In
questi giorni un numero crescente di senatori pentastellati, ma
analogo processo si agita nelle fila dei deputati, si ritrova a
valutare la possibilità di non seguire gli ordini
di scuderia che
vengono loro impartiti.
La
forte pulsione alla disobbedienza
è
il frutto avvelenato di un altrettanto forte disagio causato da ciò che il
personale politico grilliano viene sollecitato ad approvare in aula,
sempre più distante dalle promesse elettorali grazie alle quali il
loro movimento, divenuto il primo
partito italiano,
si è insediato al governo della nazione.
Che
le cose fossero destinate ad incancrenirsi lo si vide già ad inizio
legislatura quando, verificato che la pretesa di conseguire la
maggioranza assoluta si rivelò un sogno poco realistico, la strategia M5S,
subito in affanno, non trovò di meglio che bussare alle porte di due
nemici
dichiarati,
uno vero e l'altro teorico, per riuscire a capitalizzare un
risultato elettorale importante, ma non abbastanza da consentire un
monocolore a cinque stelle.
Messo
alle strette, e timoroso di quello che un un immediato ritorno alle
urne avrebbe potuto generare, lo stato maggiore grillino
(eterodiretto da un anziano guitto e da una srl milanese) fece prima
una mossa sostanzialmente propagandistica, proponendo una
collaborazione al PD,
l'arcinemico preso a palate di sterco per tutta la legislatura
precedente.
Una
mossa solo apparentemente incongrua, fatta solo per incassare il più
che prevedibile gran rifiuto renziano e dunque porre le premesse per
far digerire ad una base inizialmente stranita il necessario
concerto
con la Lega,
ovvero con la germinazione di un neofascismo privo dell'apparato
scenografico meloniano
e
reduce da un risultato elettorale appena discreto, conseguito
peraltro quale membro di una coalizione i cui superstiti sono ora
all'opposizione, o giù di lì nel caso dei nipotini del duce di
Fratelli
d'Italia.
Costruita
dunque a tavolino l'oggettiva
necessità,
M5S si alleò, chiedo scusa, si obbligò
contrattualmente con
le vecchie volpi padane, che in breve tempo si sono impadronite
dell'iniziativa e dell'agenda politiche, privilegiando le proprie
battaglie a danno di quelle pentastellate, erodendone costantemente
il consenso elettorale.
A
distanza di pochi mesi le iniziative più qualificanti del Movimento
sono ferme, o depotenziate, oppure ancora rinviate. I
voltafaccia - TAV
e TAP
- si accumulano e le furbate da prima e seconda repubblica - condoni
e provvedimenti ischitani
ben
nascosti dentro urgenze luttuose - si moltiplicano, secondo l'antica
prassi democristiana.
Questo
è quello che accade quando dei neosanculotti privi di acume e
indebitamente spocchiosi scendono dall'empireo delle fregnacce per
sbattere il cipiglioso grugno contro la realtà.
La guida
strategica del Movimento è fallimentare, mentre quella della Lega
beneficia di una lunga esperienza e di un grado di cinismo
terrificante.
Colpa
dell'inesperienza? Vi piacerebbe eh? Sorry, no, colpa della
presunzione.
Il
problema però, dal punto di vista del guitto genovese e della srl
milanese, è che alcuni parlamentari pentastellati credevano
veramente alla narrazione grillina, e quando si sono proposti come
candidati avevano realmente l'intenzione di realizzare il programma
che oggi vedono così malamente tradito.
All'inizio
hanno tacitato il loro disagio, dandosi il tempo di vedere se si
trattava di sbagli o di malafede, ma ora evidentemente non riescono
più a chiudere gli occhi di fronte all'evidenza, e dunque si trovano
di fronte alla scelta se rimanere fedeli alla propria etica o
divenire dei mercenari non migliori dei politicanti che hanno finora
criticato con foga.
Alcuni
quella scelta l'hanno già fatta e con limpida presa di posizione
hanno espresso un voto contrario a quello imposto dall'alto, anche se
Di Maio ed altri suggeriscono miserabili interpretazioni legate ad un
presunto tornaconto economico, altri invece hanno optato per assenze
strategiche o imbarazzate astensioni.
Il
gruppo dirigente pentastellato, con piglio cesarista e supremo
disprezzo di dialettica e democrazia interne, ha già fatto la faccia
feroce, comminato sospensioni e minacciato espulsioni, minaccia
peraltro rinforzata dall'impegno a suo tempo sottoscritto dagli
eletti - con una clausola smaccatamente vessatoria - a corrispondere
una penale ridicolmente elevata di 100mila
Euro.
Quell'impegno
non è altro che l'introduzione, surrettizia e indebita, di un
vincolo di mandato, espressamente vietato dall'art. 67 della
Costituzione, che recita:
Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato
Considerato
poi che il referente ultimo dei parlamentari grilliani sembra essere
la più volte ricordata srl milanese, mi chiedo se valga di più il
giuramento prestato alla Repubblica o un impegno di natura
commerciale, per di più con evidenti vizi di forma, a favore di
un'impresa privata nell'espletamento di un alto servizio pubblico.
Fossi
un eletto grillino dissidente andrei a vedere il bluff e mi farei
trascinare in tribunale. Non credo infatti che un giudice
anteporrebbe gli obblighi di natura costituzionale a quelli di
matrice privatistica, e credo che mi potrei prendere una bella
soddisfazione.
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