avviene, e dovremmo tutti meditare su questa cosa, anche per capire la differenza tra le pubbliche dichiarazioni e le sottostanti volontà effettive.
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mercoledì 9 maggio 2018
domenica 6 maggio 2018
...ché la diritta via era smarrita!
Abbiamo il problema di come superare l'attuale fase di stallo, propiziata dall'impianto sostanzialmente tripolare del sentire politico del corpo elettorale e acuita dall'assuefazione alla soluzione maggioritaria, oggi del tutto impraticabile, indotta, anzi inculcata, dal berlusconismo.
A me verrebbe da dire che la soluzione consisterebbe nel tornare a praticare la politica, intesa come attività intrinsecamente dialettica di individuazione di esigenze e strumenti, motivata dalla volontà di risolvere problemi e di progettare il futuro, guidata da una visione, ma consapevole, e rispettosa, della natura composita del contesto sociale.
Questo significherebbe, come dice la nostra Costituzione, che il luogo di questa sintesi dovrebbe essere il Parlamento, all'interno del quale si dovrebbero verificare i necessari processi di elaborazione, ma, come dicevo, Berlusconi non è passato invano, e tutti si affannano a vedere nei sistemi maggioritari la soluzione al problema.
In pratica si sostiene che il luogo di elaborazione e attuazione della politica dovrebbe essere l'istanza esecutiva, e non quella legislativa, in una truffaldina sopravvivenza del cuore pulsante di quella riforma costituzionale, con Italicum a corredo, fortemente voluta da Renzi, e sonoramente sconfitta dal referendum popolare: un forte esecutivo senza effettivo contraddittorio e con il Parlamento ridotto alla funzione di pura vidima notarile dei desiderata governativi.
Stiamo accarezzando un incubo democratico poiché la composizione delle attuali istanze parlamentari ci dice che le varie proposte politiche rappresentano parti minoritarie dell'elettorato, rese ancora più minuscole se rielaboriamo le percentuali emerse considerando il forte tasso di astensione.
Un impianto maggioritario sancirebbe l'imperio di una minoranza e la castrazione operativa di un'opposizione del tutto ornamentale.
In questi ultimi giorni, in particolare e soprattutto tra chi ancora vede nel PD il proprio punto di riferimento, particolare enfasi viene posta sul modello maggioritario alla francese, e un mio amico, ed ex collega, sottolinea che:
Ma il candidato non può che essere il distillato di una proposta politica.
Questa, alla fine, discende da interessi precisi che o vengono mediati da una organizzazione partitica, a base popolare, oppure da gruppi di interesse specifici, che di popolare possono anche non avere nulla.
Con l'enfasi sul candidato viene meno la fase elaborativa e di coinvolgimento dei diretti interessati, cioè tutti noi.
L'elettore, scoraggiato dal prendersi le sue responsabilità nell'elaborazione di una linea politica, smette di essere l'artigiano che costruisce il suo futuro, e diviene il consumatore che preleva dallo scaffale il prodotto che trova.
I nostri guai peggiori sono cominciati proprio quando abbiamo iniziato a opzionare nomi, e non modelli politici.
A me verrebbe da dire che la soluzione consisterebbe nel tornare a praticare la politica, intesa come attività intrinsecamente dialettica di individuazione di esigenze e strumenti, motivata dalla volontà di risolvere problemi e di progettare il futuro, guidata da una visione, ma consapevole, e rispettosa, della natura composita del contesto sociale.
Questo significherebbe, come dice la nostra Costituzione, che il luogo di questa sintesi dovrebbe essere il Parlamento, all'interno del quale si dovrebbero verificare i necessari processi di elaborazione, ma, come dicevo, Berlusconi non è passato invano, e tutti si affannano a vedere nei sistemi maggioritari la soluzione al problema.
In pratica si sostiene che il luogo di elaborazione e attuazione della politica dovrebbe essere l'istanza esecutiva, e non quella legislativa, in una truffaldina sopravvivenza del cuore pulsante di quella riforma costituzionale, con Italicum a corredo, fortemente voluta da Renzi, e sonoramente sconfitta dal referendum popolare: un forte esecutivo senza effettivo contraddittorio e con il Parlamento ridotto alla funzione di pura vidima notarile dei desiderata governativi.
Stiamo accarezzando un incubo democratico poiché la composizione delle attuali istanze parlamentari ci dice che le varie proposte politiche rappresentano parti minoritarie dell'elettorato, rese ancora più minuscole se rielaboriamo le percentuali emerse considerando il forte tasso di astensione.
Un impianto maggioritario sancirebbe l'imperio di una minoranza e la castrazione operativa di un'opposizione del tutto ornamentale.
In questi ultimi giorni, in particolare e soprattutto tra chi ancora vede nel PD il proprio punto di riferimento, particolare enfasi viene posta sul modello maggioritario alla francese, e un mio amico, ed ex collega, sottolinea che:
"con l’elezione diretta il candidato, soprattutto al secondo turno, si fa appello direttamente agli elettori. Ci sono vantaggi e svantaggi".
