lunedì 24 dicembre 2018

A Natale son tutti più buoni. È il prima e il dopo che mi preoccupa. (Charles M. Schulz)

Quella della mia infanzia era una famiglia... disfunzionale, ed è per questo che amo il Natale, anche se nessuno di noi era credente, neanche mia madre, che insistette molto perché io e mia sorella subissimo un'educazione cattolica completa.

Vi chiederete: che accidenti di incipit è questo, e che ci azzecca col Natale?
Beh, prima devo porre qualche premessa.


Devo dire, prima di tutto, che la casa della mia infanzia non era esattamente un rifugio sicuro e confortevole, dato che ogni santo giorno scoppiavano liti tra di noi, e sulla cosa potevi scommetterci l'ultimo soldo che ti era rimasto in tasca.

La media abituale, quella dei giorni tranquilli e rilassati, si incentrava su un paio di accapigliamenti per motivi minori, che non valevano assolutamente la foga che ci mettevamo, e sempre, giuro, perlomeno per uno, o più,  argomenti di maggiore rilevanza che non erano nuove liti, ma riprese di vecchi contrasti, incancreniti e ormai irrisolvibili, che venivano ripresi dal punto di abbandono precedente e portati ad un nuovo, e del tutto inutile, punto di stanca acredine, pronti per essere ripresi, con comodo, più avanti e con una liturgia immutabile, salvo occasionali tipologie d'attacco innovative, ma per nulla risolutive.

Una delle ragioni per le quali quei dissidi si rivelavano semplici esercizi di mortificazione, privi di scopo e incapaci di un esito risolutivo, stava nell'estetica melodrammatica che li permeava.

Mia madre, orfana già in tenerissima età e cresciuta in un convitto di suore,  applicava alle relazioni gli schemi presuntamente catartici che aveva appreso frequentando la letteratura cosiddetta d'appendice e, soprattutto, i bei filmoni drammatici interpretati da Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson, quelli rispondenti alla definizione che Marchelli diede del melodramma popolare, ovvero estremismo emotivo con stile adeguatamente eccitato.

Mio padre, d'altra parte, aveva del ruolo maschile un'idea maturata nell'immaginario collettivo di una stagione culturale equamente condivisa tra fascismo e un dannunzianesimo di maniera, fatto di citazioni dell'espressività dell'immaginifico, più che della sua opera letteraria; un immaginario nel quale l'uomo doveva essere stoicamente resiliente, anche se dentro coltivava dosi monumentali di risentimento.

Quell'impianto culturale non risentiva benevolmente dell'influenza di sua madre, con noi convivente, donna manipolatrice che non gli consentì mai di dimenticare quanto la sua nascita incise, negativamente va da sé, sulle sue aspettative, e che coltivava un odio sordo e implacabile verso la donnaccia, mia madre, che le aveva portato via l'ingrato pargolo, che tale era, anche da padre di famiglia.

Nei momenti di relativa calma, arrivava mia zia, sorella di mia madre, a smuovere un po' le acque, dato che la sua insoddisfazione di zitella, condizione peraltro scientemente perseguita e mitigata da diverse relazioni non impegnative, non accettava di buon grado l'altrui tranquillità, per quanto questa potesse essere occasionale.


Io e mia sorella, in tutto questo, venivamo più volte sollecitati a prendere posizione a favore di uno dei contendenti, cosa che ovviamente non riuscivamo a fare, dati i ruoli emotivi e familiari dei richiedenti, e sviluppammo ben presto un'acuta capacità dialettica, che ci serviva per veleggiare relativamente incolumi tra i ricatti morali incrociati che grandinavano sulle nostre gracili spalle.

A Natale però i miei genitori, ma non mia nonna, e neanche mia zia, facevano un tentativo serio di sedare i contrasti, perlomeno per quel giorno, e si sforzavano di arrivare al tramonto senza rinfacciarsi nulla e, anche se non sempre il tentativo aveva successo, l'intenzione c'era ed era a beneficio nostro, mio e di mia sorella.

