sabato 21 gennaio 2017

DIBATTITO s. m. [der. di dibattere]. – Discussione nella quale si contrappongono e valutano idee e opinioni diverse in merito a determinati argomenti.

La funzione onthisday di Facebook, quella che giornalmente ripropone i post originati negli anni precedenti in una certa data, è spesso interessante poiché consente di recuperare elementi di valutazione, anche antropologici, che circostanziano processi e percorsi i quali, visti in prospettiva, acquistano maggiore evidenza.

Oggi, in particolare, mi è stato riproposto un post di tre anni fa, dunque del 21 gennaio 2014, nel quale, dopo aver occasionalmente seguito un talk show tipicamente addomesticato, commentavo le uscite di una allora emergente Maria Elena Boschi, la quale soavemente sosteneva la necessità parlare con Forza Italia e dunque con Berlusconi, in questo spalleggiata da quel filone privo di vergogna di Casini.

Si era in piena creatività giustificatoria del nefando Patto del Nazareno, stretto solo quattro giorni prima, che predisponeva tutti i punti qualificanti della successiva strategia renziana di ridisegno istituzionale, quella poi fortunatamente bocciata sonoramente dall'esito della consultazione referendaria del 5 dicembre 2016.

Una delle considerazioni che svolgevo verteva sulla circostanza che il pregiudicato Berlusconi, in quanto tale, non avrebbe dovuto poter rappresentare nessuno.
Procedevo poi, piuttosto ingenuamente, ad argomentare che se l'esponente è indegno il problema è del partito a cui appartiene e che dunque non sarebbe toccato a noi (allora, che dio mi perdoni, consideravo ancora il PD un riferimento) doverlo risolvere, e che qualsiasi pregiudicato, con pena ancora da scontare, non potrebbe fare altro che saldare il proprio debito con la società.

Tra i molti commenti più o meno concordi con la mia opinione, ad un certo punto emerse questa vagamente disgustata e retoricissima domanda digitata da un mio contatto già segnalatosi per la sua osservanza renziana:

"Scusate ma tra i vostri commenti non trovo spazio per i dubbi... Solo certezze???"

Un esempio lampante di fasulla ragionevolezza e di paternalistica assertività, un espediente dialettico portato alla perfezione dalle pratiche manipolatorie berlusconiane, non a caso acquisite senza variazioni dal renzismo. 

L'essenza di quella domanda, posta in quei termini e circostanze, dietro ad un'apparente bonomia di stampo quasi pedagogico cela una chiusura aprioristica, una presunzione di ragione assoluta, lampante al punto di non necessitare di alcuna verifica, il che non è male dopo aver stigmatizzato le altrui certezze.

Abbastanza indispettito chiesi a mia volta cosa significasse quel richiamo strumentale al dubbio, per quale ragione dovessi vergognarmi per l'esito delle mie valutazioni e se avesse la minima idea del processo che me le aveva suggerite.

Gli chiesi anche per quale ragione ritenesse che non avessi sperimentato dubbi e di conseguenza preso decisioni ponderate e nella speranza di non sbagliarmi troppo.
Ma, soprattutto e alla fine di tutto, per quale motivo avrei dovuto dolermi per le mie certezze, e per quale accidenti di ragione avrei dovuto metterle in secondo piano, dato che le motivavo ed ero disposto a ridiscuterle in ogni momento?

La ancor più condiscendente risposta fu che avrei dovuto solo consentirgli 
"la facoltà di dubitare delle altrui certezze" altrimenti non sarei stato certo migliore di chi criticavo con tanto livore (termine assai utilizzato da Renzi, guarda caso), passando poi a salutarmi con un ancor più smaccata e indimostrata professione di superiorità morale, sostanziata in un olimpico  "Un abbraccio... con estremo rispetto per le altrui idee".

E con questo ero a posto evidentemente, e senza uno straccio di argomentazione a supporto, dato che ho dovuto accontentarmi del suo implicito disprezzo per le mie supposte intemperanze.

Ecco, in un'epoca nella quale gli epiteti di gufo e rosicone assumono la dignità di categoria politica, e l'elaborazione dialettica viene considerata un'inutile perdita di tempo, non posso certo stupirmi se l'esercizio della libertà di parola e di opinione diventa offesa e maleducazione.
Il fatto è che nessuno dovrebbe farsi carico del desiderio altrui a non essere contraddetto, per cui rivendico la facoltà di nutrire convinzioni e il diritto di esternarle, motivando e rimanendo nei limiti di un civile confronto naturalmente.

Quelle che il mio sussiegoso critico definì certezze erano, in realtà, opinioni, cui ciascuno ha diritto. Le sue opinioni, che potei solo intuire dato che non vennero realmente esplicitate, non mi minacciarono, anche se mi indispettì la sua supponenza.   Le mie invece lo angustiarono, ma non furono una prevaricazione, e soprattutto non un mio problema.



Un vecchio uomo di destra, Indro Montanelli, nel '94 disse che:

 “l’Italia di Berlusconi finirà male, malissimo, nella vergogna e nella corruzione. E sarà stato inutile avere ragione”. 

La dialettica mutuata dalle invenzioni retoriche da corso motivazionale, ad uso e consumo dei rampanti funzionari delle imprese del terziario avanzato, fu alla base del successo dell'originario partito di plastica inventato da Berlusconi, che infatti lo fece germinare dalla macchina organizzativa delle sue aziende, ed è stata acquisita con grande disinvoltura da Renzi, l'erede morale del Cavaliere.

Quel modo di affermare senza dimostrare ha fatto scuola divenendo stabilmente cifra di ciò che viene proditoriamente definito dibattito

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