Ma il candidato non può che essere il distillato di una proposta politica.
Questa, alla fine, discende da interessi precisi che o vengono mediati da una organizzazione partitica, a base popolare, oppure da gruppi di interesse specifici, che di popolare possono anche non avere nulla.
Con l'enfasi sul candidato viene meno la fase elaborativa e di coinvolgimento dei diretti interessati, cioè tutti noi.
L'elettore, scoraggiato dal prendersi le sue responsabilità nell'elaborazione di una linea politica, smette di essere l'artigiano che costruisce il suo futuro, e diviene il consumatore che preleva dallo scaffale il prodotto che trova.
I nostri guai peggiori sono cominciati proprio quando abbiamo iniziato a opzionare nomi, e non modelli politici.
venerdì 27 aprile 2018
I "compagni grillini"
I
compagni grillini, ovvero quella fetta della sinistra
che ha votato M5S, ravvedendo in quel movimento una preziosa
opportunità, sono ringalluzziti per la chiusura del forno
leghista, che li aveva messi in difficoltà per l’assai
scarsa consonanza coi presupposti strategici della loro scelta, ma
forse dovrebbero aspettare ancora un poco prima di rilassarsi.
Vasti
settori delle basi del PD e di M5S, sono prossimi alla rivolta
di fronte alla prospettiva di un accordo qualsiasi con l'arcinemico,
grullino o pidiota, a seconda dei casi, e
non credo che Renzi rinuncerà troppo facilmente a mettersi di
traverso, per interposti sostenitori all’interno della Direzione
del suo partito.
La
strada di un concerto tra M5S e PD, definito in vari fantasiosi modi
pur di stare alla larga dal termine alleanza, è tutta in
salita e difficilmente potrà avere un seguito. L’esito più
probabile sarà quello di propiziare una ulteriore spaccatura,
l’ultima e definitiva io credo, in ciò che resta del PD, con la
scheggia renziana pronta all’abbraccio con le salme
- in senso politico - di Berlusconi e del suo partito-azienda, e
quella dei collaborativi - a quel punto però inutili a
sé ed agli altri - che andrà ad ingrossare il parco moscerini
della sinistra nazionale, ovviamente indisponibile a qualsivoglia
processo di aggregazione.
La
macchina propagandistica pentastellata non è però in difficoltà,
essendo straordinariamente sfacciata come sappiamo, e si prepara a
rivendicare lo storico successo di aver sconfitto e scompaginato
l’odiato partito dei collusi.
A
quel punto, se il Presidente Mattarella non perderà la pazienza e
continuerà ad affidare mandati esplorativi, M5S potrà volgersi
nuovamente verso la Lega, chiarire che l’unico impedimento reale ad
un governo M5S-Lega consiste nell’ingombrante presenza del
pregiudicato Berlusconi, ed allora potrebbe anche accadere che, dopo
aver spezzato le reni al PD, alla macchina da guerra pentastellata
riesca il colpaccio di scardinare il centrodestra, con Salvini che,
con il suo 17 e spiccioli percento, potrebbe salutare il cavaliere e
portare quello che serve al Movimento per andare molto vicini alla
maggioranza assoluta, il tutto con un’opposizione sparsa e
ininfluente, anche nel più che probabile caso di una saldatura tra
FI e PdR (partito di Renzi).
Lo
sento già il rumore delle pernacchie, delle risate e degli insulti
che i compagni grillini mi rivolgeranno, ma non me ne
cala nulla, dato che con la scelta che hanno fatto a suo tempo io e
loro abbiamo imboccato strade differenti e divergenti, cosa che rende le loro critiche meno efficaci, per quanto mi riguarda.
Tutto
quello che precede può anche essere catalogato nel campo della
fantapolitica, o delle stronzate come
preferiranno definirle, ma sta di fatto che quando si arriva con le
spalle al muro, e la definizione di un governo è indubitabilmente
finita su un binario morto, tutto diviene possibile, soprattutto
quando i due attori - M5S e Lega - sono così compatibili su
argomenti quali immigrazione, Europa, moneta unica ecc.
Come? Non lo
sono? Mah, non saprei, però su quegli argomenti M5S non ha mai
smentito nulla, ha solo sfumato quanto bastava per lisciare il pelo
ai poteri sovrannazionali in ottica elettorale.
Comunque
sia io vedo, ahimé, un grande futuro per il matrimonio
grillo-leghista, anche nel caso di scioglimento delle camere e nuove
elezioni, soprattutto se i compagni grillini
continueranno a gratificare il Movimento delle loro assai malriposta
fiducia, rendendolo la più bella zita del paese.
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venerdì 6 aprile 2018
Parigi, e Palazzo Chigi, val bene una messa?