Dunque, anche se i Natali tempestosi non sono stati meno di quelli tranquilli, quello era il giorno nel quale, se le cose andavano per il verso giusto, potevamo arrivare al tramonto senza psicodrammi.
Potrà sembrare, a questo punto, che quello che mi appresto a dire sia un esercizio di cinismo, da parte mia, ma quel tentativo di non indulgere in inutili conflitti era un regalo, e un gesto di amore che i miei genitori compivano nei confronti di noi bambini, e per me simboleggiava la magia del Natale, per quanto non molto affidabile.

Molti anni sono passati e la famiglia che ho formato non è disfunzionale come quella in cui sono nato, e anche se il Natale per mia moglie, figlia di un ferroviere che nei giorni di festa era quasi sempre di servizio, è una giornata collegata alla mestizia di un'assenza, 
rimane per me un giorno magico, anche se quella magia è maggiormente palpabile quando per casa ci sono bambini, cosa che, al momento, non avviene.

Un sincero augurio di Buon Natale a tutti.

giovedì 13 dicembre 2018

La gente affamata e senza lavoro è la pasta di cui sono fatte le dittature. (F.D. Roosevelt)


Il New Deal fu una risposta conforme al paradigma liberista, seppure con colorazioni socialdemocratiche, al disastro economico del '29, indotto dal modus operandi di un liberismo finanziario sfrenato, bulimico e privo di progettualità, che aveva gettato gli USA, e gran parte del mondo, in una crisi economica nerissima e profonda.
Non molto organico nella sua implementazione, il New Deal fu ferocemente avversato dalle componenti più conservatrici della politica e della finanza statunitensi, componenti che poi addossarono a Roosevelt la responsabilità delle inefficienze dell’intervento roosveltiano, indotte proprio dalla loro reazione.
Tutti ricordano, di quel programma, le spese federali di sostegno al reddito, con vaste campagne di lavori pubblici, ma la parte più qualificante dell'intervento si concretò mediante la promulgazione di leggi strategiche volte a disciplinare l'azione degli attori dello scenario economico ed industriale.
Tra quegli interventi quello che ritengo più importante fu il Glass-Steagall Banking Act il quale, imponendo la separazione tra banche commerciali e banche d'investimento, aggredì alla fonte la causa principale o, meglio, il presupposto funzionale della catena di eventi che portò al tracollo finanziario culminato nel famoso giovedì nero.
Quella legge resistette indomita, nonostante le continue pressioni del mondo bancario e finanziario, fino al 1999 quando, durante il secondo mandato di Bill Clinton, venne promulgato il Gramm-Leach-Bliley Act, che abrogò quella separazione.
Fu una decisione tragica, che pose le basi funzionali per la famigerata crisi dei subprime del 2006, causa scatenante dell'attuale e più che decennale crisi economica che ci ha tutti fatti arretrare, nelle condizioni di vita, a livelli infimi e con prospettive di ripresa miserabili.
Parafrasando Clemenceau, che disse che la guerra è una faccenda troppo seria per lasciarla ai generali, direi che anche l'economia è troppo importante per lasciare che se ne curino banche e finanziarie.
Dovrebbe occuparsene la politica, ma non certo ciò che oggi passa sotto quel nome, non quella pletora di teste di legno, nel senso di prestanome al servizio delle esigenze della speculazione su larga scala, vera e propria banda di miracolati dalla visione strabica e con prospettive a raggio minimo, che infestano le strutture di governo e legislative di gran parte delle sempre meno rappresentative democrazie occidentali
Di certo non dovrebbero occuparsene i fantasisti oggi al potere nel nostro paese, equamente suddivisi tra analfabeti funzionali che giocano sulla fonetica sovrapponibile tra 2,4 e 2,04 per cento di deficit del PIL, come se l’improvvisa sparizione di circa 6,48 miliardi di Euro fosse un dettaglio ininfluente, e muscolari tromboni, facondi produttori di tweet incauti ed esternazioni fragorose per far dimenticare la totale inosservanza degli impegni presi in campagna elettorale.
Secondo Max Weber, un uomo politico deve possedere tre qualità, da lui definite sommamente decisive: passione, senso di responsabilità, lungimiranza. Se è così mi sa che siamo messi male.

lunedì 3 dicembre 2018

Lucciole per lanterne

C'è un pezzo di sinistra che parteggia per i gilet gialli e che è molto critica con chiunque ravveda in quel movimento qualcosa di molto simile ai nostri forconi, ovvero un moto, non esattamente spontaneo, di persone che hanno interesse ad incidere sulla sopravvivenza di un governo non su basi antagonistiche, o affermando principi altri rispetto a quelli agiti dall'establishment, bensì rivendicando la maggior copertura di interessi settoriali del tutto congruenti con quelli presidiati dal governo, ma non sufficientemente tutelati, almeno secondo il loro punto di vista.

