martedì 24 settembre 2019

Una fatale "zona Cesarini".

Grande spazio, e giustamente, sta ottenendo il discorso di Greta Thunberg all'ONU, dato che i problemi climatici ed ambientali, lungamente e criminalmente trascurati, stanno alla fine presentando il conto salatissimo che discende dalla nostra irresponsabile incuria, ma io mi chiedo quanto sia corretta ed adeguata l'enfasi che molti pongono sul conflitto generazionale che emerge dall'eloquio della giovane studentessa svedese.

O piuttosto mi chiedo se questa enfasi non sia dovuta più ad un nostro (degli adulti) senso di colpa non ancora ben meditato e vissuto in forma espiatoria e inutilmente tale, nel senso che essere contriti, in sé, non è di alcun aiuto.

Lo scempio dell'ambiente non è, banalmente, il prodotto dell'irresponsabilità degli adulti verso le generazioni a venire, o perlomeno non è solo questo, e in realtà non è neanche il nucleo centrale del problema il quale, a mio avviso, discende piuttosto da due fattori principali.

Il primo è la mancata comprensione dell'impatto che la crescita della popolazione mondiale ha sulla capacità del pianeta di produrre risorse bastanti per tutti e ai ritmi attuali e prevedibili, con i ratei di crescita dissennati che alcuni, anzi, auspicano.

Il secondo, che accoglie gli "auspicanti" di cui al capoverso precedente, risiede nelle modalità operative e fondamentali del modello economico capitalista, che è inefficiente, dissipativo e totalmente incapace di una progettualità a lungo termine, perché fondamentalmente non è interessato a svilupparla.

Il secondo fattore, la cicala capitalista, ha tra l'altro il diabolico effetto di amplificare a dismisura gli effetti del primo.

Forse Greta ha ragione quando ci (mi?) rimprovera per non esserci opposti meglio e in tempo allo stupro del pianeta, ma molti di noi in realtà si sono a lungo e tempestivamente pronunciati, rimanendo peraltro del tutto inascoltati, anche dai giovani, contro un sistema che non tiene in alcun conto la solidarietà tra gli esseri umani e le generazioni passate, presenti e future, e che privilegia il profitto, elevato a categoria dello spirito, intangibile e non negoziabile.

Non vorrei che, alla fine, addebitando alle generazioni adulte il peso esclusivo della responsabilità per il dissesto climatico, non si finisca per dare una dimensione individuale a qualcosa che ha invece valenza sistemica, e che costituisce espressione di un dispositivo coercitivo per superiori capacità economiche.

Personalmente comprendo benissimo come un abitante dell'Africa subsahariana possa vedermi come un individuo assuefatto a livelli sibaritici di benessere, dai quali lui è virtualmente escluso e dei quali ne fa le spese, ma spesso mi chiedo se è cosciente di come la mia attitudine agli sprechi diventi quasi frugalità, mi si perdoni questa forzatura dialettica, a fronte degli sprechi dissennati di un cittadino statunitense medio, uno di quelli che, per dirne una, non spegne mai le luci di casa.

Però, così come mi pare sbagliato attribuire responsabilità esclusive a questo contrasto tra sud e nord del mondo, mi sembra altrettanto errato sottolineare l'antagonismo generazionale, quando il problema sta tutto in un sistema che travalica tempo e collocazione geografica.

Noi non risolveremo il problema attribuendo a quegli antagonismi le colpe del disastro prossimo venturo.      La contrizione di stampo paracattolico non servirà a nulla, come non servirà individuare i responsabili, limitandosi alla dimensione morale di questa individuazione.      


Quello che sarà indispensabile fare sarà piuttosto individuare modelli e stili di vita non dissipativi, moderare, e di molto, le aspettative e adattarci ad un comportamento maggiormente frugale, rinunciando a cose che non sono per nulla indispensabili, ma che sono spacciate per tali solo perché in grado di spremere margini di profitto che poi vanno a vantaggio esclusivo di gente che, oltre a detenere la fetta più grossa della ricchezza disponibile, è titolare dei comportamenti maggiormente inquinanti e scialacquatori, quelli che ci stanno portando alla morte entropica della specie umana e di gran parte delle forme di vita del pianeta.

Il momento è grave, ed il tempo che ci rimane per cercare di mettere riparo ai danni non è molto, questo dovremmo ritenere dall'appassionata perorazione di Greta: dobbiamo darci una mossa, e individuare le responsabilità del dissesto deve servirci solo ad ottimizzare la risposta. 

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