domenica 15 maggio 2016

Quando i barbari bivaccano nelle aule parlamentari.


La Costituzione della Repubblica Italiana venne scritta coralmente da tutte le componenti del popolo italiano attraverso i suoi rappresentanti politici eletti con suffragio universale.

Venne elaborata superando le ipocrisie paternalistiche dell'impronta monarchica dello Statuto Albertino e con ben presenti le dure lezioni apprese durante un ventennio di soffocante dittatura fascista.

L'Assemblea Costituente della Repubblica italiana, composta di 556 deputati, fu eletta il 2 giugno 1946 e si riunì in prima seduta il 25 giugno nel palazzo Montecitorio, ed i lavori continuarono fino al 31 gennaio 1948. 
I Padri Costituenti elaborarono una legge fondamentale priva di riferimenti diretti alla realtà contingente, in grado di mantenere una sua intrinseca validità nel tempo, e che potesse fungere da faro e riferimento per la perpetuazione dello spirito democratico e universale dei principi repubblicani in essa affermati.

Mettervi mano con la visione corta degli attuali nani politici, e con l'intento di travisarne i principi e distruggere il delicato equilibrio delle relazioni e contrappesi tra poteri, è evidentemente eversivo e credo vi si possano perfino ravvisare, perlomeno a livello morale, gli estremi del tremendo reato di ALTO TRADIMENTO.

Il monumento di ipocrisia che costituisce la cosiddetta riforma istituzionale promossa dal PD, e spalleggiata dai suoi alleati/concorrenti, oltre ad essere un coacervo confuso e contraddittorio di norme abborracciate, manca tutti gli obiettivi pubblicizzati e dimostra di essere all'esclusivo servizio di una svolta populistico-autoritaria funzionale ad interessi privati neoliberisti, sovranazionali e di natura e origine non elettiva.

Io voterò NO al referendum costituzionale che si terrà ad ottobre perché mi sono cari i principi democratici e repubblicani della nostra Costituzione e perché ogni ipotesi di revisione costituzionale non dovrebbe svolgersi in un clima politico:

  • caratterizzato da forte astensionismo
  • in presenza di un Parlamento eletto grazie ad una legge dichiarata anticostituzionale
  • grazie ad un governo che si regge su di una fiducia concessa grazie a metastatici processi di compromesso parlamentare e in aperto contrasto con le premesse elettorali che insediarono quei parlamentari.
Credo che si sia in presenza di una ferita grave all'assetto democratico del nostro paese e alla vigilia di uno stravolgimento delle nostre vite ed aspettative, al consolidamento definitivo della nostra precarietà, ed alla sterilizzazione delle nostre capacità/possibilità di intervento nella costruzione delle nostre sorti.


Dobbiamo reagire ora o dovremo a lungo riflettere sulle nostre colpe e responsabilità, e nel frattempo soccombere quietamente.

domenica 8 maggio 2016

La politica è una cosa sporca. Un evergreen costosissimo.

Il generale Aung San, padre della più nota Aung San Suu Ki, diceva sempre che "puoi anche non occuparti di politica, ma la politica certamente si occuperà sempre di te" e questo, con buona pace della narrazione qualunquistica da maggioranza silenziosa stile anni '60, è incontrovertibilmente vero, agli occhi di chi si dà la pena di osservare la realtà.

Un ulteriore pensiero che mi occupa sempre la mente è che la politica e l'economia sono così inestricabilmente collegate che mi chiedo spesso se ha un senso mantenerle concettualmente separate.

Le nostre vite e le nostre prospettive, dopo il disastro economico del 2011, sono drammaticamente cambiate e in peggio, e non pare proprio che si stia lavorando per un recupero, bensì per la stabilizzazione di un impianto neoliberista con fortissime connotazioni classiste; una struttura sociale costituita da un vertice ridottissimo e con grandi capacità economiche, contrapposto ad una vastissima base di "servi della gleba" che vivono all'insegna di precarietà e negazioni di diritti civili, economici ed umani. 
Insomma un impianto sociale di stampo medioevale con caste ristrette ed onnipotenti che dominano un esercito di derelitti, in competizione tra loro per un tozzo di pane amaro e secco.

Warren Buffett, il terzo uomo più ricco al mondo, ammette che "la lotta di classe esiste e l'abbiamo vinta noi". I cialtroni del PD, rientrando nell'angusto e provinciale ambito nostrano, concionano di cambiamenti di verso, ripresine e modernizzazioni, mentre invece lavorano alacremente, e per conto terzi, all'implementazione di un nuovo evo oscuro, un "anno mille" di irredimibile povertà, ideologica e spietatamente mantenuta.

Continuiamo pure a “non occuparci di politica”, ma poi non addossiamo tutte le colpe ad altri.