La ragione, grottescamente meccanicistica, che motiva quella parte della sinistra, starebbe nel fatto che i gilet sono il popolo, e con la stessa miopia avrebbero potuto dichiararsi favorevoli  ai partecipanti alla marcha de las ochas vacìas (marcia delle pentole vuote), l'iniziativa politica della destra cilena che pose le basi del presunto appoggio popolare al golpe della giunta retta dal Generale Pinochet, grazie alla quale riuscì a portare in piazza persone adeguatamente spaventate da previsioni accuratamente mistificate allo scopo.

Qui, ovviamente, le condizioni sono diverse.   Macron è un populista che pende più a destra che a sinistra e che, agli occhi del popolo dei gilet gialli, ha il torto di rappresentare più le ragioni del capitale internazionale che quelli degli onesti bottegai che vorrebbero un sovranismo più popolare, una destra tutta beaujolais e camembert, in grado di rinverdire i fasti di una grandeur molto appannata.

I gilet gialli, a dirla tutta, sono il sogno bagnato della signora Le Pen, che da brava fascista gallica, ha nel proprio DNA i moti vandeani, e non certo il furore proletario della Commune Parisienne

Ma tant’è, i cipigliosi compagni cui dedico queste righe concepiscono i processi politici alla stregua di istruzioni di montaggio a la façon Ikea, e non è certo da oggi che non si accorgono di tenere in mano un foglietto girato sottosopra.
Sono in fondo gli stessi che, ai tempi della guerra delle Malvinas/Falkland, sfidando sprezzantemente il ridicolo, si dichiararono a favore dell'Argentina - ai tempi retta da una giunta militare con le mani lorde di sangue - perché si opponeva alla Gran Bretagna capitalista, borghese e complice degli USA.

Quel tipo di sinistra, fin dalla caduta del Muro di Berlino, non sta molto bene.

Costretta a prendere atto di non aver saputo fornire un'ipotesi operativa vitale e alternativa al capitalismo che ci sta portando alla morte, ha deciso... di far finta di niente.    
Ben lungi dall'affrontare le implicazioni di quel fallimento, non si azzarda neanche a fornire ipotesi operative autonome e dotate di un minimo di progettualità.

Di conseguenza, afflitta da nanismo progettuale e i
ncerta sulla propria capacità di analizzare realtà e processi, non ammette di non sapere che pesci pigliare, però vuole esserci comunque, riducendosi a prendere in appalto istanze, idee e iniziative altrui, anche molto differenti le une dalle altre, con implicazioni invariabilmente grottesche e con una persistenza, nei vari endorsement, non di rado assai effimera.

Ecco dunque che, in un ribollente calderone, entrano, ma anche escono sulla base di instant sentencies spregiudicatamente ondivaghe, cose, persone e progetti politici assai differenti.     Gilet gialli, Podemos, Corbyn, M5S, Melenchon e perfino i leghisti, se non proprio la Lega, basta che smuovano un po' di gente per meritare plauso e condiscendente approvazione, perché il dato quantitativo è divenuto supplente di un lato qualitativo rilevante sostanzialmente per la propria assenza.

In qualsiasi confronto di natura conflittuale, in ogni tipo di competizione, il dato strategico indispensabile consiste nel mantenere l'iniziativa, e questo è possibile solo se si è depositari di un'idea forte e si è elaborata un rotta efficace.
Fatevelo dire dai patetici grillini, che stanno subendo l'iniziativa delle vecchie volpi padane.


Già, bisogna che prima ammettano di essersi fatti infinocchiare.    Capisco, a questo punto, come questo fatto costituisca un punto di vicinanza con quei compagni.