Sempre
più spesso, sui “social”, divampano le discussioni sul fenomeno
dei profughi, ma spesso non vertono tanto sulla genesi del problema,
come si origina e perché prende i connotati che abbiamo sotto gli
occhi. Ciò avviene in quanto molti preferiscono ragionare, o
“sragionare”, sulle conseguenze che quell'afflusso così
consistente e caotico può avere sulle nostre vite.
Non
dico che sia sbagliato farlo, anzi, solo che non basta desiderare che
una cosa non avvenga per isolarsene.
E non credo neanche che si
possa arginare il fenomeno in tempi brevi, dato che è determinato
dal rapporto di sfruttamento tra occidente industrializzato e sud del
mondo, il cui trattamento richiederebbe un riassetto profondo,
generale e antiliberista del nostro modello economico.Quella gente scappa da paesi dilaniati dalla guerra o dalla fame. Sul perché quei paesi siano in preda a confilitti o siano aridi, desolati e con i campi incolti dovremmo, in quanto occidente, farci molte domande e raccogliere il coraggio per accettare le risposte, cosa che ci guardiamo bene dal fare.
Anche i rimedi “sintomatici” proposti dalle forze politiche xenofobe, praticabili solo a prezzo di veri e propri crimini contro l'umanità, anche se appaltati a terzi, non sembrano adeguati a sostenere l'urto di un fenomeno di proporzioni bibliche.
Bisogna
dire oltretutto che spesso si sovrappongono due aspetti differenti
confondendo, ad arte, due fattispecie ben distinte: gli immigrati,
regolari o meno, ma relativamente integrati, che lavorano ed hanno
casa, famiglia ed un ruolo di qualche tipo nella società che li
accoglie, e i profughi ammucchiati sulle carrette del mare che
costituiscono una turbativa per la consistenza e tumultuosità del
loro arrivo.
I
primi, quelli variamente integrati, diventano un problema solo in
funzione del tipo di politica che pratica il paese ospitante. Più
l'immigrato è ghettizzato e fatto oggetto di pulsioni xenofobe, più
il conflitto sociale si infiamma e il fossato culturale si divarica.
L'incomprensione
può diventare la cifra di un confronto sgradevole, mentre i gruppi
etnici, importati e autoctoni indifferentemente, coltivano gli
aspetti identitari delle rispettive culture, amplificando le
differenze piuttosto che valorizzando i punti di contatto e le
reciproche convenienze.
Io sono per due sesti francese ed ho molti parenti che vivono in Francia, con un ampio spettro di posizioni politiche e ideologiche, che vanno dal Front Nationale al PCF.
La
Francia, fino a pochi decenni fa era un impero e dunque nei suoi
confini ha diverse comunità provenienti dai territori oltremare e
dalle vecchie colonie, ma non tutti i gruppi etnici sono trattati, e
visti, allo stesso modo. Le due tipologie principali sono il
gruppo arabo e quello dei paesi dell'Africa sub-sahariana. Per
dirla con le parole di mia zia Jeanne, che dio l'abbia in gloria,
“Les noirs sont gentils et honnêtes, mais les Arabes sont perfides
et mauvais”. Non credo vi sia bisogno di tradurre vero?
Mia
zia era gollista e suo fratello Henry, comunista, rideva e sosteneva
che i francesi sono incazzati con gli arabi perché in Algeria questi
gli hanno fatto sudare le proverbiali sette camicie, causando loro la
seconda sconfitta in pochi anni, ma molto più dolorosa di quella
annamita consumatasi pochi anni prima, mentre si permettono di essere
paternalisticamente ben disposti verso chadiani, senegalesi ed altri
popoli di colore perché questi non hanno mai ferito il loro
orgoglio.
Le
cose sono un po' più complicate di così, ma rimane il fatto che se
la Francia ha un problema con gli immigrati, anche se regolari, è
con gli arabi e non certo coi camerunensi. Un caso? Direi di no.
Credo
che si potrebbe discutere a lungo, e senza molto costrutto, sul fatto
che gli arabi siano un pericolo per l'ideologia revanscista
musulmana di cui “alcuni”, e solo alcuni, sono portatori o se
quell'ideologia sia il portato, la conseguenza e la reazione ad una
lunga storia di sfruttamento e colonizzazione, tuttora perseguita
anche se non nelle modalità tradizionali.
Con
buona pace della Lega, e a dispetto delle falsità che questa propala, l'Italia, che non ha una presenza di stranieri sui livelli francesi,
tedeschi e britannici, non ha problemi realmente gravi con le
comunità che si sono installate sul territorio, al di fuori di
quelle “pompate” da Salvini e soci, e anzi si può ben dire che
se il valore del lavoro espresso da quelle genti e la raccolta
previdenziale e fiscale che ne derivano venissero a mancare avremmo
più di un motivo per lamentarcene.