In questo articolo, di cui raccomando la lettura, Aldo Giannulli elenca puntigliosamente le ragioni per le quali si è allontanato da M5S, che poi sarebbero le identiche ragioni che mi hanno sempre fatto diffidare del Movimento, ragione per la quale non mi ci sono mai avvicinato, dato che quello che viene sottolineato nell'articolo, a mio avviso, è sempre stato ampiamente prevedibile.
Il problema però, a questo punto, è che un terzo dell'elettorato attivo (in realtà un più modesto quinto degli aventi diritto al voto) quel Movimento l'ha votato, e non sono bruscolini.
E' vero che non basta per costituire un governo stabile e al riparo da brutte sorprese, ma rimane il fatto che M5S è una parte importante e rappresentativa della politica italiana, e allontanarsene - o sottolineare la propria distanza - può risultare interessante, e solleticare l'autostima di chi indulge, come il sottoscritto, in fatali io l'avevo detto, però non aggiunge, o toglie, nulla al fatto che siamo malamente INCARTATI.
M5S intercetta un terzo dei voti, il centrodestra - non troppo unito - fa un pochino meglio, il PD, sconfitto assoluto della consultazione si piazza come secondo partito italiano, pesando un pochino di più del secondo vincitore morale, quel Salvini che non sa proprio come uscirsene dal suo personale pantano strategico.
Un dato politico importante discende dal fatto che, in tutto questo, la componente di sinistra risulta non pervenuta, e si tratta di un elemento che, a prescindere dalle proprie convinzioni e dalla responsabilità che ha la sinistra stessa nella sua latitanza, disegna un contesto squilibrato e intrinsecamente in debito di democrazia, dato che in un dibattito oggettivamente già complicato viene a mancare una parte importante del contributo dialettico.
Un vero e proprio stallo alla messicana, o mexican standing, per chi preferisce le etichette fighe, che per essere superato necessiterebbe di un'attitudine che, nel nostro paese, si è persa da tempo, ovvero la capacità di fare politica, di ascoltare e arrivare a sintesi operative proficue e oculatamente finalizzate.
Oddio, in verità il Movimento, in consonanza con le critiche di Giannulli, sta dimostrando di avere una forte attitudine, più dei suoi concorrenti comunque, per un realismo politico di alta scuola democristiana. Lo dico in senso tecnico, ma anche politico in fondo, dato che la defunta DC fu essenzialmente una federazione di famiglie politiche che spaziavano dalla destra alla sinistra, ma con uno scarroccio costantemente verso destra.
Molti rimproverano, qui sui social, a Di Maio una improvvida arroganza, dato che pone condizioni a tutti pur avendo bisogno di robusti aiuti per portare a casa gli obiettivi dichiarati, costi della politica innanzi tutto, ma il buon Luigi non è realmente arrogante, sta solo mettendo i ferri in acqua per contestualizzare e giustificare l'esercizio di un realismo politico che deve superare i punti fermi. morali e moralistici, sui quali M5S ha costruito la propria narrazione e la propria fortuna.
Dal mai, per nessuna ragione (e se dovesse avvenire, teoricamente, dovrebbero fioccare le dimissioni), con i collusi e gli indagati, si passa, ora che il fatale destino si è rivelato così scomodo e indefinito, al recedere dai propri bellicosi propositi senza darlo troppo a vedere.
Scatta dunque il modus operandi del pragmatismo politico e si diventa possibilisti, al punto che Lega e PD per me pari sono, e li si investe della responsabilità di fare il gioco di M5S, senza che questi debba compromettersi richiedendolo esplicitamente.
E visto che ci siamo, e che si presenta la possibilità di farlo, perché rinunciare a gettare manciate di sabbia nei meccanismi della concorrenza? Perché non infilare punteruoli nei punti di giunzione, nel PD, tra un renzismo aventiniano e la sue flebile opposizione interna, più possibilista? Perché non soffiare sulle braci del fuoco che minaccia di divorare la coesione di un centrodestra diviso tra un Salvini in grande spolvero e un anziano pregiudicato che mastica amaro?
E' vero che la realpolitik in salsa postideologica grilliana stride con la sua veste originaria, tutta vaffaday e dimissioni, tutti a casa, ma come ci insegnano le vicende indecorose delle comunarie genovesi l'elettorato pentastellato è tanto intransigente con gli altri quanto è indulgente con i suoi, e certo saprà convivere con soddisfazione con tutto ciò che il fatal destino renderà necessario fare, riservando ad altri soggetti la responsabilità di tutto ciò che risulterà indigeribile o non si riuscirà a fare.
Insomma, la ricreazione è finita e si torna su modalità più da prima repubblica che da terza, e forse, vista la messe di orrori della seconda, potrebbe essere pure un affare non così tremendo, se ci si accontenta.
Una cosa però è chiara:
Sta dimostrando una capacità di adattamento che è propria degli organismi destinati a sopravvivere a lungo.