Non basta scrivere sui social invettive tipo “dimettetevi, tutti a casa”, perché se poi alle urne non ci andate, quelli, invece di dimettersi, vengono confermati.

L’offerta politica è insoddisfacente? Certo, è così, anche perché quando i partiti fanno porcate ci limitiamo a ululare alla luna, quando siamo in coda alle Poste, o ci facciamo tagliare i capelli dal barbiere, ma non ci viene in mente di scrivere e manifestare il nostro sdegno.

Quei politici possono andare e venire dai loro luoghi, partito, parlamento e consigli locali senza che nessuno li metta a confronto con l’insoddisfazione di cui sono causa. E’ tornata l’ora di riservare loro qualche nutrito lancio di monetine, come accadde a quell’altro noto e carismatico politico, poi fuggito all’estero.

Tolse il disturbo, ma noi riprendemmo a non interessarci di politica, ed eccoci qui.


lunedì 18 aprile 2016

18 aprile 2016, "the day after".

18 aprile 2016, "the day after". Le ragioni del NO e la pratica dell'astensione, proditoriamente suggerita proprio da chi avrebbe dovuto contrastarla, hanno prevalso e noi manterremo sine die, o perlomeno fino ad esaurimento, non molto lontano perché le riserve di petrolio e gas sono veramente poco consistenti, quelle concessioni entro le 12 miglia dalla costa.

Non dureranno a lungo, nonostante la flemma estrattiva suggerita da un dispositivo fiscale volto a massimizzare i profitti dei petrolieri e a deprimere il gettito per la comunità, e comunque quei giacimenti non spostano di una virgola i termini dell'equazione strategica del nostro fabbisogno energetico, ovvero non fanno la differenza in termini di approvvigionamento, ma sono rilevanti per l'impatto ambientale che affligge queste installazioni e per le conseguenze di possibili incidenti nello "stagno" chiuso che è il Mediterraneo.

Il sig. Piercamillo Falasca, economista e direttore editoriale di Strade, che ha rappresentato le ragioni del fronte dell'astensione, ci ricorda che l'Italia importa il 76% del suo fabbisogno e ricorre all'assai efficace argomentazione che non ci approvvigioniamo presso democrazie illuminate, ma da paesi come Libia, Algeria, Russia, Arabia Saudita.

E' vero, assolutamente esatto. Peccato che ometta di ricordare che
attualmente, la produzione di greggio nazionale rappresenta il 10,1 per cento dei consumi nazionali, mentre quella di gas contribuisce per l’11,5 per cento, e che quelle percentuali rappresentano la quota relativa a TUTTA l'attività estrattiva, su terra e mare, entro e oltre le 12 miglia. Un correttivo autarchico veramente degno di nota, non c'è che dire.

Ricorda, il solerte lobbista, anche la rendita fiscale che, prevalendo il SI, avremmo perso, come se con la franchigia così accortamente congegnata noi non patissimo già ora per il trattamento straordinariamente benevolo di cui fruiscono le compagnie petrolifere, che consente loro di estrarre pagando una frazione di quello che dovrebbero.

Ulteriori vette di inossidabile ipocrisia il portavoce le raggiunge ricordando gli 11mila posti di lavoro salvati, come se una seria programmazione industriale (concetto sconosciuto evidentemente) e un deciso investimento sulle rinnovabili non consentissero un numero di posti di lavoro assai superiore a quelli preservati dal risultato referendario di ieri, oltre a costituire un orientamento quanto mai necessario in ordine alla preservazione dell'ambiente.

Già, le rinnovabili. Molti rimangono sorpresi apprendendo che nel nostro disgraziato paese,
nel corso del 2014, il 44,9% del fabbisogno di energia elettrica era assicurato da fonti rinnovabili dei vari tipi.
Forse nessuno si stupirà troppo apprendendo che tale quota è scesa, all'inizio di quest'anno, al 40%, imputando la flessione, con assoluto disprezzo del ridicolo, a un calo delle precipitazioni e non, come è più verosimile, a precise scelte strategiche dell'esecutivo.

E molti non sanno neanche che ENEL possiede già ora il know how necessario all'implementazione di centrali solari funzionanti secondo il principio del solare termodinamico che risolve il problema del mancato irraggiamento notturno, e che il suo sviluppo, tra indotto ed occupazione diretta, contribuirebbe molto all'attenuazione del problema della disoccupazione.

Non solo ci hanno incitati all'astensione, ma si sono prodotti in ogni tipo di menzogna e di mistificazione, e in fondo me l'aspettavo da una classe politica che aggira sistematicamente gli esiti referendari (acqua e finanziamento pubblico per esempio). Questa volta hanno voluto semplicemente, e con successo, portarsi avanti col lavoro, evidentemente.

