lunedì 18 gennaio 2016

Due di picche con briscola a fiori.


Un anno fa, in occasione dell'uscita di Cofferati dal PD, a seguito dell'opaca vicenda delle primarie liguri, leggevo una dichiarazione di Enrico Rossi - presidente della Regione Toscana - il quale, con rara improntitudine, affidava a Facebook questa riflessione:
«Capisco l'amarezza e anche la denuncia di Sergio Cofferati, alla cui campagna ho provato a dare sostegno con l'apprezzamento per la svolta che voleva dare alle politiche del territorio.

Ma Sergio sbaglia a abbandonare il partito. Le battaglie si fanno dentro non fuori.

Altrimenti per coerenza dovrebbe dare le dimissioni dall'incarico in Europa essendo stato eletto con il PD.
Civati esulta e parla di scissione. Ma non é di divisioni e partitini che ha bisogno la sinistra.
Il nostro popolo ci chiede di impegnarci nella lotta per il lavoro e non in quella per le poltrone». 

La cosa che più mi colpì fu quell'ipocrita asserzione circa il fatto che "le battaglie si fanno dentro e non fuori", perché è del tutto evidente che dentro il PD le battaglie non si fanno proprio. 

O ci si accoda al capo, oppure ci si mette nell'ombra, proponendo interpretazioni dell'Amleto shakesperiano a là façon Civati, o diventando la bestia nera alla Mineo, due personaggi noti per la loro "influenza" in seno al partito.

Civati e Mineo, nel frattempo, sono usciti e l'hanno fatto nel modo meno produttivo possibile, secondo me, svuotando di significato la decisione di Cofferati, e decidendo, nel caso di Civati, come pure di Fassina, di procedere isolatamente con una minuscola creatura politica che non ha neanche fatto il gesto di guardarsi intorno per costruire alleanze.

Ho in proposito pensieri precisi. Sono solo i miei pensieri, dunque non fanno legge, ma ne traggo alcune conseguenze.

I vari "minoritari" del PD, Civati, Fassina e Mineo, per citare i più conosciuti, stando all'interno del partito non hanno mai operato in modo da "coagulare" un contrasto alla deriva renziana. 
Hanno, questo si, elevato alti lai, spesso conquistandosi qualche evidenza mediatica, ma hanno evitato accuratamente, con un grado di consapevolezza sul quale vorrei non pronunciarmi, di divenire qualcosa con la quale fare i conti.

A sostegno di questa mia convinzione credo sia sufficiente ricordare cosa è accaduto quando è stato il momento di manifestare un dissenso effettivo e produttivo sul piano pratico, quando cioè c'era da votare contro qualche provvedimento turboliberista.
Non si trattava di impedirne l'approvazione, dato che i dissidenti non ne avrebbero avuto la forza, ma di dare corpo ad 
una compagine coesa e potenzialmente in grado di fungere da germe, da ancoraggio per un'alternativa al renzismo, palesandone l'esistenza.

Ma loro, sistematicamente, cosa hanno fatto invece? Hanno forse votato contro, assumendosi la responsabilità di far seguire alle loro
 analisi assai critiche le necessarie conseguenze operative? Si sono astenuti, al Senato dove tale cosa avrebbe avuto l'effetto pratico di un voto contrario? Sono stati coerenti con le severe e condivisibili valutazioni degli effetti dei vari job act, Italicum e atti preparatori per lo scempio degli assetti costituzionali? 
No, maledizione, non lo hanno fatto. Si sono alzati dai loro inutili scranni e sono andati alla buvette, a prendersi un caffè, curando nel contempo di rilasciare qualche indignata dichiarazione al cronista di turno.
Quando poi sono usciti, finalmente, dal partito l'hanno fatto infliggendo il minimo disturbo possibile, da perdenti e sconfitti, lasciando il vasto popolo PD, che sperava nel concretarsi di una rappresentanza persa da lungo tempo, col cerino in mano.

E cosa hanno fatto poi tutti questi rodomonti da operetta? Ma un altro soggetto politico ovviamente, che magari si è pure guardato in giro, ma non per stringere alleanze, bensì per acquisire truppe cammellate da spendere in iniziative velleitarie, come i banchetti per i referendum immediatamente promossi da Possibile, con l'inchiostro dell'atto del loro documento costitutivo ancora umido.

Un'iniziativa, questa, magari giustissima, ma progettata in modo da spuntare caselle su di una "to do list", non certo per conseguire risultati.       Non si indicono raccolte di firme con venti giorni di preavviso, un trimestre di tempo per farlo e con agosto in mezzo, oppure lo si fa per poi esibire un medagliere.

Sono stato rimproverato per questo giudizio, ritenuto ingeneroso, e mi è stato opposto, da un simpatizzante di Possibile, che Civati ha cercato pervicacemente un rapporto col resto della sinistra, attribuendo il suo ritardo per l'uscita dal PD proprio a questa "vana" aspettativa, ma che il resto della sinistra ha nicchiato.
Può essere, ma se il buon Pippo fosse stato meno problematico e più concreto, un pochino meno furbo, magari questa sinistra - la base se non un'accidiosa dirigenza - avrebbe trovato in lui un'interlocutore credibile e avrebbe potuto magari fidarsi e raccogliersi per un riscatto che ci è assolutamente necessario.    Però questo non  lo sapremo mai naturalmente


Il fatto è che se è vero che Sinistra Italiana, secondo i nostri migliori "peggiori" vizi, non si cura di Possibile, è pure vero il contrario.   
Si, ha ragione il compagno di Possibile, la sinistra, chiamata al raduno, nicchia, ma lo fa perché ciascuno ha le sue mene egemoniche. 
Non esiste alcuna possibilità di sintesi nei detriti della sinistra organizzata, perché ciascuno, uscendo dalla casa-partito originale, si è portato dietro vecchi vizi e tare esiziali.
Ma se tutta questa gente chiedesse scusa per i ripetuti errori e per la miopia politica dimostrata, e sfoderasse un'inedita umiltà e sviluppasse una mai sperimentata capacità di ascolto, non cambierebbe forse qualcosa?

E invece no, qui stiamo ancora attendendo che il processo darwiniano faccia emergere il più forte, ma ci si è dimenticati che quel processo dà conto anche di specie estinte per inadattabilità, e che questo è un esito molto più comune del primo.

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