Prima ero preoccupato, ora sto organizzandomi per la rassegnazione.
Il problema però, a questo punto, è che un terzo dell'elettorato attivo (in realtà un più modesto quinto degli aventi diritto al voto) quel Movimento l'ha votato, e non sono bruscolini.
M5S intercetta un terzo dei voti, il centrodestra - non troppo unito - fa un pochino meglio, il PD, sconfitto assoluto della consultazione si piazza come secondo partito italiano, pesando un pochino di più del secondo vincitore morale, quel Salvini che non sa proprio come uscirsene dal suo personale pantano strategico.
Un dato politico importante discende dal fatto che, in tutto questo, la componente di sinistra risulta non pervenuta, e si tratta di un elemento che, a prescindere dalle proprie convinzioni e dalla responsabilità che ha la sinistra stessa nella sua latitanza, disegna un contesto squilibrato e intrinsecamente in debito di democrazia, dato che in un dibattito oggettivamente già complicato viene a mancare una parte importante del contributo dialettico.
Un vero e proprio stallo alla messicana, o mexican standing, per chi preferisce le etichette fighe, che per essere superato necessiterebbe di un'attitudine che, nel nostro paese, si è persa da tempo, ovvero la capacità di fare politica, di ascoltare e arrivare a sintesi operative proficue e oculatamente finalizzate.
Oddio, in verità il Movimento, in consonanza con le critiche di Giannulli, sta dimostrando di avere una forte attitudine, più dei suoi concorrenti comunque, per un realismo politico di alta scuola democristiana. Lo dico in senso tecnico, ma anche politico in fondo, dato che la defunta DC fu essenzialmente una federazione di famiglie politiche che spaziavano dalla destra alla sinistra, ma con uno scarroccio costantemente verso destra.
Molti rimproverano, qui sui social, a Di Maio una improvvida arroganza, dato che pone condizioni a tutti pur avendo bisogno di robusti aiuti per portare a casa gli obiettivi dichiarati, costi della politica innanzi tutto, ma il buon Luigi non è realmente arrogante, sta solo mettendo i ferri in acqua per contestualizzare e giustificare l'esercizio di un realismo politico che deve superare i punti fermi. morali e moralistici, sui quali M5S ha costruito la propria narrazione e la propria fortuna.
Dal mai, per nessuna ragione (e se dovesse avvenire, teoricamente, dovrebbero fioccare le dimissioni), con i collusi e gli indagati, si passa, ora che il fatale destino si è rivelato così scomodo e indefinito, al recedere dai propri bellicosi propositi senza darlo troppo a vedere.
Scatta dunque il modus operandi del pragmatismo politico e si diventa possibilisti, al punto che Lega e PD per me pari sono, e li si investe della responsabilità di fare il gioco di M5S, senza che questi debba compromettersi richiedendolo esplicitamente.
E visto che ci siamo, e che si presenta la possibilità di farlo, perché rinunciare a gettare manciate di sabbia nei meccanismi della concorrenza? Perché non infilare punteruoli nei punti di giunzione, nel PD, tra un renzismo aventiniano e la sue flebile opposizione interna, più possibilista? Perché non soffiare sulle braci del fuoco che minaccia di divorare la coesione di un centrodestra diviso tra un Salvini in grande spolvero e un anziano pregiudicato che mastica amaro?
E' vero che la realpolitik in salsa postideologica grilliana stride con la sua veste originaria, tutta vaffaday e dimissioni, tutti a casa, ma come ci insegnano le vicende indecorose delle comunarie genovesi l'elettorato pentastellato è tanto intransigente con gli altri quanto è indulgente con i suoi, e certo saprà convivere con soddisfazione con tutto ciò che il fatal destino renderà necessario fare, riservando ad altri soggetti la responsabilità di tutto ciò che risulterà indigeribile o non si riuscirà a fare.
Insomma, la ricreazione è finita e si torna su modalità più da prima repubblica che da terza, e forse, vista la messe di orrori della seconda, potrebbe essere pure un affare non così tremendo, se ci si accontenta.
Una cosa però è chiara:
M5S è qui per restarci.
Sta dimostrando una capacità di adattamento che è propria degli organismi destinati a sopravvivere a lungo.
Prima ero preoccupato, ora sto organizzandomi per la rassegnazione.
lunedì 12 marzo 2018
Chi semina vento raccoglie tempesta
Nel
2013 M5S impose
la pratica dello streaming,
vista come imprescindibile prassi di trasparenza (salvo poi farla
cadere quando quel metodo documentò le increspature dei
consessi parlamentari pentastellati) al solo scopo di rivendicare
pubblicamente la propria unicità e
umiliare Bersani, e con lui il PD,
che in quella occasione sollecitò, seppure di malavoglia e sapendo a
cosa andava incontro, lo stesso senso
di responsabilità che
ora invoca Di Maio.