Poi c'è il discorso dell'astensione, intesa come fenomeno, e della lettura che se ne può dare.    Questa mattina sui social vengono rappresentate due differenti posizioni. 
Da una parte l'astensione viene stigmatizzata, più o meno duramente (ed io propendo per questa lettura), dall'altra si levano voci sempre più frequenti e risentite che difendono, circostanziano e valorizzano la scelta, rivendicando perfino quote di virtuosa dignità a quella che io ritengo essere una "diserzione" dal ruolo di cittadino.

Tra i tanti commenti che ho potuto leggere, mi ha colpito in particolare questo:
«Rispettiamo gli astensionisti, perché si sono rotti le palle di questi decenni di politica che fa antipolitica, dove non c'è più un'ideologia , ognuno pensa per sé, e allora non meravigliamoci!! Gli astensionisti ci saranno sempre. Dati alla mano formerebbero un partito. Riflettiamo su questo!!»


concetto rinforzato poi dall'autore, non pago delle contraddizioni dialettiche esposte, con questa altra straordinaria argomentazione, opposta ad una confutazione del suo pensiero:
«Ripeto e lo ribadisco, i non votanti si sono rotti di questa politica. Poi che l'informazione manipoli le menti, penso che influisca poco, le ragioni sono altrove. Non c'è più partecipazione alla vita politica del paese, non c è più una politica a favore del paese. Questa [presumo si riferisse alla classe politica] e le precedenti, decidono al di fuori del volere del popolo, ci servono il piatto senza aver potuto scegliere e i referendum ne sono la riprova. [Se avessero vinto i SI], avrebbero trovato un modo per ribaltare il risultato, come per il referendum per il finanziamento ai partiti. »
Apparentemente si tratta di ragioni non facilmente criticabili e certo il numero degli astenuti, alle varie consultazioni, è costantemente cresciuto, ma il numero non è necessariamente un adeguato succedaneo della ragione.

Se tutti questi astensionisti non indulgessero poi in amare considerazioni, allora sarebbe più facile accettarne le decisioni, ma non lo fanno, non esercitano i loro diritti e quando hanno l'occasione di farlo si astengono e si atteggiano a vittime.

Si riflette da tempo sul fatto che gli astenuti sono il vero partito di maggioranza relativa di questo paese, ma è inutile aspettarsi che l'establishment faccia qualcosa in proposito, perché quel partito "virtuale" è del tutto funzionale al suo disegno.

Sono gli astenuti che dovrebbero trarre qualche conclusione in proposito, ma sono troppo impegnati a scrivere vergognatevi, tutti a casa sui social.

Essere cittadini comporta anche responsabilità, ma devi volertele assumere. Se aggirano il tuo voto sulla privatizzazione dell'acqua dovresti far scoppiare un finimondo, ma se ululi alla luna e poi non fai nulla, perché mai dovresti aspettarti maggior rispetto se sei il primo a non pretenderlo?

Comunque, cari astensionisti militanti, voi e le vostre pelose e miserabili giustificazioni, non meno dell'esecutivo Renzi, dovete prendere atto di un piccolo elemento.
Il quorum non è stato raggiunto (curioso vero che nel suo dimensionamento la rilevanza attuale dell'astensione non sia stata tenuto in conto), ma più di 15mln di elettori si sono recati al voto, il che significa il 31,8% del corpo elettorale, e con un'astensione fermamente assestata attorno al 40-42% mi sembra un risultato di tutto rispetto.

I voti per il SI sono stati 13.3mln - 85,84% dei voti.  Il quorum non è stato raggiunto, ma l'indicazione è piuttosto chiara.

E' vero che l'esecutivo avrebbe trovato il modo, probabilmente, di vanificare l'esito a lui sgradito, grazie alla nostra ignavia, ma una cosa è assolutamente certa: 

grazie all'astensione non ha alcuna necessità di farlo

e di questo qualcuno deve pur farsene carico,









mercoledì 16 marzo 2016

VOCE DAL SEN FUGGITA.

Notizia non nuovissima, un mese di servizio nel momento in cui scrivo, ma ancora attuale, dopo lo psicodramma delle candidature romane del centrodestra, che si presenterà, a meno di ricomposizioni, con 4 (diconsi quattro) candidati diversi.

La partita romana, a questo punto, pare proprio che si giocherà tra PD e M5S, o perlomeno questi saranno i due soggetti che, molto verosimilmente, andranno al ballottaggio.
Il PD però dovrà pur scontare il fio delle sue numerose colpe, e pagare dazio per tutte le porcate, politiche e amministrative, a lui ascrivibili, a cominciare dalla defenestrazione di Marino per finire con l'opacità di alcuni personaggetti, per dirla alla Vincenzo De Luca, del sottobosco politico romano pascolante nelle sue sezioni.

