sabato 30 maggio 2015

Podemos, ovvero la sora Camilla, che tutti la vonno e nissuno la pija.

Io a questo giro non sono chiamato a votare, ma se lo fossi, o quando dovrò farlo, selezionerei la lista di sinistra che più si avvicina al mio sentire. Astenermi o votare scheda bianca sarebbe per me una sconfitta morale insopportabile.

Lo farei per non "convalidare" un partito stravolto da una deriva autoritaria e peronista e per non reggere il sacco ai diligenti sicari di un potere finanziario e sovranazionale, non sottoposto al vaglio di consultazioni democratiche, ma non coltiverei certo il sogno di aver trovato la giusta risposta ad un popolo di sinistra orfano di rappresentanza.

Tutte le formazioni di "sinistra-sinistra", al momento votabili, non sono ancora uscite dal ghetto autoreferenziale e identitario delle innumerevoli schegge che hanno frammentato la sinistra, aprendo la strada al Partito della Nazione di Renzi.

Tutti si fregiano di una gloria spuria per il buon risultato elettorale di Podemos, ma nessuno dei precipitosi estimatori ha mostrato di capire la natura profondamente innovativa di quella formazione tranne, forse, Landini con la sua proposta in laboriosa e indefinita gestazione.

Nessuno ha capito che si tratta di un movimento che parte dalla volontà/capacità di semplici cittadini a farsi coinvolgere in un processo fondativo e con la prospettiva, credibile, di poter poi partecipare al governo delle iniziative individuate.

Pochissimi si sono accorti che i promotori del fenomeno Podemos sono certamente esperti di scienze sociali e con pregresse esperienze di impegno politico, di base in genere, che però non si sono proposti, assiomaticamente, quale gruppo dirigente.

Si sono messi al servizio della elaborazione di una linea e di un percorso, dopo aver fornito le premesse organizzative e facilitato l'acquisizione degli strumenti di base, lasciando poi alla gente il compito, e l'onere, di sviluppare, gestire, verificare e manutenere un progetto politico.

Sto parlando di qualcosa che qui da noi non esiste. Qualcosa che ha cercato più volte di svilupparsi (girotondi e popolo viola per esempio), ma che è sempre stata strangolata nella culla, invariabilmente e immediatamente bastonata sulle orecchie da chi non gradiva certo l'intromissione di sprovveduti e inopportuni “cosacchi”.

Non gradivano certamente i partiti storici e tradizionali, centralisti per antica abitudine e dediti alla blindatura del personale politico che li esprime, e ancor meno gradiscono oggi, in tempi di candidato “impresentabile”, quando la commistione tra affari e politica, o tra malavita e politica, non ha più neanche il pudore di rimanere in una prudente ombra.

Renzi, come sempre, mette il cappello su tutto ciò che appare vincente, senza troppo preoccuparsi della verosimiglianza delle sue pretese, e dunque si fa un selfie ideale con Podemos, senza chiedere il permesso e pronto a dimenticarsene non appena ciò gli farà gioco.

Ma non gradirebbe molto neanche la grande novità del panorama italiano, quel 5 Stelle che si è proposto, con grande successo, quale interprete del malessere generale e forza moralizzatrice, a contrasto del malaffare che impera nei vari livelli di governo del nostro paese.

M5S rivendica più di un'affinità con Podemos, però Pablo Iglesias ha rigettato questa consanguineità, senza acrimonia, ma fermamente, ed io credo che vi sia più di una ragione per rifiutare questo apparentamento.

Podemos promuove istanze di base che elaborano proposte e che vengono consultate in ogni fase, soprattutto quando si tratta di verificare e rimodulare, se del caso, l'azione politica. Nel farlo non ha la pretesa di esercitare una tecnologica, e illusoria, democrazia diretta. Accetta il rischio di uno scollamento dalla base e lo combatte rinforzandone il coinvolgimento.

M5S, invece, appronta una piattaforma informatica, asfittica, insufficiente e dalla incerta funzionalità, che copre un risicato 2,2% della base elettorale. Vi sono “cittadini” parlamentari o consiglieri selezionati da “primarie” elettroniche che individuavano candidati “forti”, talvolta, anche di solo una decina di sostenitori.

Quando poi accade, come col quesito sulla partecipazione ai colloqui con Renzi Presidente incaricato, che la base esprima un orientamento non gradito, allora partono immediatamente scomuniche e greve ironia da parte del “portavoce” Grillo, il quale si contorce e protesta per “l'errore” degli elettori e dunque vi partecipa, non potendo smentirsi così platealmente, ma solo per far fallire il colloquio e dire: “visto? Ve l'avevo detto!”.

Anche la sinistra-sinistra ama apparentarsi con l'esperimento vincente spagnolo, ma non sembra ancora disposta ad abbandonare la vocazione verticistica che l'ha sempre caratterizzata e, piuttosto che porsi come un'avanguardia che sollecita una presa di coscienza, propiziandone il concretarsi in un progetto vitale ed operativo, continua a sembrare il solito Stato Maggiore alla ricerca di un esercito che ne giustifichi esistenza e velleità.

Nessuno infine sembra capire, o forse lo capiscono fin troppo bene, che quando solleciti realmente, e non per modo di dire, l'autodeterminazione di un popolo finisci col cavalcare un inquieto dragone, insofferente ad ogni mordacchia, che potrebbe anche elaborare risposte non previste e, qualche volta, assai sgradite.

E' dunque una cosa che va fatta con cognizione di causa e serietà d'intenti, senza la presunzione di poter suonare ad orecchio o di potersela cavare con i contorsionismi dialettici cui ci ha abituato Renzi.

Io, insomma, non voterei PD e invito tutti a non farlo, ma anche a capire che non basta, che dovremmo decidere di rimboccarci le maniche, smetterla di delegare ed avere il coraggio anche di un certo anticonformismo, per evitare di ricalcare orme che ci hanno già portati nel posto sbagliato.


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