In
quella occasione Crimi e Lombardi furono i portatori
materiali del sonoro ceffone che propiziò sia le condizioni
oggettive dei successivi inciuci che
l'avvento di Renzi e del renzismo.
Il PD non
aveva allora ancora imboccato la strada che lo ha condotto
all'attuale disastro, che non è solo elettorale, ed esistevano in
quel momento anche altre opzioni, altre diramazioni del sentiero, che
avrebbero potuto portare ad altri esiti.
Molti
sostengono, con qualche ragione sia chiaro, che quell'incontro fu una
manfrina dal copione già scritto e dall'esito scontato, ma io credo
che se qualcuno avesse avuto il coraggio di sparigliare le carte,
Grillo, ma anche Bersani, il paese si sarebbe potuto risparmiare
molti dei successivi tormenti.
Il
PD nel 2013 prese circa 10 milioni di voti, e M5S circa 8,6. I
rispettivi pesi erano sostanzialmente comparabili, e la gestione del
paese avrebbe avuto basi paritarie, al contrario di quanto potrebbe
avvenire oggi.
Ma
le cose andarono diversamente, il Parlamento andava aperto
come una scatoletta di tonno, la vittoria appariva
immancabile allo stato maggiore pentastellato, e la strategia
scolpita su qualche gloriosa lastra di marmo.
Anche
grazie a quella sceneggiata, all'interno del PD presero forza le
correnti favorevoli a quello che poi divenne il patto del
Nazareno, ma soprattutto vennero poste le premesse adatte
all'avvento di Renzi e del renzismo, con tutto quello che ne è
conseguito.
Fu
dunque, a mio parere, un disegno lucidamente perseguito, perché a
M5S serviva un
PD impresentabile, ed era fondamentale che lo fosse in maniera
evidente.
Il senso
di responsabilità non
era allora moneta corrente, o forse qualcuno
ritenne responsabile consegnare
il paese ad un processo che aveva il solo scopo di esaltare la
propria virtù, per rendere il proprio successo, posticipato nel
tempo, ineluttabile.
I
risultati sono qui, davanti agli occhi di tutti, e a me pare che
pochi possano dire di non avere responsabilità, effettive o morali,
negli assetti che patiamo, anzi proprio nessuno.
Con
questo voglio dire che le colpe sono tutte in capo a M5S, con il PD
nelle vesti della vittima incolpevole? No, per niente, ma date
le argomentazioni che vengono oggi sviluppate circa l'appoggio dem ad
un esecutivo pentastellato, mi sembra necessario ripassare alcuni
eventi della passata legislatura, che hanno ispirato il titolo di
questo testo.
Ora,
io capisco che molti compagni caldeggino un atteggiamento
responsabile da parte del PD, e
di LeU, per evitare un governo leghista, ma a quei
compagni vorrei dire che il pericolo è assai
teorico, dato che un governo del centrodestra sarebbe minoritario
tanto quanto quello pentastellato, dunque altrettanto gracile, e che
un raccordo Lega-M5S è piuttosto improbabile,
nonostante la sovrapposizione di molti punti di programma, per due
distinte ragioni:
- i due partiti "pescano" nello stesso bacino elettorale, a dispetto dei molti voti anti-PD provenienti da un popolo di sinistra esacerbato, e sono a tutti gli effetti diretti concorrenti;
- la Lega non può permettersi di supportare M5S senza disfare i governi e le amministrazioni locali di cui è membro, insieme a Forza Italia, in larga parte del paese.
Starei
anche abbastanza tranquillo circa la creazione di un partito di
Renzi, generato da una scissione dal PD, dato che secondo le
previsioni più accreditate non porterebbe al centrodestra un numero
di parlamentari sufficiente a conseguire la maggioranza necessaria a
garantire un governo stabile.
Un
PD responsabile, inoltre e data la disparità
assoluta del proprio peso parlamentare rispetto al Movimento, in un
governo pentastellato non avrebbe alcun peso decisionale, avendo in
realtà il solo scopo di assumersi la responsabilità di tutte le
contraddizioni del programma grilliano, concepito per vincere, ma
difficilmente attuabile, date le condizioni oggettive, mentre
eventuali successi sarebbero intestati tutti ai sanculotti
del terzo millennio, e non certo ai collusi e
indagati, col capo cosparso di cenere e costretti ad
una recalcitrante responsabilità.
Dunque
a me pare che la propensione all'atteggiamento responsabile,
caldeggiato a sinistra da alcuni dirigenti, e da molti simpatizzanti
sia di Leu che del PD, sia solo un tentativo, all'indomani della
severa sentenza elettorale, di recuperare un ruolo spurio in grado di
far dimenticare la desolante inconsistenza della sinistra nel paese,
senza passare da un ormai inevitabile e quanto mai necessario
processo di radicale autocritica.