Ecco dunque che si profila all'orizzonte una clamorosa vittoria pentastellata, e i grilliani cominciano ad agitarsi, tanto che la Senatrice Taverna, in un'intervista all'Huffington Post, si lascia andare a questa curiosa dichiarazione:
«Ho pensato che potrebbe essere in corso un complotto per far vincere il Movimento Cinque Stelle a Roma. La scelta di Bertolaso mi ha lasciato perplessa tanto quanto quella di Giachetti. Diciamocelo chiaramente, questi stanno mettendo in campo dei nomi perché non voglio vincere Roma, si sono già fatti i loro conti.»

La senatrice Taverna è impagabile, come tutti i poveri di spirito che si credono furbi, e con straordinaria imperizia e goffaggine dimostra che M5S non può permettersi di vincere.  Non ha mai potuto correre questo rischio, in realtà, e molto spesso suoi esponenti, più o meno di rilievo, si sono lasciati andare a dichiarazioni come minimo improvvide, che causavano repentine flessioni del movimento nei sondaggi demoscopici.

Curioso no? Un comportamento così controproducente si può ascrivere solo a incapacità di chi lo attua, oppure a manovre di sgonfiamento e calmierizzazione di indesiderate vette di gradimento...... o a una combinazione delle due cose.

Ma è anche un comportamento comprensibile, poco serio, ma a suo modo motivato. Le esperienze di Parma e Livorno infatti, con il loro posizionamento tra controverso e insoddisfacente a voler essere buoni, evidenziano tutta l'inconsistenza grilliana, tutto lo iato esistente tra il sottolineare crudelmente le vergogne altrui, che ci sono beninteso, e lo sporcarsi le mani con la politica amministrata, e non solo di denuncia.
Pochi tengono gli occhi fissi su Parma, e quasi nessuno, fuori della Toscana, si "fila" Livorno, ma, perdincibacco, tutti terranno lo sguardo fisso su Roma, e lo faranno con il famelico sguardo del ripetente che osserva il primo della classe mentre viene interrogato. 
E a poco servirà l'acefala claque grilliana, adorante e bendisposta, Roma è un incubo amministrativo in stato di avanzata decomposizione. Sistemarlo sarà faticoso, richiederà competenze specifiche, visione prospettica e assenza di sanculottismo un tanto al chilo.

Ma soprattutto sarà un bagno di sangue dal punto di vista del gradimento piacione fin qui sfoderato da Taverna e compagnia, solleciti prima di tutto nel presenziare tutti i punti di crisi della città, dispensando il discorsetto che il disperato di turno desiderava sentire, senza porsi problemi di coerenza, di verosimiglianza e di fattibilità.

Ecco dunque che il peggior incubo si profila all'orizzonte.      Porca pupazza, si sarà detto l'M5S romano, dobbiamo far sul serio. Stavolta lo scherzetto di mandare avanti gli altri lo hanno tirato a noi. Presto, mani avanti e spieghiamo fin d'ora perché faremo un tonfo.

Ai pentastellati il trattamento M5S non garba per nulla, ma forse impareranno qualcosa.

martedì 1 marzo 2016

Relativismo etico in eskimo



Sulla questione della paternità di Vendola e del suo compagno (a proposito, congratulazioni), si è scatenato, come noto, un dibattito estremamente acceso e presto anche svilito da posizioni da tifoseria assertiva. E non è successo solo a destra, come è invariabile costume di quel versante politico.   No, è successo pure a sinistra e, anche se alla fine non posso dirmi realmente stupito, ne sono comunque rimasto deluso.

La questione della maternità surrogata è assai complessa, coinvolge molti aspetti delicati e critici, e io mi aspettavo vi fosse una certa equanimità, una certa invariabilità dei termini di riferimento, qualcosa che non concedesse salvaguardie aprioristiche solo perché l'attore del momento è dei nostri, ma mi illudevo.

A Milano, con la grevità linguistica che è un lascito dell'occupazione asburgica, si dice che: la merda del mè Simon per i alter la spüsa, per mi la sa de bon (la merda del mio Simone per gli altri puzza, per me sa di buono).

E così, per aver avanzato alcune perplessità ed espresso alcune critiche, sono stato gratificato della qualità non negoziabile di ipocrita, ribadita con il più evocativo e biblico sepolcro imbiancato, e infine con l'arma definitiva del vero, duro e puro guardiano della rivoluzione, quel sanguinoso epiteto di fascista, mollato lì senza troppi distinguo e senza istruzioni per l'uso.

