venerdì 17 gennaio 2020

"La domanda"

Oggi, esattamente 45 anni fa, il rumoroso ACM che ci aveva prelevati alla stazione FS di Casarsa della Delizia, dopo averci abbondantemente affumicati coi gas di scarico che la turbolenza portava malignamente nel cassone, varcava la porta carraia della caserma Arduino Forgiarini, a pochi chilometri da Tauriano di Spilimbergo, ove era di stanza il 32° Reggimento Carri, cui ero stato assegnato.    


Il mio scaglione, in quel tempo di esperimenti che preludeva alla riorganizzazione dell'Esercito, che seguì sette mesi dopo, non venne inviato ai vari CAR e BAR, ma direttamente ai reparti di destinazione.

Era una giornata fredda, ma illuminata da un sole splendente.   Era il 17 gennaio del 1975, ed era un venerdì, esattamente come questo 17 gennaio, dunque cominciai sfidando subito  la fortuna. 
  
Ero partito la mattina dalla Stazione Centrale di Milano, e fu l'unica volta in 14 mesi che viaggiai seduto, su quella tratta.   Tutte le altre volte rimasi in piedi nei corridoi di vagoni strapieni.    

Arrivato a Casarsa vidi diversi camion dell'Esercito fermi di fianco ad un capannone, con alcuni militari in mimetica che individuarono subito noi "burbe" in mezzo ai viaggiatori che scendevano dal treno.

Con sorrisi vagamente inquietanti alcuni di loro, che portavano sulle controspalline le insegne di ACS, ci fecero avvicinare e ci chiesero le cartoline di precetto, per individuare le nostre destinazioni e smistarci verso il camion giusto.

Quel piazzale infatti era una sorta di occasionale "stazione di corriere" dalla quale raggiungere una delle numerose caserme di cui il territorio era cosparso.
Ai tempi la Cortina di Ferro era ancora una realtà solidissima e apparentemente inamovibile, dunque la gran parte dell'Esercito era schierata sulla cosiddetta "Soglia di Gorizia", uno dei punti di supposta penetrazione delle forze del Patto di Varsavia, insieme al "Varco di Fulda" in Germania, ragione per la quale il Friuli era una specie di mondo militare, con una presenza civile che si teneva il più possibile distante da torme di ragazzotti troppo turbolenti e dagli ormoni eccessivamente baldanzosi.

Una volta giunti in caserma, mi ritrovai in un mondo che aveva pochissimi contatti con tutto ciò che avevo fino ad allora sperimentato.          Persone si muovevano dappertutto, intente a compiti misteriosi e non facilmente intuibili.     Tutto era disposto in rigide geometrie, simmetriche eppure ineleganti per una certa aria di stanca ripetitività.

Falangi di ragazzi, ma in quel momento mi parevano tutti più "grandi", si muovevano inquadrate, quelli col basco nero con un passo lento e insolitamente determinato, quelli col fez rosso di corsa e con una stranissima "pesante lievità" (lo so, è un ossimoro, ma con le fuggevoli sensazioni si deve essere pronti ad accettare tutto).     

Vedendo quelli che ancora non pensavo come miei commilitoni, ebbi la prima dimostrazione che i reparti corazzati e meccanizzati non erano composti da corpi omogenei, bensì da specialità che si dedicavano a compiti distinti, ma sinergici, e che in quel mondo di uniformità accuratamente perseguita vi erano dettagli che dividevano tutto in categorie precise, secondo una tassonomia definita in ogni più minuto particolare.

I muri erano cosparsi di massime scritte in caratteri neri e "militarmente" nitidi, una delle quali, scopersi di lì a poco, mi avrebbe riguardato personalmente.   Di lato al cancello carraio infatti campeggiava la scritta "automezzi al passo, bersaglieri di corsa".

Venimmo fatti scendere dal camion e introdotti nella palestra, ove vidi un comitato di accoglienza abbastanza ben organizzato.   Al centro del locale erano state disposte alcune scrivanie, a cui stavano seduti militari in ordinata successione di grado.