Una
certa ilarità, inoltre, suscita in me il confronto tra le
dichiarazioni ante voto pentastellate, tutte improntate ad un
divertito, o talvolta indignato, disprezzo per ogni eventuale forma
di alleanza, o collaborazione, tra il Movimento ed un ceto politico
di indagati e collusi, e la compunta chiamata
alle armi di un Di Maio paludato nei panni da statista che la invoca
per il bene del paese, e dopo cotanti precedenti.
Meno
divertito sono per l'imbarazzante lettura che il buon Gigino dà
degli obblighi presidenziali nella formazione
del prossimo governo, misura diretta della sua suprema presunzione ed
autoreferenzialità.
Tra
i molti difetti del Rosatellum,
infatti e con buona pace di Di Maio, c'è il piccolo particolare che
non è stabilita alcuna gerarchia tra partiti e coalizioni,
dunque la scelta di Mattarella tra affidare l'incarico a Di Maio o a
Salvini non può essere fatta in punta
di diritto, come
pretende il capo
politico 5Stelle
bensì operando una scelta di natura eminentemente politica, e di
conseguenza intrinsecamente opinabile.
Comunque
a me interessa relativamente chi dei due, Lega o M5S, verrà scelto,
perché non mi aspetto nulla di buono da ambedue. Forse, alla fine,
mi potrebbe pure andare bene un governo pentastellato, perché questo
consentirebbe di andare a vedere bluff che hanno bisogno urgente di
venire esplorati, ma senza che vengano convocati colpevoli
di comodo, quali dovrebbero essere PD e LeU in veste
di responsabili.
A
mio parere Mattarella dovrebbe affidare ad un esterno,
stile Ciampi nel '93, l'incarico di formare un governo tecnico, in
attesa del più che certo verdetto di incostituzionalità del
Rosatellum, che si occupi della promulgazione di una nuova legge
elettorale.
E
stavolta dovremo tornare alle urne solo dopo che la Corte
Costituzionale, con procedura d'urgenza, la avrà esaminata e
ritenuta conforme alla legge fondamentale. Anche il fatto
che dovrebbe essere una legge non ad hoc sarebbe
un graditissimo cambiamento.
martedì 6 marzo 2018
The day after
Lo dico subito a chi sta leggendo queste righe: non saranno considerazioni gradevoli le mie, soprattutto se si condivide il mio sentire politico.
Il mio stato d'animo, mentre scrivo, è plumbeo. Spero che in futuro possa risollevarmi dallo sconforto che provo, ma ora le cose stanno così.
Credo che le elezioni svoltesi il 4 marzo rimarranno nella storia quale punto di svolta, in una misura che forse apprezzeremo compiutamente solo guardandole da una certa distanza. Ora è piuttosto il momento dello stress post-traumatico e dell'instabilità del proprio sentire, per chi ha visto frustrate le proprie aspettative mentre, naturalmente, chi ha fatto il pieno di voti si gode la sua vittoria, e solo tra un po' si renderà conto che quella vittoria è largamente morale.
Grazie alla natura del sistema Rosatellum, infatti, nessuno potrà esprimere una maggioranza abbastanza robusta da sostenere un governo capace di mettere a segno i propri punti di programma senza compromessi variamente insoddisfacenti o senza alleanze, sostegni esterni, o altri fantasiosi marchingegni parlamentari, magari escogitati all'uopo, che faranno storcere il naso ai propri elettori, quelli duri e puri, o perlomeno quelli dotati di senso critico.
Ma queste sono considerazioni che riguardano chi ha vinto, ed io non sono certo tra di loro. No, io contemplo le macerie, e mentre lo faccio passo da velleitari propositi di rinascita a corrosive prese d'atto di realtà oggettive, e sono queste ultime a farsi largo con maggiore, e sgradevolissima, efficacia.
Lasciate che mi spieghi svolgendo prima tre considerazioni di base:
- Il PD che di sinistra non lo è più da tempo, mette a segno il peggior risultato della sua breve storia, dimezzandosi rispetto allo sbandierato 40% delle europee e molto sotto al risultato del suo esordio veltroniano;
- LeU, che giocava le sue carte sul fatto di non essere Renzi, puntava alla doppia cifra e ottiene solo una presenza in Parlamento, e pure di stretta misura;
- PaP si compiace di aver segnalato la propria presenza, ma non consegue neanche i livelli minimi di RC, che ne costituisce l'ossatura organizzativa.
Non mi interessa qui esaminare le ragioni di questa debacle, che ai miei occhi sono piuttosto evidenti peraltro, e non mi interessa perché il dato importante è in realtà un altro, ed è che il popolo italiano, in gran parte, si è espresso in favore del populismo in varie gradazioni di destra, e in quella categoria ci metto anche M5S, che ormai molto chiaramente si è attestato su posizioni che appartengono al centro liberale e liberista, con molte sovrapposizioni col sentire leghista sull'immigrazione e argomenti collegati.