Ho posto la questione, per quanto mi riguarda, sull'opportunità di divenire genitori oltre una certa età, perché a mio giudizio (mio e non qualcosa scritto sulla pietra) questo comporta una preminenza delle proprie ragioni su quelle del figlio, e se parti, come genitore, da presupposti del genere, hai già fallito.   Un ramo collaterale e incidentale delle mie argomentazioni, e dotato pure di una certa autonomia rispetto alle unioni civili, omo o etero che siano, e sono stato sbrigativamente rampognato.

Ma ho pagato un prezzo salato, esorbitante direi, per le mie opinioni sul  secondo aspetto che ho affrontato, cioè per aver evidenziato che, per avere un figlio, una coppia gay maschile deve necessariamente ricorrere ad una madre ospite, e che il corollario ineludibile conseguente è che quella donna, quasi sempre, sarà una sconosciuta le cui motivazioni, con un grado di certezza elevatissimo, saranno originate da uno stato di necessità.
Personalmente mi pongo il problema di questo tipo di rapporto, perché la dignità degli attori coinvolti, secondo me, non è allo stesso livello, e ciò è pericoloso, e anche assai contraddittorio rispetto ai valori che dovrebbe coltivare chi si professa di sinistra.
Un pochino meglio stanno le coppie gay femminili, le quali necessitano solo di uno spermatozoo, ma tanto gli uomini sono tutti caproni, chi se ne fotte, vero?

Poi ci sarebbe da ragionare sul fatto che, stante l'opposizione oscurantista religiosa nel nostro paese, il dibattito relativo è brutalmente stoppato, e dunque chi desidera avvalersi della maternità surrogata o ha tanti soldi oppure deve rinunciarvi.
Questo pone un altro problema, non attribuibile certo a Vendola, di disparità di condizioni, cosa che comunque a Vendola dovrebbe interessare.

Molto interessante è un'argomentazione oppostami circa il fatto che il progetto genitoriale di Vendola è stato condotto nel pieno rispetto delle leggi del paese ove si è svolto.
Ci mancherebbe altro, ma rimane il fatto che la consonanza della procedura con un dettato legislativo, in sé, non garantisce nulla.   La pena di morte è legale in molti posti, basta questo per mettermi in pace con l'anima?   Non è che le due cose siano direttamente comparabili, ma santiddio gli strumenti di valutazione dovrebbero quantomeno essere sempre gli stessi.

Mi rode il culo, come mi è stato elegantemente fatto notare, perché il protagonista questa volta era Vendola? Sarebbe questo bastato, secondo questi miserabili, per indurmi velenose pruderie e impresentabili perbenismi? Mah! Che spregevole confutazione.
Mi rodeva il culo anche con le star di calcio e spettacolo, a dire il vero, solo che quando lo fa uno dei nostri a me interessa di più, perché mi chiedo chi sbaglia, e dove. Io? Lui? In cosa?

Non è mancata neanche l'invettiva di marca femminista, che ha sottolineato, ellitticamente, che in quanto uomo ho omesso di considerare il ruolo della donna, anche questa un'argomentazione da annoverare tra le armi definitive, al pari di fascista.

Io sarò anche parte in causa, ma non mi sembra proprio di aver trascurato la donna in quanto tale, mi sembra anzi vero il contrario. E comunque se è vero che la maternità è un aspetto che noi, della metà maschile del cielo, possiamo solo intellettualizzare, mi si vorrà concedere che perlomeno la genitorialità è affare anche nostro, e con un bel carico emotivo ed affettivo tra l'altro.

Queste considerazioni mi rendono un ipocrita, o addirittura un fascista, e tutto il velenoso resto, come ha detto qualcuno?  Beh, parliamone. A me pare che questo qualcuno, prima di lanciare certe accuse, anzi insulti, dovrebbe chiedersi se i suoi sono giudizi o manifestazioni di transfer.


Qui non mi propongo certo di dirimere la questione di Vendola.      
Il compagno Vendola vive la sua vita e io posso solo esprimere delle valutazioni sul suo conto. Se a qualcuno non piacciono, il problema è suo e io non intendo farmene carico.  Come tutti, per portarmi nelle cose della vita devo valutare ciò che vedo e, al contrario di qualcuno, le valutazioni molto, ma molto raramente le faccio una volta per tutte.  

Magari ci sarebbe da discutere del fatto che Niki non è Giovannino Chissachì, e che dunque, essendo uomo pubblico, le sue scelte hanno significato, peso e conseguenza differenti dalle mie, ma forse mi aspettavo troppo.
E non ho neanche la dissennata pretesa di poter risolvere un problemino come quello della maternità surrogata, che è assai complesso e, come si è visto, controverso.  

No, in questo articolo io mi pongo una domanda semplice sul conto di alcuni di quelli che dovrebbero essere miei compagni di viaggio, semplice e aggressiva, essendo deluso e imbufalito, ed è questa:
«certe persone hanno prima individuato certi valori e poi li hanno riconosciuti nella sinistra, oppure si sono messi a sinistra e ci martellano dentro i propri valori?»

domenica 14 febbraio 2016

Chi semina vento, raccoglie tempesta, o la fa raccogliere a chi si è fidato.

