giovedì 13 dicembre 2018

La gente affamata e senza lavoro è la pasta di cui sono fatte le dittature. (F.D. Roosevelt)


Il New Deal fu una risposta conforme al paradigma liberista, seppure con colorazioni socialdemocratiche, al disastro economico del '29, indotto dal modus operandi di un liberismo finanziario sfrenato, bulimico e privo di progettualità, che aveva gettato gli USA, e gran parte del mondo, in una crisi economica nerissima e profonda.
Non molto organico nella sua implementazione, il New Deal fu ferocemente avversato dalle componenti più conservatrici della politica e della finanza statunitensi, componenti che poi addossarono a Roosevelt la responsabilità delle inefficienze dell’intervento roosveltiano, indotte proprio dalla loro reazione.
Tutti ricordano, di quel programma, le spese federali di sostegno al reddito, con vaste campagne di lavori pubblici, ma la parte più qualificante dell'intervento si concretò mediante la promulgazione di leggi strategiche volte a disciplinare l'azione degli attori dello scenario economico ed industriale.
Tra quegli interventi quello che ritengo più importante fu il Glass-Steagall Banking Act il quale, imponendo la separazione tra banche commerciali e banche d'investimento, aggredì alla fonte la causa principale o, meglio, il presupposto funzionale della catena di eventi che portò al tracollo finanziario culminato nel famoso giovedì nero.
Quella legge resistette indomita, nonostante le continue pressioni del mondo bancario e finanziario, fino al 1999 quando, durante il secondo mandato di Bill Clinton, venne promulgato il Gramm-Leach-Bliley Act, che abrogò quella separazione.
Fu una decisione tragica, che pose le basi funzionali per la famigerata crisi dei subprime del 2006, causa scatenante dell'attuale e più che decennale crisi economica che ci ha tutti fatti arretrare, nelle condizioni di vita, a livelli infimi e con prospettive di ripresa miserabili.
Parafrasando Clemenceau, che disse che la guerra è una faccenda troppo seria per lasciarla ai generali, direi che anche l'economia è troppo importante per lasciare che se ne curino banche e finanziarie.
Dovrebbe occuparsene la politica, ma non certo ciò che oggi passa sotto quel nome, non quella pletora di teste di legno, nel senso di prestanome al servizio delle esigenze della speculazione su larga scala, vera e propria banda di miracolati dalla visione strabica e con prospettive a raggio minimo, che infestano le strutture di governo e legislative di gran parte delle sempre meno rappresentative democrazie occidentali
Di certo non dovrebbero occuparsene i fantasisti oggi al potere nel nostro paese, equamente suddivisi tra analfabeti funzionali che giocano sulla fonetica sovrapponibile tra 2,4 e 2,04 per cento di deficit del PIL, come se l’improvvisa sparizione di circa 6,48 miliardi di Euro fosse un dettaglio ininfluente, e muscolari tromboni, facondi produttori di tweet incauti ed esternazioni fragorose per far dimenticare la totale inosservanza degli impegni presi in campagna elettorale.
Secondo Max Weber, un uomo politico deve possedere tre qualità, da lui definite sommamente decisive: passione, senso di responsabilità, lungimiranza. Se è così mi sa che siamo messi male.

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