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martedì 21 marzo 2023

“Vado matto per i piani ben riusciti!” [John "Hannibal" Smith]

Se qualcuno, a suo tempo, rimase interdetto per la precipitosa ritirata USA dall'Afghanistan, senza preavviso o ragioni immediatamente riconoscibili, lasciando in modo assolutamente prevedibile un paese in mano agli stessi talebani che furono la causa nominale dell'invasione americana (ops, a quanto pare c'è invasione ed invasione), ebbene direi che il quasi immediatamente successivo precipitare della questione ucraina può fornire qualche motivazione per quella ignominiosa ritirata: gli USA avevano bisogno di concentrarsi su un nuovo capitolo geostrategico.     

"Aggiustato" il fenomeno islamico, più o meno (o quanto basta), era arrivato il momento di dedicarsi al contenimento della Cina, silenziosamente arrembante ed inarrestabile, passando attraverso la destabilizzazione del gigante russo, che con il "paese di mezzo" pechinese ha una smisurata linea di confine.

Indurre la frantumazione della federazione russa in sparse sottounità fatte di signori della guerra in possesso di alcune testate nucleari, o perlomeno causare un "regime change" nel Cremlino, favorendo l'avvento di un nuovo satrapo più "western oriented", avrebbe conferito alla Cina un ingombrante problema confinario che l'avrebbe disturbata nella silenziosa ed inarrestabile scalata verso la supremazia economica che stava inseguendo.

In Ucraina già da tempo, circa un decennio o poco più, gli USA avevano nel frattempo  cominciato a "preparare" il terreno mediante Maidan, favorendo l'avvento di un revanscismo nazionalista di matrice neonazista che alimentò una guerra civile di stampo etnico a danno dei russofoni degli oblast orientali.

Era arrivato il momento di indurre nei moscoviti la necessità/opportunità (perché comunque il Cremlino ha una sua tendenza imperialista) di una risposta muscolare, per cui era necessario non avere risorse impegnate in buchi mediorientali privi di prospettive.
L'aggressività di Kiev venne alimentata con una dieta ipercalorica di promesse di aiuto e incitazioni ad un riscatto nazionalista ammantato di virtuosa affermazione del bene sul male.       Il gioco di provocazioni e reazioni scivolò sugli oliati binari dell'automatismo strategico pavloviano e ciò che "doveva succedere" successe.

Si potrebbe obiettare che offrire alla Cina la possibilità di sconfiggere un ipotizzato frammento siberiano della fu federazione moscovita, militarmente debole ancorchè in possesso di qualche testata, ma detentore di rilevanti risorse minerarie e naturali, non sia esattamente una pensata strategicamente ineccepibile, ma stiamo parlando di americani, cioè di gente inadatta a pensare in termini autenticamente e sagacemente strategici, una nazione che "sistema" i problemi  dell'oggi creandone di più grossi domani, come fa fin dalla sua indipendenza dalla corte britannica di re Giorgio III.

Comunque sia ora il sanguinario confronto è in atto.   Il prezzo più elevato lo stanno pagando gli ucraini di ogni tipo, seguiti dalle truppe russe, mercenarie o meno che siano (il gruppo Wagner non è meno esecrabile dell'americanissima Academi, la ex Blackwater, ma la cosa viene opportunamente dimenticata), mentre gli USA al momento si limitano a soffiare sul fuoco, a incitare a combattere "fino all'ultimo ucraino" e a impastoiare le potenzialità europee disgregando la coerenza politica UE e inducendo Bruxelles a dissipare la propria ricchezza in spese militari a vantaggio dei progetti imperiali statunitensi.

Tutto bene e secondo i piani?  Non proprio! E' difficile per noi europei  renderci conto di quanto i progetti americani stiano faticando ad affermarsi, perché la nostra sedicente "informazione" non ha mai neanche tentato di essere imparziale e distaccata, risultando anzi spudoratamente di parte e grottescamente propagandistica, ma le cose a livello globale non stanno andando come ce la raccontano.

La Cina, che vanta un'antichissima sapienza diplomatica e ragiona da millenni in prospettiva storica, non ha mai cessato di offrire alla Russia un punto d'appoggio ed uno sfogo commerciale, mentre una parte rilevante delle nazioni detentrici di risorse naturali e materie prime si rifiuta ostinatamente di aderire alle sanzioni contro la Russia, rendendo il presunto "cinturamento" dell'economia russa più una pretesa che un fatto compiuto.

Il quadro generale delle alleanze USA è alquanto instabile.      Alleati ritenuti affidabili cominciano a progettare un futuro nel quale Pennsylvania Avenue potrebbe perdere il posizionamento di favore attuale.  L'Arabia Saudita apre alla Siria del filorusso Al Assad, il sultano Erdogan gioca il ruolo di intermediario rifiutandosi di fare il "piazzista" di Foggy Bottom e la Cina si fa latrice di un progetto di pace che solo gli USA e la serva Europa si ostinano a non prendere in considerazione.