Ho lavorato a lungo in un Istituto bancario che pur non esente da critiche, per quello che ho potuto riscontrare nella prima parte della mia vita lavorativa, ha mantenuto un'attività assolutamente canonica, con comportamenti completamente assimilabili ad un'operatività tradizionale, fatta di adeguate proporzioni tra raccolta e impieghi.

Quella banca inoltre, pur diffusa su tutto il territorio nazionale, manteneva nel nome e nella rete di sportelli un legame preferenziale con una regione in particolare, ove costituiva una delle più rilevanti attività economiche, con tutto quello che ciò comportava in termini sociali e dunque con implicazioni che andavano un po' oltre la mission di una banca.

Non sempre e non tutto è filato senza scosse.   La politica si è spesso infilata nella gestione (nel CdA sedevano anche dirigenti regionali) ed una voragine nel bilancio venne colmata, prima che io arrivassi, ricorrendo al fondo pensione dei dipendenti, che collaborarono, un po' per salvare il posto di lavoro, un po' perché il senso di appartenenza era veramente forte.
Comunque, in linea di massima, la banca operava, se fuori da influenze politiche, con criteri prudenziali e nell'ottica di una remunerazione adeguata, ma non estrema, per evitare scompensi.

Poi è cominciata la stagione delle grandi fusioni bancarie e, appena prima di venire conferiti ad uno di questi costituendi gruppi, mi sono trovato a fruire di un corso (in realtà la presentazione di un prodotto finanziario) durante il quale mi sentii dire che i proventi della banca dovevano cominciare a provenire principalmente dall'intermediazione di prodotti mobiliari.
La cosa mi colpì e mi indusse a pensare che qualche equilibrio si era rotto e cominciai a nutrire dubbi circa i punti di riferimento che mi ero andato costruendo.    Se il cliente depositante viene visto principalmente come potenziale sottoscrittore la funzione stessa della banca muta in maniera drammatica, e non solo nel suo ruolo sociale.

Maggiori ragioni di preoccupazione mi vennero quando, entrati a far parte del grande gruppo, mi accorsi che venivano erogati mutui fondiari per importi talvolta superiori al valore peritato e a favore di soggetti dalle capacità reddituali ondivaghe, segnatamente liberi professionisti, alcuni dei quali si trovavano nella condizione estremamente provvisoria di un extracomunitario, ovviamente con permessi di soggiorno la cui validità era una frazione del periodo di ammortamento, e con redditi appena sufficienti a coprire la rata mensile.

Se solo cinque anni prima qualcuno si fosse azzardato a proporre un'operazione così avventata sarebbe stato frustato nel salone di cassa di fronte ai colleghi, poi appeso al portone d'ingresso e, infine, cacciato con ignominia.     Non sono riuscito a capacitarmi di un cambio così improvviso e radicale del paradigma fino a quando non ho realizzato che le banche non si tenevano più "in casa" il rischio, preferendo cartolarizzarlo, ovvero cederlo a società finanziarie che poi lo utilizzavano quale materia prima per l'emissione di derivati variamente esoterici.

E' evidente che se non devi più rispondere del tuo operato, e le conseguenze della tua dabbenaggine non comportano più alcuna conseguenza a tuo carico, ogni cautela e pratica virtuosa del credito non ha più alcun bisogno di essere perseguita, ed allora cominci a produrre una "tossicità" sistemica che si accumula con quella prodotta da altri soggetti, fino a creare i presupposti per devastanti implosioni.

Operando poi nel ramo corporate ho potuto verificare che, a fronte dell'arroganza vessatoria che le banche praticano nei confronti delle PMI, vi è una certa tendenza, man mano che le dimensione del cliente salgono, ad erogare somme rilevanti, magari in pool, per finanziare operazioni il cui rientro è semplicemente non preventivabile. Come non pensare che le ragioni retrostanti non siano di natura estranea a quelle del credito?

L'ingresso in uno dei più grandi istituti bancari del paese mi ha infine messo a contatto con l'espressione più ferale di tutte, secondo me, quella che è alla base di tutte le storture.
Nella nostra nuova “casa” ho sentito ripetere, come un mantra ossessivo, le parole fatali: “remunerazione dell'azionista". E questa remunerazione, tra l'altro, tendeva a esprimersi per percentuali a due cifre. Questo in un contesto dove il tasso di remunerazione dei depositi non si avvicinava neanche al mezzo punto.