Quell'offerta, dichiaratamente o oggettivamente, di destra e centrodestra ha anche inciso sull'astensione, attesa al 34% e poi fermatasi al 25% (che costituisce in ogni modo una sconfitta del civismo in questo paese, comunque la si voglia mettere), e questo mi impone amarissime riflessioni ed una domanda devastante:
questa è ancora la repubblica nata dalla Resistenza?
La sinistra potrà anche capire la natura dei suoi errori, se si metterà d'impegno - e non è scontato - ma quello che avrà da dire sarà capace di penetrare nella coscienza e nel sentire di persone che hanno privilegiato una visione darwiniana della società e che hanno della solidarietà una concezione familiare o etnica?
Io credo che sia cambiato il paradigma culturale del nostro paese e che sia appena cominciata, dopo il lungo crepuscolo berlusconiano, una notte, che sarà fredda e lunghissima, durante la quale quello che la sinistra avrà da dire sarà in larga parte inascoltato, perché il popolo sovrano ha fatto la sua scelta, ha privilegiato altri valori e a noi non resta che prenderne atto.
Questa notte durerà fino a quando la scelta populista non avrà espresso tutto il male che può esprimere, motivando quel popolo a optare per altre proposte quando le contraddizioni che porta non potranno più essere celate dietro alle narrazioni che l'hanno propiziata.
Non sto disprezzando il responso elettorale, perché io credo nel sistema democratico anche quando non posso compiacermi del risultato. Devo dunque accettarlo, però credo che quel responso metta in pericolo la nostra democrazia per le prassi che sta sdoganando.
Ne devo prendere atto, come devo prendere atto dell'inconsistenza della parte politica cui appartengo. Sono sempre stato dalla parte della minoranza in questo paese, ma è la prima volta che mi ritrovo prossimo all'estinzione. Non ho più voglia di coltivare illusioni.
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venerdì 2 marzo 2018
In politica niente è così apprezzabile come una memoria corta. (J.K. Galbraith)
M5S ha presentato una possibile squadra di governo composta da persone prive di un passato ingombrante, perlomeno fino a prova contraria, e con profili professionali di qualità e coerenti con i dicasteri che andrebbero ad occupare.
Una iniziativa intelligente e funzionale alla rivendicazione pentastellata circa la propria diversità rispetto agli altri partiti.
Quello che è stato presentato, però, è sostanzialmente un governo tecnico, e i paesi non vengono governati dai tecnici, bensì dalla politica.
L'ultimo governo tecnico che abbiamo avuto, quello montiano, ha in realtà agito sulla base esclusiva delle direttive politiche di una ideologia neoliberista applicata draconianamente ed approfittando di un momento di profonda crisi, con i risultati, poi mantenuti dai successivi governi PD, che sono sotto gli occhi di tutti.
La natura tecnica del possibile governo pentastellato, senza una dimensione politica retrostante, non sarebbe di per sé sufficiente a qualificarne il lavoro, perché le soluzioni tecniche possibili sono molteplici e le differenze tra un'opzione e l'altra risiedono nei risultati di lungo periodo che conseguono e nella distribuzione, a livello sociale, degli effetti e del peso delle azioni intraprese.
Un tecnico attua, con diversi livelli di efficienza, le direttive politiche che governano il suo agire, e qui, perlomeno ai miei occhi, casca l'asino, perché la dimensione politica del Movimento, che rivendica una natura post-politica di superamento dei concetti di destra e sinistra, in realtà volge il proprio sguardo politico proprio a destra, come del resto quella sua rivendicazione, che fu già della cosiddetta maggioranza silenziosa, segnalava già fin dall'inizio del suo percorso.
Il Movimento, forse molti se lo sono dimenticato, nacque come forza antisistema e deputata a piombare sul Parlamento per aprirlo come una scatoletta di tonno, con accenti che, personalmente, mi ricordavano le parole mussoliniane sulla aula sorda e grigia ed il suo destino di bivacco per i manipoli, evitato solo provvisoriamente e grazie alla sprezzante benevolenza del minaccioso oratore.
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti. Il Movimento, alla fine, non mangerà tonno. Di Maio, il suo capo politico nella definizione del Rosatellum, ha passato gli ultimi mesi a rassicurare assemblee confindustriali, consessi europei (difatti l'antieuropeismo è nel frattempo andato quietamente in soffitta) e inquilini della Casa Bianca.
Il Movimento rassicura gli italiani circa l'afflusso degli immigrati, si astiene sullo ius soli, accoltella alle spalle, per interposto magistrato, le ONLUS che agiscono in mare e strizza l'occhio ai no-vax.
Sviluppatosi mantenendo funamboliche posizioni su ogni argomento sensibile, raccogliendo consensi sia a destra che a sinistra, vede ora che la ciccia sta a destra, dove le pretese sono più semplici, e si attrezza di conseguenza.
Anche il padre nobile di M5S, il vulcanico Grillo, emerge dal suo buen retiro per dirci che il tempo dei vaffa day è alle nostre spalle. Grazie Beppe, ce ne eravamo già accorti.