Il Corriere della Sera riporta degli incontri tra Xi Jinping e Putin.  Il presidente russo dichiara:  "valutiamo il piano di pace cinese", e Biden ribatte, molto prontamente: "diremmo no ad una richiesta di cessate il fuoco dalla Cina ora".    Nessuno chiede cosa ne pensino gli ucraini, non le marionette governative, ma quelli che vivono precariamente schivando bombe e proiettili, dato che le loro prevedibili risposte non sarebbero gradite, ammesso e per nulla concesso che i vari battaglioni della morte zelenskyani consentano una libera espressione.

Qui da noi qualcuno, in un thread social, si chiede:

 "ma perché Biden dice 'sta cosa? Il cessate il fuoco dovrebbe essere chiesto agli USA?"

e qualcuno gli risponde:

"no, ma gli USA rispondono per tutti, nel caso qualcuno 'sbagliasse' risposta".

Un botta e risposta che delinea abbastanza chiaramente un intreccio di relazioni che non è quello che viene spacciato ufficialmente, ma che emerge abbastanza chiaramente dalla nebbia delle frescacce che ci raccontano. 


giovedì 14 aprile 2022

Il disastro è una catena di errori dalle conseguenze sottovalutate.


Oggi, 14 aprile del 2022, secondo pressoché tutte le fonti giornalistiche, Svezia e Finlandia si apprestano ad entrare nella NATO, e io credo che questo sia un importante successo della tossica manovra USA per destabilizzare non solo il versante orientale europeo, in funzione antirussa, ma l'intero continente.

Oggi siamo alla vigilia di una decisione che cambierà definitivamente gli assetti del nostro continente, e non in meglio.

I due paesi hanno convissuto con i due blocchi in una felice neutralità che ha consentito loro sviluppo e prosperità, dal '45 fino a poche settimane fa, in un modello che si sarebbe potuto applicare anche all'Ucraina, e con uguali prospettive di successo.   

Sarebbe stata questa infatti l'opzione che Scholz avrebbe dovuto prospettare a Zelens'kyj, prima che cominciassero a cantare i cannoni, ma lo statista in t-shirt grigioverde reputò più utile non ascoltare la voce europea, rifiutandone l'ascolto, perché quella americana risultava più seducente, anche se foriera di morte e distruzione.

La Russia, come non si stancano di ricordarci è l'invasore, e su questo non c'è alcun dubbio, che però questa veste sia gratuita e attribuibile esclusivamente alla ferinità, implicita e "naturale", dell'orso moscovita è alquanto opinabile.
Questo allevia in qualche modo le responsabilità russe?  Non proprio, non abbastanza comunque, ma vi sono ampie attenuanti generiche e responsabilità da distribuire anche a chi ha costruito con cinica determinazione i presupposti che hanno reso inevitabile il conflitto. 

Molte testate giornalistiche si affrettano a riportare che molti mezzi militari russi si sono avvicinati alla frontiera tra i due paesi, 
al solo accenno del possibile ingresso della Finlandia nella NATO.
La lettura caldamente suggerita del fatto è ovviamente tesa a dimostrare implicitamente gli intenti aggressivi della Russia, come se non fosse altrettanto plausibile leggere nella cosa sia la predisposizione di un assetto preventivo di difesa, sia un mezzo di pressione verso il governo di Helsinki, come a dire:

"se entrate a far parte dell'organismo militare che ci minaccia dalla caduta del Muro, stringendoci sempre più strettamente d'assedio, noi saremo pronti a reagire perché vediamo nella vostra scelta i presupposti di un'aggressione".


Come più di un analista ha fatto presente, inascoltato e delegittimato dalla regia bellicista che intossica l'informazione, qualsiasi nazione, gli USA per primi, subendo l'offensiva strategica oggi somministrata alla Russia, reagirebbe nei modi che ora stiamo rimproverando a Putin.

Quello che va delineandosi nello scacchiere scandinavo è sostanzialmente il processo di azione-reazione che ha portato al conflitto ucraino, privo solo della connivenza zelenskiana, sobillato dall'isteria scientemente indotta da una narrazione scaturita quasi integralmente dal dipartimento di guerra psicologica del Pentagono.

Svezia e Finlandia si muovono in un'ottica di difesa preventiva a fronte dell'intensificarsi della criticità di un quadro strategico reso instabile, con lucida determinazione, da chi suggerisce ipotesi aggressive allo scopo di rendere automatica l'attuazione proprio di quell'ottica.   
La Russia, a sua volta, dispone le sue pedine per scoraggiare intenti offensivi a suo danno e non sarebbe certo il primo conflitto causato dalla diffidenza reciproca.
Costruire le premesse per una replica di quel processo di retroazione, ora e alla luce della tossicità del precedente ucraino, è una mossa criminalmente avventata e lucidamente calcolata.

La strategia americana è sostanzialmente volta al contenimento del "concorrente" russo, possibilmente al suo depotenziamento, in un'ottica di prevalenza strategica, e il proposito passa attraverso la destabilizzazione di un'Europa che "non deve" raggiungere lo status di entità politica autonoma in grado di competere alla pari con gli altri "player", cosa peraltro non sgradita né alla Russia né alla Cina.