Un bancario dovrebbe ben sapere che un rendimento elevato corrisponde ad un investimento rischioso e che dunque, per ottenere il risultato voluto, il tasso di "disinvoltura" e di proposizione di finanza creativa tendeva ad essere elevato.
Tutto bene, visto che il capitale di rischio va remunerato? Mah, non so. Dato che quel capitale non era degli azionisti, ma dei depositanti e che il frutto andava ai primi e il "magro" ai secondi.

Quando operi avendo come orizzonte temporale la prossima "trimestrale" tu non ti comporti più come un contadino, che lavora in un ciclo che si ripete e lo sostenta fino a quando se ne prende cura, ma cominci a ragionare come un lanzichenecco che scende dal valico e si appropria di tutto quello che vede.     Asporta l'asportabile, consuma tutto il resto e, se non lo può consumare lo rivende a quello cui l'ha rubato, o lo distrugge. Travolge, sequestra e stupra, e poi va altrove per ricominciare tutto da capo, un altrove che però non esiste più. 

Se devo remunerare l'azionista con tassi a due cifre o con i guadagni sulle quote azionarie in costante fermento mi ritrovo fatalmente a operare nel breve. Dunque non importa se sto costruendo il disastro prossimo venturo, se non soddisfo l'obiettivo io non sono più funzionale e vengo espulso.

Ora si fa un gran parlare degli scompensi del mondo bancario, della fragilità di certi istituti, di crediti inesigibili, incagliati, di contenziosi decotti e di eccessiva disinvoltura strategica e commerciale.
Improvvisamente ci si accorge, per esempio, che la montagna di mutui edilizi erogati a imprese che si sono arenate a seguito della crisi non sono più garantiti da terreni e costruzioni, spesso incomplete, i cui parametri di valore e commerciabilità si sono ridotti ad una frazione di quelli originari.

Ma non è colpa di un destino cinico e beffardo. La testa nel cappio i favolosi manager super premiati e favolosamente stipendiati ce l'hanno messa non a ragion veduta, ma sperando che dio gliela mandasse buona, abbagliati , come erano, da incentivazioni faraoniche abbastanza grosse da far dimenticare ogni prudenza.

Così ora ci si ritrova coricati su di un letto di spine, però i glutei sforacchiati non sono certo quelli dei wonder boy della “remunerazione dell'azionista”, bensì quelli dei dipendenti costantemente assoggettati a campagne di esodi incentivati, dei correntisti/obbligazionisti chiamati a colmare i buchi, della clientela che si è ritrovata stritolata dalla stretta creditizia, privata della liquidità necessaria, da una parte, a finanziare l'attività, e dall'altra a provvedere al rientro dei finanziamenti a suo tempo erogati e poi frettolosamente revocati.

No, questo disastro è tutto ciò che si vuole, tranne una calamità inaspettata.

venerdì 12 febbraio 2016

Paternalismo e vincolo di mandato

Il Movimento 5 Stelle ha dimostrato fin dall'inizio di avere un problema, grosso e congenito, di individuazione/selezione/arruolamento del personale politico, e la cosa non mi stupisce per nulla.

M5S è un soggetto politico che prende le mosse da una istigazione tendenzialmente forcaiola di una legittima stanchezza popolare, ed è coordinato da un signore, Grillo, che con la comunicazione ci lavora e ci ha fatto fortuna, un signore che, a dispetto di sbandierati annunci di ritiro, continua ad intervenire nella direzione strategica.

Forse non lo ricordiamo più, ma questo signore, per soprammercato, si è attribuito la facoltà
esclusiva e non negoziabile di discernere il “grano dal loglio”, e dunque di scrivere sulla sua personale lavagna chi è cattivo e chi è buono, omologando la scelta mediante l'apposizione di un brand che è, e rimane, sua proprietà privata.

Questo signore potrà anche fustigare il malcostume politico italiano, sceso invero a livelli infimi e bisognoso di una cura drastica e risolutiva, ma con la profonda sfiducia che prova, indistintamente, verso vittime e carnefici, dimostra solo di esserne un'espressione centralista e paternalistica, se va bene.

Questa ansia di controllo grilliana denuncia in pieno la dimensione fondamentalmente coercitiva e autoritaria di un modo di pensare che sul dissenso ci campa, ma che non sa gestirlo, e neanche accettarlo, sapendo unicamente manovrarlo a scopi interdittivi e rimanendo assai carente sul versante propositivo.

Senza cattivi e guasti da riparare, senza il dissenso che da questi viene alimentato, quella struttura politica e quel consenso perdono di coerenza e divengono vuoti e vani.
Alla denuncia, inoltre, non segue mai un rimedio poiché, data l'eccezionale trasversalità del consenso riscosso, non risulta possibile né conveniente far precipitare l'analisi del guasto in un provvedimento che, fatalmente, scontenterebbe metà della base elettorale.