La procedura di incorporazione ebbe così inizio, e mi diede la chiara dimostrazione che l'Esercito ha un metodo, ma che quel metodo possiede una sua misteriosa dinamica, imperscrutabile, ove le necessità dell'ordine prevalgono su quelle dell'efficienza, e la cosa, che ha elementi più estetici che funzionali, non disturba proprio nessuno.

La prima scrivania era presieduta da un maggiore carrista il quale mi chiese la cartolina di precetto ed il nome.  Consegnai il cartoncino e dissi "Roberto Rizzardi".
Lui mi diede una breve occhiata e mi fece "la domanda" (perché la metto tra virgolette sarà chiaro in breve).       Mi chiese "sai scrivere a macchina?" (allora la truppa veniva apostrofata con la seconda persona singolare) e "sai guidare?".   Sono due domande in effetti, ma mi vennero poste in un modo che chiariva la loro indissolubile concatenazione.  
Risposi no alla prima e si alla seconda.  Lui, abbassando lo sguardo e scrivendo qualcosa su un grande registro, mi disse "Bersagliere" e mi fece cenno di accedere alla seconda scrivania, immediatamente adiacente alla sua, ove era seduto un maresciallo, carrista pure lui, che mi chiese a sua volta il nome.  

Glielo dissi, e lui  mi corresse subito, aggiungendovi il mio grado, così appresi che da quel momento il mio nome corretto sarebbe stato "Bersagliere Roberto Rizzardi".  Chiarito questo dettaglio, anche lui mi fece "la domanda", cui ovviamente risposi allo stesso modo.
Il maresciallo mi disse "5° Battaglione" , e mi indirizzò alla terza scrivania, alla quale sedeva un sergente maggiore, stavolta un bersagliere.

Il sottufficiale mi chiese nuovamente il nome, ed io risposi, in un fiato,   "Bersagliere Roberto Rizzardi, 5° Battaglione", perché avevo sgamato subito il sistema.
Incredibilmente anche il sergente maggiore mi fece "la domanda", cui risposi nel solito modo, e lui mi invitò a passare alla scrivania a lato, l'ultima, aggiungendo "6ª Compagnia".

In fondo alla filiera dei misteriosi intervistatori stava un caporalmaggiore carrista, in mimetica, che mi chiese pure lui il nome  e a cui risposi con la tiritera, a quel punto completa, che informava il richiedente del mio status.
Lui non mi pose "la domanda", del resto era un caporalmaggiore e non contava nulla, come potei comprendere successivamente, soprattutto dopo aver conseguito lo stesso grado; mi disse semplicemente: "incarico 60".
Gli chiesi in cosa consistesse, e lui mi rispose: "ti è andata di culo, spina", e mi indicò una porta, dalla quale uscii per completare la procedura di incorporazione nel reggimento.

Mentre ero in coda per ottenere  gli "effetti letterecci", quelli che conoscevo come lenzuola e coperte, adocchiai un soldato che mi pareva abbordabile e gli chiesi che accidenti fosse un "incarico 60", e lui mi rispose: "scritturale".
Ma come, dissi, mi hanno continuamente chiesto se sapevo scrivere a macchina, rispondendo sempre no, e mi fanno scritturale?    E lui: certo, altrimenti avresti avuto l'incarico 23, ovvero dattilografo, e stai certo che non potevi essere conduttore di automezzi, con quegli occhiali.

Così cominciò il mio servizio militare, sottoposto ad una serie di domande rituali le cui risposte non avrebbero influito su un destino ed un incarico già predefiniti, anche se su basi in gran parte casuali.

Bersagliere in un battaglione e compagnia di carristi, per il momento e fino al giuramento ed alla fine dell'addestramento propedeutico, e con la certezza, a quel punto, che se fossi stato capace di mantenere la calma ed il distacco, ogni tanto avrei potuto farmi anche qualche bella risata, e fu così che andò.

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