Grande rilievo sta avendo la notizia che la CGIL sta subendo un calo preoccupante, 13%, tra gli iscritti. In proposito ho sentito ogni tipo di valutazione, tra cui alcune abbastanza discutibili o non sufficientemente sviluppate.
Il Tg de La7, per esempio, addebita la responsabilità della flessione all'eccessivo(sic!) contrasto al job act. Evidentemente si pensa che una fetta consistente di iscritti veda nella nuova disciplina del lavoro una effettiva possibilità di soluzione ai problemi occupazionali, a dispetto della precarietà istituzionalizzata e dello svuotamento del potere contrattuale dei lavoratori. Mah!!!
Pare poi che La Repubblica, come Huffingtonpost golosamente riporta, si sia prodotta in una "perla" come la seguente:
"Il primo grande male che affligge non solo la Cgil, ma il sindacato in generale, è lo strapotere delle categorie dei pensionati. I numeri della Confederazione lo confermano: al 1 luglio gli iscritti attivi, cioè i lavoratori, sono 2.185.099. A fronte di 2.644.835 di tesserati allo Spi (...) Ma il bacino finora sicuro dei pensionati si sta assottigliando pure quello: nel giugno 2013 i tesserati over erano 2.728.376, e qui - dicono dalla Cgil - c'entrerebbe molto la riforma Fornero che ha rimandato la pensione a centinaia di migliaia di persone".
Così, di primo acchito mi verrebbe da pensare che i sindacati di categoria dei pensionati hanno molti tesserati principalmente per due ragioni:
- i pensionati provengono in grandissima parte da gente che ha vissuto un'intera vita conoscendo il valore della coesione e la necessità di presentarsi in un fronte unito nei confronti della controparte. Sarebbe incongruo se, proprio alla fine della loro vita attiva, si rimangiassero un sistema di valori nel quale hanno sempre creduto;
- i pensionati, al contrario dei lavoratori attivi del XXI secolo non corrono il rischio di essere espulsi da un impiego, come è successo a Termini Imerese, per il solo fatto di avere una tessera sindacale e ritenere con ciò di avere dei diritti, e dunque quell'appartenenza se la possono permettere.
Quanto poi questa "mafia dei pensionati" possa prevalere nelle scelte programmatiche del sindacato non mi è chiaro, dato che tutto sommato su di loro le conseguenze del job act, lotta strategica appena rimproverata alla CGIL, non hanno poi molta rilevanza, per dirne una.
Io ho avuto piccoli incarichi sindacali e non starò certo a negare che il sindacato possa avere pecche, contraddizioni ed errori sui quali dovrebbe prodursi in analisi che, al momento, latitano, ma non posso fare a meno di pensare che la CGIL sia l'organizzazione che con più costanza e maggiore coerenza ha lottato per la difesa dei lavoratori, con un picco di eccellenza, come si usa dire, nella FIOM. Dunque non sono molto stupito del fatto che sia scattata una ulteriore fase della strategia di contrasto al suo operato e che una stampa cialtrona ed asservita si presti a questa guerriglia fiancheggiatrice.
Sta di fatto che l'azione di un sindacato non può prescindere dalla disponibilità al coinvolgimento nelle iniziative di lotta da parte dei lavoratori, e proprio qui sta il punto.
Fenomeni di non coinvolgimento ci sono sempre stati e, pur incidendo sull'azione di rivendicazione, non sono mai stati in grado di paralizzare le iniziative. Magari, se la categoria non era molto combattiva, come quella dei bancari che conosco bene, il livello medio della richiesta ne usciva impoverito, ma non al punto da divenire tristemente subalterni, come accade ora.
Al fenomeno tradizionale del lavoratore che non si iscrive, non sciopera e, magari, non presenzia alle assemblee, in omaggio al principio che "è il chiodo che sporge quello che viene battuto", salvo poi innalzare alti lai e criticare il sindacato per le aspettative deluse si è aggiunta la fattispecie di chi non si coinvolge non perché è troppo furbo, ma perché corre dei rischi seri ed effettivi.
Qui sta uno dgli errori strategici del sindacato: non aver preso atto che le condizioni operative stavano drammaticamente cambiando, in peggio naturalmente.
Come dico spesso, quando ero un ragazzino, passando davanti alla TIBB al cambio turno, la conversazione si affievoliva, coperta dal fruscio di centinaia e centinaia di bicilette di operai che si avvicendavano.
Tutti quegli operai, tutti in tuta blu, tutti con la borsa di finta pelle che conteneva la "schisceta", avevano in tasca la tessera del sindacato, e non di rado quella del PCI, erano assoggettati al medesimo contratto di lavoro e si muovevano compatti, in difesa delle proprie rivendicazioni e dei compagni di lavoro. Un attacco della direzione ad un collega o a un dirigente sindacale comportava dei prezzi che l'azienda valutava attentamente, per poi magari rinunciare.
Oggi passando davanti ad una delle poche fabbriche rimaste vedi molti meno operai e alcuni di questi hanno in tasca la tessera di un partito, ma si tratta della Lega, sono assoggettati a tre, quattro o cinque contratti diffenti, mentre altri sono incatenati ad una delle numerose tipologie di precariato dal nome esotico. Pochissimi hanno una tessera sindacale, mentre il rischio di un "trattamento Marchionne" è reale ed incombente.
Il sindacato a questa gente si è approcciato con modalità che andavano benissimo negli anni 70/80, ma che ora sono anacronistiche. Se poi a questo aggiungiamo che spesso all'interno delle federazioni si scatenavano lotte politiche di prevalenza di linea e che una delle sigle confederali, per motivi di gretta e miope ricerca dell'egemonia, ha cominciato a proporsi quale opzione "ragionevole" e dialogante, in alternativa ad una CGIL "troppo rigida", ecco che il lavoratore messo in un angolo non si è sentito più rappresentato o abbastanza forte da potersi permettere un'appartenenza sindacale.
Mi si obietterà che in tempi nei quali lo Statuto dei Lavoratori era ancora solo un sogno ardito, le condizioni nei posti di lavoro non erano meno difficili, ed è vero, ma a quei tempi il sindacato sapeva porsi quale partner affidabile, anche perché non orfano, come è ora, di una rappresentanza politica.
La pratica del picchettaggio, per esempio, spesso dipinta quale prevaricazione antidemocratica non era altro che la costruzione, da parte del sindacato, di una oggettiva protezione del lavoratore che risultava, formalmente, assente per una ragione indipendente dalla sua volontà. Mezzucci? Mah, quando sei Davide e ti confronti con Golia devi supplire in qualche modo alla potenza del tuo antagonista.
La pratica del picchettaggio, per esempio, spesso dipinta quale prevaricazione antidemocratica non era altro che la costruzione, da parte del sindacato, di una oggettiva protezione del lavoratore che risultava, formalmente, assente per una ragione indipendente dalla sua volontà. Mezzucci? Mah, quando sei Davide e ti confronti con Golia devi supplire in qualche modo alla potenza del tuo antagonista.
La CGIL dunque non è esente da critiche ed è responsabile del suo calo di iscritti, anche se non quanto la lucida controrivoluzione neoliberista che ci percuote, ma è ancora abbastanza potente, coerente e pericolosa da meritarsi un attacco concentrico.
Se fosse veramente la "rovina dell'Italia" come recita uno vecchio slogan beceramente qualunquista, non meriterebbe tutte queste attenzioni.
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