Il fatto però è che quelli di cui si dibatte ora nelle discussioni su FB e gli altri “social” non sono stranieri integrati, pervenuti in scaglioni gestibili, e con anche solo uno straccio di prospettiva. No, si tratta di gente che fugge da qualcosa di tanto scoraggiante da rendere un viaggio difficile, pericoloso e la certezza di taglieggiamenti, rapine e oltraggi alla persona preferibili alla situazione da cui scappano.
Questo
dovrebbe farci capire che si tratta di un flusso virtualmente
incontenibile, anche a fronte di provvedimenti drastici e perfino
inumani.
Negli
anni scorsi la Lega si ascrisse il merito di aver contenuto il flusso
di immigrati, e ha opportunamente sorvolato sul fatto che l'emergenza
giudiziaria lamentata provenisse in primo luogo dalla Bossi-Fini, che
definiva assiomaticamente illegali, e dunque malfattori, gli
immigrati privi di permesso. Un caratteristica del problema
lucidamente perseguita per dipingere lo straniero quale delinquente
“naturale”.
Quel
merito comunque proveniva da due fattori: i punti di crisi erano
minori e meno incandescenti e la diminuzione degli arrivi si doveva
principalmente alla fattiva, e costosissima, collaborazione con un
dittatore psicopatico e sanguinario, Gheddafi, che fermava i profughi
in terra di Libia con metodi e spietatezza che opportunamente non
abbiamo mai avuto interesse ad indagare.
Checché ne dicano Cameron, Farage, Hollande e, in sedicesimo e molto più modestamente, i nostri Salvini e Calderoli, l'ondata non è contenibile e dunque pretendere che “siano cazzi” esclusivamente dei paesi in prima linea è una castroneria ipocrita e inutile, è come lamentarsi che, piovendo, ci si bagna.
La
stragrande maggioranza degli arrivi è di gente a cui di rimanere in
Italia o Spagna o Grecia non interessa nulla. E' ovvio che i paesi
che costituiscono il target di quei disgraziati non possono assorbire
quei volumi in quei tempi, ma dovrebbe essere ovvio che anche chi se
li vede arrivare sulle spiagge ha i suoi bravi problemi.
L'Italia li gestisce male, si dice. Ok, ma questo non incide più di tanto sulla sostanza. Identificati o meno, detenuti, perché questo è il giusto termine, o meno in qualche CIE, ciò non toglie il fatto che recuperarli, curarli, alloggiarli e sfamarli costa un bel pacco di soldi, che non sempre vengono spesi bene, e fino a prova contraria sono proprio i paesi che vengono investiti per primi quelli con le finanze dissestate e sotto l'arcigna e occhiuta sorveglianza dei tutori dell'equilibrio finanziario europeo.
Non
possiamo aggirare il patto di stabilità per fare strade e scuole,
perché dovremmo poterlo fare per gestire i profughi? E infatti non
lo facciamo. Dovremmo tagliare ancor di più su sanità e
istruzione? Ah già, porca pupazza, lo stiamo già facendo.
E
dunque i bravi, solerti ed affidabili francesi e britannici hanno
girato la testa dall'altra parte quando il problema sembrava ben
lontano da casa loro ed hanno decretato un bel “fatti vostri,
arrangiatevi” quando l'Italia ha richiesto maggiori coinvolgimento
e contributi europei.
Ora
i disgraziati hanno tracimato e sono passati in Francia e, da lì,
adesso, premono sulla gran Bretagna. Evidentemente il problema non
sta solo nell'incapacità italiana. Anche i francesi sono stati
incapaci, quanto noi, di contenerli e sia Hollande che Cameron si
ritrovano a caldeggiare le stesse richieste di Renzi, quelle che
precedentemente avevano schifato con sufficienza.
A me sembra che il problema sia europeo a tutto tondo e che fino a quando ciascuno continuerà a suonare per i fatti propri i guai peggiori ce li costruiremo da soli.
Magari
si può sempre sperare che la gente non scappi più da casa propria,
ma dovremmo anche ingegnarci a non mungere più le risorse dei loro
paesi nell'invereconda maniera che normalmente attuiamo.
Parte
dei miei nonni, contadini e poveri in canna, quando qualcuno conciato
peggio di loro si presentava alla porta lo sfamavano con un piatto di
minestra, magari lunga e poco condita dato che i tempi erano duri per
tutti, ma siccome la fame la conoscevano bene scattava una forma di
solidarietà ben rappresentata dal detto, non sempre realistico, che
“dove ce n'è per due, ce n'è anche per tre”, una cosa di cui ci
siamo dimenticati.
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