M5S è organizzato per andare al governo, e una volta che vi sarà, eventualmente, arrivato avremo il taglio degli emolumenti ai parlamentari, come tutti si aspettano, ma anche l'instaurazione di un esecutivo sostanzialmente di destra, magari non quella becera di Salvini, ma certo quella moderna ed europea, ed oggettiva, di Macron. Il tutto dietro l'etichetta unificante della moralizzazione del paese, e come si fa ad essere contrari ad una cosa del genere? Non si può, dunque tutto il resto verrà di conseguenza, come l'intendenza napoleonica. O no?!
Non è che un governo di destra moderata sia il male assoluto, ma neanche una soluzione adeguata ai nostri problemi e certamente non è quello che mi auguro .
Mi chiedo spesso cosa motivi i miei molti amici, già di sinistra, a rimanere convinti sostenitori del Movimento. Forse, e semplicemente, non riescono a riconoscere di aver preso un grosso abbaglio, una cosa comune, nel campo della sinistra.
Una iniziativa intelligente e funzionale alla rivendicazione pentastellata circa la propria diversità rispetto agli altri partiti.
Quello che è stato presentato, però, è sostanzialmente un governo tecnico, e i paesi non vengono governati dai tecnici, bensì dalla politica.
L'ultimo governo tecnico che abbiamo avuto, quello montiano, ha in realtà agito sulla base esclusiva delle direttive politiche di una ideologia neoliberista applicata draconianamente ed approfittando di un momento di profonda crisi, con i risultati, poi mantenuti dai successivi governi PD, che sono sotto gli occhi di tutti.
La natura tecnica del possibile governo pentastellato, senza una dimensione politica retrostante, non sarebbe di per sé sufficiente a qualificarne il lavoro, perché le soluzioni tecniche possibili sono molteplici e le differenze tra un'opzione e l'altra risiedono nei risultati di lungo periodo che conseguono e nella distribuzione, a livello sociale, degli effetti e del peso delle azioni intraprese.
Un tecnico attua, con diversi livelli di efficienza, le direttive politiche che governano il suo agire, e qui, perlomeno ai miei occhi, casca l'asino, perché la dimensione politica del Movimento, che rivendica una natura post-politica di superamento dei concetti di destra e sinistra, in realtà volge il proprio sguardo politico proprio a destra, come del resto quella sua rivendicazione, che fu già della cosiddetta maggioranza silenziosa, segnalava già fin dall'inizio del suo percorso.
Il Movimento, forse molti se lo sono dimenticato, nacque come forza antisistema e deputata a piombare sul Parlamento per aprirlo come una scatoletta di tonno, con accenti che, personalmente, mi ricordavano le parole mussoliniane sulla aula sorda e grigia ed il suo destino di bivacco per i manipoli, evitato solo provvisoriamente e grazie alla sprezzante benevolenza del minaccioso oratore.
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti. Il Movimento, alla fine, non mangerà tonno. Di Maio, il suo capo politico nella definizione del Rosatellum, ha passato gli ultimi mesi a rassicurare assemblee confindustriali, consessi europei (difatti l'antieuropeismo è nel frattempo andato quietamente in soffitta) e inquilini della Casa Bianca.
Il Movimento rassicura gli italiani circa l'afflusso degli immigrati, si astiene sullo ius soli, accoltella alle spalle, per interposto magistrato, le ONLUS che agiscono in mare e strizza l'occhio ai no-vax.
Sviluppatosi mantenendo funamboliche posizioni su ogni argomento sensibile, raccogliendo consensi sia a destra che a sinistra, vede ora che la ciccia sta a destra, dove le pretese sono più semplici, e si attrezza di conseguenza.
Anche il padre nobile di M5S, il vulcanico Grillo, emerge dal suo buen retiro per dirci che il tempo dei vaffa day è alle nostre spalle. Grazie Beppe, ce ne eravamo già accorti.
M5S è organizzato per andare al governo, e una volta che vi sarà, eventualmente, arrivato avremo il taglio degli emolumenti ai parlamentari, come tutti si aspettano, ma anche l'instaurazione di un esecutivo sostanzialmente di destra, magari non quella becera di Salvini, ma certo quella moderna ed europea, ed oggettiva, di Macron. Il tutto dietro l'etichetta unificante della moralizzazione del paese, e come si fa ad essere contrari ad una cosa del genere? Non si può, dunque tutto il resto verrà di conseguenza, come l'intendenza napoleonica. O no?!
Non è che un governo di destra moderata sia il male assoluto, ma neanche una soluzione adeguata ai nostri problemi e certamente non è quello che mi auguro .
Mi chiedo spesso cosa motivi i miei molti amici, già di sinistra, a rimanere convinti sostenitori del Movimento. Forse, e semplicemente, non riescono a riconoscere di aver preso un grosso abbaglio, una cosa comune, nel campo della sinistra.
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