La seconda parte del piano sta funzionando alla grande.  L'Europa sta collaborando attivamente alla propria evirazione ed emergerà, se non vi saranno fuochi nucleari, gravata da pesanti vincoli economici e contrattuali, definitivamente sottoposta alla superiore potenza statunitense.
La prima parte però non sta funzionando altrettanto bene.  La Russia non sta infatti collaborando, diciamo così, con i piani elaborati a Washington.

Va costituendosi infatti una sostanziale alternativa allo status del dollaro quale valuta di elezione negli scambi commerciali mediante accordi esclusivi tra Russia, Cina, e produttori petroliferi asiatici, con l'adesione di numerosi stati sparsi nei continenti con spiccati sentimenti antiamericani.

Si tratta spesso di nazioni detentrici di risorse di pregio e per questo destinatarie di pesanti ingerenze statunitensi (Venezuela per dirne una) che sono alla base di quei sentimenti antiamericani, in un meccanismo infernale di retroazione.

La creazione di un'area di scambio alternativa al dollaro, e molto remunerativa, è forse il più evidente segno del fallimento, per tara congenita, dei piani americani, uno sviluppo assai sgradito all'inquilino del 1600 di Pennsylvania Avenue, di cui deve incolpare solo sé stesso.

Gli USA potranno vincere in Europa, ma perdendo malamente nel resto del mondo, se ci fermeremo prima di opzioni nucleari che sterilizzeranno il pianeta.

A noi europei, agli ucraini prima di tutto, resterà da pagare un conto spropositatamente alto, con rateizzazioni a tassi usurai e per tempi "geologici".
Grazie di di niente Uncle Sam.

lunedì 23 gennaio 2017

Il nemico del mio nemico ecc. ecc.



Alcune constatazioni:
a) Trump è il 45° Presidente degli Stati Uniti d'America;
b) non ci possiamo fare nulla;
c) la cosa ci riguarda comunque da vicino e, qui in Europa, incontra il favore sia della destra che della sinistra.

Per come la vedo io le elezioni americane hanno proposto una classica alternativa del diavolo che non metteva a confronto un meglio e un peggio, bensì due solenni fregature, una scelta poco appetitosa tra due visioni perverse dell'esercizio del potere.

Per noi europei, classici vasi di coccio tra le due superpotenze ed una Cina che si tiene in tasca gran parte del debito pubblico occidentale, si trattava di scegliere, si fa per dire, tra una calcagnata negli zebedei ed una martellata sugli incisivi.

Non saprei dire, qui ed ora, quale delle due ci è toccata, ma francamente non vedo esattamente di cosa dovremmo gioire, o per quale ragione dovremmo provare sollievo.

Posso capire, fino a un certo punto, il compiacimento della destra per la consonanza della propria matrice con la visione trumpiana, anche se si accorgeranno presto che The Donald farà pagare a noi il prezzo della sua visione di un ossimorico liberismo protezionista di stampo concettualmente ottocentesco.

Un pochetto meno giustificato mi sembra il compiacimento di una parte della sinistra.  E' pur vero che la presidenza Trump si apre all'insegna di un raffreddamento dei motivi di frizione con la Russia, ma forse si sottovaluta l'aspetto darwiniano del confronto tra due differenti visioni geostrategiche che non possono fare altro che concorrere per lo stesso osso.

Quanto poi possa giovare, nel quadro generale, una normalizzazione dei rapporti tra Washington e Mosca mentre si deteriorano quelli con Pechino mi deve essere spiegato

E quanto durerà poi la sintonia tra Trump e Putin?  Il Medio Oriente smetterà di aver rilevanza strategica?    Tutti i motivi di frizione - Siria, Israele, Daesh, Turchia, Arabia Saudita, Yemen, Iraq, Iran, Afghanistan - verranno risolti e la concordia mondiale raggiunta?   Il petrolio non sarà più una risorsa da controllare?   Una portaerei russa che incrocia al largo della Libia, ricevendo uno dei pretendenti al governo di quella disgraziata nazione, peraltro non il beniamino dell'occidente, sarà ancora un fatterello da mettere a margine del più vasto discorso del passaggio di potere tra Obama e Trump?


Quanto gioverà poi alla serena convivenza la muscolarità trumpiana nei confronti della Cina?  Quali reali vantaggi potremmo ottenere dal disinnesco della situazione ucraina se poi Trump si limita a cambiare l'effige del nemico n. 1?

Alla fine di tutto mi chiedo: ma è veramente cambiato qualcosa grazie all'avvento di Trump o ci si è limitati a rimescolare il mazzo?



La poltrona dell'uomo più potente del mondo è ora occupata dalle grasse terga di un tycoon misogino e irresponsabile, xenofobo e fascistoide, ma si è fumato l'algida e orrida Hilary Rodham Clinton, quindi siamo a posto.... o no?