Ecco dunque che, condannato a necessitare di un nemico e impossibilitato a costruire un'alternativa, il movimento si muove inquieto tra scivoloni mediatici, più o meno incidentali, marketing politico spregiudicato e non troppo sottile favoreggiamento dell'altrui malcostume politico, profondamente funzionale alla propria propaganda.

Il recente psicodramma di Quarto ha, una volta di più, sottolineato il carente sistema di individuazione/insediamento dei rappresentanti grilliani, tutti indistintamente autocandidatisi con credenziali raramente verificate e votati da compagini “condominiali” di elettori che, forzatamente, si sono ritrovati ad esprimersi in vece e per conto di diverse migliaia di indifferenti e renitenti alla consultazione.      Invero una non invidiabile alternativa al sistema dei candidati "nominati".

Sull'onda di quel fatto di cronaca politica è prepotentemente tornata in auge una vecchia suggestione del movimento, quella del vincolo di mandato.
Si tratta di un elemento che è ben più di una risposta contingente ad uno specifico problema, essendo piuttosto un preciso disegno strategico di ingegneria organizzativa.

Si tratta di un provvedimento sempre suggerito, ma non ancora imposto in quanto distonico rispetto alla narrazione pseudo libertaria fin qui propagandata, ma ora, nell'ora del “supremo bisogno”, si può anche rischiare di azzardarne una giustificazione di necessità ineluttabile. Come si dice, a mali estremi, estremi rimedi, e pazienza se la Costituzione dice diversamente.

Già, la Costituzione. Sarebbe il caso di ricordarsi che la Costituzione, stilata dopo una dittatura soffocante succedutasi ad un'ordinamento, quello sabaudo, costituzionale nella forma e semiassoluto nella prassi, prevede espressamente la libertà dal vincolo di mandato quale “dispositivo” di lotta preventiva a derive dittatoriali ed autoritarie.     Una cosa che, peraltro viene messa a rischio dall'impianto inverecondamente maggioritario, tanto e giustamente stigmatizzato dal Movimento, dell'immondo Italicum, con il suo portato di parlamenti dominati da maggioranze fasulle tenute in scacco da premier dalle prerogative presidenziali.

I nostri padri costituenti hanno preso decisioni con ferite ancora aperte sulla pelle, e non credo proprio che le loro determinazioni possano venir oscurate così facilmente da certi bricoleur da dopolavoro ferroviario degli assetti democratici.

Dunque il parlamentare grilliano “fellone” dovrebbe essere sottoposto al pagamento di una rilevantissima multa, e a me pare una cosa grottesca. La legge fondamentale del nostro stato non avalla questa linea d'azione, anzi garantisce espressamente chi intendesse sottrarvisi.
La cosa tra l'altro avrebbe i connotati di un patto tra privati ed io, anche se non sono un avvocato, dubito fortemente che un contratto privato possa avere più forza della Costituzione.

Rimane comunque il problema del malcostume politico e della decadenza dei costumi istituzionali, però non credo che lo si possa risolvere in questo modo, non credo lo si possa trattare efficacemente a posteriori ed esclusivamente per via pecuniaria.
Se il reprobo ha sufficiente faccia di bronzo, è corrotto quanto basta e l'occasione è abbastanza importante, è sufficiente alzare il prezzo del “salto della quaglia” per aggirare tranquillamente la “multa”, e tanti saluti ai nostri sanculotti.

Resta poi il fatto che il deputato o senatore dissenziente può essere anche una persona corretta e di specchiata onestà, che decide di votare diversamente, o cambiare schieramento, in perfetta coerenza col proprio sentire e ancor più perfetta buona fede, anche se il signore di cui sopra, il proprietario del brand con l'attività parlamentare preclusagli dalle sue stesse regole, la pensa diversamente.
Allo stato attuale delle cose è suo diritto farlo, e continuare a garantire quel diritto è fondamentale, a meno che non si desideri un parlamento “ornamentale”.

Il problema del parlamentare mercenario, prezzolato e pronto ad ogni prostituzione purché remunerativa, lo si risolve solo agendo a monte e sulla selezione del personale politico e, prima ancora sulla qualità dello scenario politico e sul grado di decadenza dell'etica comune.

Va ricostruito un ambiente morale che è stato picconato e sgretolato dal ventennio berlusconiano. Va ripristinata la facoltà, da parte dell'elettore, di indicare espressamente il candidato. Va diversamente normato il sistema di salvaguardia del parlamentare nei confronti dell'autorità giudiziaria.

Nulla, in definitiva, può supplire alla carenza di senso civico, men che meno il paternalismo populista dell'integralismo grilliano.

La nostra malattia si è sviluppata piano, non la cureremo in poco tempo e con poco sforzo.