E'
un'attività piuttosto affascinante spigolare nella blogosfera ed
imbattersi in ogni genere di spunto e notizia. Ora che sono un
“retired worker” (il termine “pensionato” è prosaico ed al
momento impresentabile) è anche una sorta di rivincita contro anni
di costante, spasmodica e preferenziale focalizzazione su elementi
congruenti con la mia passata attività. Setacciare le migliaia
di elementi che magmaticamente ribollono nei social networks, o che
ti si presentano quando consulti i motori di ricerca, è
distensivamente dispersivo. E' anche deliziosamente affascinante
per le continue sollecitazioni che ti scuotono e, qualche volta, ti
confondono, obbligandoti ad una tonificante attività di correlazione
tra input spesso molto differenti. E', in definitiva, una forma
post-moderna di “cazzeggio”, ma molto produttiva se ti mantieni
ricettivo.
Ognuno
di noi però mantiene speciale considerazione e sensibilità per
taluni argomenti. E' di conseguenza scontato che determinate
notizie, o pareri, continuino a posizionarsi su corsie preferenziali
che le fanno emergere con vigore e prepotenza, ponendo le altre sullo
sfondo, non dimenticate, ma valutabili con maggior comodo.
Nel
mio caso, ma sono credo in numerosa e qualificata compagnia, tutto
ciò che ha a che fare con la condizione del mondo del lavoro e, in
particolare, con la questione dei lavoratori ultra-cinquantenni,
attira il mio sguardo e mi induce a riflessioni piuttosto amare vista
l'angolazione con la quale, al momento, il dibattito viene svolto.
Nella fattispecie la mia attenzione è stata calamitata da un
articolo a firma di Marina Cavalieri e pubblicato oggi su Repubblica,
consultabile a questo link:
Il
titolo
- Produttivi,
competenti e flessibili" Aziende, assumete i cinquantenni"
– ha chiaramente catturato la mia attenzione e, leggendolo,
apprendo che in Germania la Sig.a Ursula von der Leyen, Ministro del
Lavoro, dichiara:
“Assumete
i cinquantenni, fateli lavorare. Sono competenti, responsabili e
anche flessibili. Non hanno il problema urgente di fare carriera, non
devono dimostrare di valere. Per questo sono meno competitivi e più
collaborativi. La loro esperienza non è da buttare: gli over 50
possono diventare, con l'allungamento dell'età pensionabile, di
nuovo strategici.
Queste
parole non sono l'ultimo appello di una generazione in declino, prima
della definitiva rottamazione, ma l'esortazione di Ursula von der
Leyen, ministro del Lavoro tedesco, che ha chiesto alle aziende di
assumere sempre più persone sopra i 50 anni, di non prepensionarle.
Le ultime ricerche elaborate dalla nazione più efficiente d'Europa
dimostrano infatti che la produttività sale quanto più in
un'azienda l'età dei dipendenti è equilibrata. Quando cresce il
numero dei lavoratori che hanno tra i 45 e i 50 anni, anche la
produttività aumenta, secondo uno studio del 2%. È dunque un
pregiudizio infondato che più si è giovani e più si lavora.”
Nel
corpo dell'articolo, inoltre, viene rapportata la posizione
istituzionale tedesca con... quella italiana? Non scherziamo. Qui da
noi non c'è alcun tentativo di governare processi sociologici, così
come non esiste alcuna ipotesi di politica industriale, di politica
energetica o di altre auspicabili, ma neglette, azioni di governo
strategico e responsabile della nazione. Se ci sono, promanano
comunque da un governo emergenziale e transitorio, sono in
barcollante fase iniziale e, quando toccano interessi costituiti,
vengono prontamente smorzate ed edulcorate. Da noi, come noto, si
naviga a vista e la frase evoca recenti e dolorosi eventi nautici.

Una
proposta agrodolce che arriva all'indomani del passaggio a un sistema
previdenziale contributivo che collega quel 50% a durature e pesanti
conseguenze, e a carico di chi? Indovinate! Nel 19° secolo
il minatore vedeva il suo salario decurtato del costo degli esplosivi
e degli attrezzi che utilizzava. In altre parole veniva costretto a
partecipare integralmente ai costi percependo, in cambio, i ricavi
marginali che l'imprenditore riteneva di riconoscergli.
