venerdì 2 settembre 2016

Ma non è una cosa seria

Contemplo con invincibile disincanto le prodezze della nostra classe dirigente, in particolare quella politica, e mi dico che è inadatta alla bisogna e irrecuperabile.

Ascolto i discorsi a braccio del guappo di Rignano, subisco i balletti delle cifre sull'occupazione e la fiducia dei consumatori, assisto alle contorsioni di chi è contro la riforma costituzionale - ma fino a un certo punto - ed è alla ricerca del dito dietro cui nascondersi (rettifica dell'Italicum per esempio), esamino la guardinga trattazione del dopo terremoto, e mi chiedo quanto potrà essere differente dalla gelida indifferenza istituzionale sperimentata in occasione di quello dell'Emilia, e ascolto orripilato le corbellerie simil-fasciste della titolare della Sanità sul fertility day.

Questa ultima prodezza dell'ineffabile Lorenzin, in particolare, mi richiama alla mente la peggiore e più inossidabile abitudine dei timonieri italici, e della loro corte di miracolati, ovvero il vezzo insopprimibile che porta questi amministratori in sedicesimo a predisporre immancabilmente i peggiori ostacoli possibili al conseguimento di qualsiasi obiettivo, salvo poi addossarne la responsabilità non alla loro incompetenza o a inconfessabili maneggi e narrazioni ideologiche al servizio di precisi interessi, bensì alle vittime della loro protervia: i semplici cittadini.

Sarebbe pleonastico ricordare alla ministra che più delle considerazioni sul tempo che fugge, con depauperamento inesorabile degli ovociti, e richiami ad antiche, squalificate e fascistoidi suggestioni sulla donna fattrice e relativa ragion d'essere esistenziale, sarebbero enormemente più efficaci retribuzioni adeguate, rapporti di lavoro stabili e persistenti, ma soprattutto servizi adeguati, capillari e accessibili, sul tipo degli asili e nidi d'infanzia sventolati dal suo, e nostro ahimè, primo ministro quando doveva sbaragliare la concorrenza alle primarie, sventolati e poi prontamente dimenticati, una volta agguantata la segreteria del partito.

Sarebbe pleonastico, e anche inutile, perché a questa gente non importa nulla, dato che non possono ignorare che chi mette al mondo figli lo fa solo se è in grado di esprimere un progetto di vita, mentre la gran parte della gente è ridotta a vivere alla giornata ed aspettare un'improbabile alba che metta fine a questa notte tormentosa e buia.

E infatti non lo ignorano, ma la pratica del cornuto e mazziato, del rimbalzare su altri le proprie responsabilità è sempre gettonatissima e funziona, fino a quando la gente non capisce che il proprio deretano ha oramai toccato il fondo, e più in basso di così non può più andare.

Nell'imminenza del ferale anniversario dell'8 settembre, mi torna alla mente la biografia, redatta da Silvio Bertoldi, di uno dei peggiori di questi grandi uomini all'italiana, quel Badoglio che assieme al re fellone Vittorio Emanuele III, consentì a Mussolini di gettarci nel più profondo baratro della nostra storia, e che al momento giusto seppe sbagliare tutto, principalmente per ignavia, portandoci a un passo dalla dissoluzione, mentre la nostra nazione era ancora meno che centenaria.
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In particolare mi torna in mente questo passo, riferito al Maresciallo d'Italia, ma applicabile alla gran parte dei nostri statisti e ai loro comprimari:
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«Ma non proprio questa ambiguità [la mancata denuncia dello stato di impreparazione delle Forze Armate nell'imminenza della guerra NdR] gli rimproverarono in tanti, la faciloneria nell'assumere incarichi e la precipitazione nello sconfessarli, vedendoli fallire? Non sarà la riprova della misura in cui quest'uomo riuniva talvolta in sé certi gravi difetti dell'italiano: la supponenza, il gerarchismo, l'adulazione, il carrierismo, la mancanza di disciplina interiore. di cultura, di senso dei propri limiti, di rispetto dei valori ideali, perfino di immaginazione


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