Concettualmente non mi pare che si sia fatta molta strada da allora.
Il
sociologo Luciano Aburrà, giustamente, rileva che il tasso di
lavoratori con età superiore ai 45 anni non può che aumentare per
fattori sia demografici che di scelte in materia previdenziale, solo
che mentre in Germania “si
cercano soluzioni, da noi continuano i processi di espulsione in base
all'età anagrafica, la crisi ha spento gli ultimi segnali di
gestione dinamica delle risorse, di acting age, da noi prevale la
rottamazione spesso attraverso la forma dei prepensionamenti".
Una dinamica piuttosto strabica e controproducente, indice sicuro
di carente (o non perseguita) capacità progettuale.
Nella
solerte e produttiva Germania, aumentano certamente l'età
pensionabile, ma costruiscono e manutengono una prassi complessiva ed
efficace a supporto del mondo del lavoro. Stimolano una
“visione” del dipendente ultracinquantenne e dei suoi punti di
forza, magari interessata, ma funzionale. Da noi, come al
solito, la si vuole "cotta e ben condita". Così aumenti
l'età pensionabile, espelli i "vecchi" costosi, demotivi i
giovani e poi concioni, ideologicamente e con scarsissima onestà
intellettuale, riguardo l'art. 18 e la sua presunta esizialità.
Naturalmente infrastrutture carenti, corruzione, inefficienza
amministrativa, giustizia funzionalmente bloccata sono solo bazzecole
che, non appena scongiurato il pericoloso strapotere della trimurti
sindacale, si dissolveranno come neve al sole garantendo magnifiche
sorti e progressive.
Tempo
fa, su Facebook, ha circolato una vignetta che riportava la frase:
“una bugia, se ripetuta a sufficienza, diviene realtà”. Nella
vignetta , una bimba cancellava la parola “realtà” e la
sostituiva con “politica”. Il sentimento soggiacente era,
evidentemente, ispirato all'antipolitica, ma questo non toglie nulla
alla validità della frase non emendata. Le affermazioni che
ci vengono così spesso ripetute, sono così poco argomentate e
pervicacemente ripetute da assumere, dopo un po', vita e “validità”
proprie.
Per
esempio:
- I lavoratori a tempo indeterminato non sono persone che, grazie ad una lotta secolare e con sacrifici e privazioni, sono arrivati ad un certo grado di difesa dei propri diritti, sono dei privilegiati che drenano risorse.
- I sindacati che si oppongono all'arretramento delle condizioni dei lavoratori sono “conservatori”. Gli imprenditori che si accaniscono a riportare la situazione agli ultimi anni del 18° secolo, invece, come li definiamo?
- I giovani, se volessero, potrebbero lavorare anche da subito. Premesso che non è statisticamente vero, di che lavoro stiamo parlando? A che condizioni? Con quale durabilità? Con quali prospettive?
- I giovani devono mettersi in testa che devono essere “più bravi”. Piccolo problema; visto che la cosa è posta in termini relativi, con tutta evidenza, non possono essere tutti “più bravi” e, comunque, quelli meno bravi cosa dovrebbero fare, suicidarsi? E, ancora, “più bravi” significa meglio pagati? Non sta funzionando così; in genere più bravo significa con maggiori probabilità di usufruire di qualche mese di contratto di esotica definizione, con retribuzioni vergognose.
Quando,
finalmente, avranno demolito del tutto lo statuto dei lavoratori,
caduto l'ultimo paravento e verificata la persistenza degli annosi
problemi che deprimono la nostra società, cosa si inventeranno per
occultare la semplice constatazione che la classe dirigente di questo
paese è incapace e dedita a compulsioni tafazziane? Come faranno a nascondere che, in realtà, manager e politici non sono in grado di andare oltre l'angusta progettualità e la meschinità dei "bottegai" di bordighiana memoria? Non lo so, ma
sicuramente qualcosa se la inventeranno.
C'è
solo un piccolo problema, Tafazzi massacrava i suoi di attributi,
questi invece dispongono liberamente dei nostri (ricordate il dolce
frutto e la buccia?). E se, improvvisamente e tutti assieme,
dicessimo basta?