Nel
2013, prima che il narcolessico Crimi e la solare
Lombardi partecipassero alla famosa diretta
streaming al solo scopo di pigliare per il culo il povero
Bersani, peraltro sotto dettatura grillesca dato che la
loro autonomia di pensiero si esauriva tutta già nella scelta del
cornetto durante la prima colazione, io pensavo che il dato politico
più rilevante delle votazioni svoltesi quell’anno consistesse
nella prorompente affermazione dei cosacchi pentastellati.
M5S,
infatti, uscì letteralmente dal nulla per piazzarsi al terzo posto,
a un soffio dal PDL (secondo, ma in forte calo) e non
molto distanti dal PD che, con la coalizione Italia
bene Comune, si attestò al primo posto.
Non
è, la mia, una semplice ed oziosa rilevazione notarile. I tre primi
partiti erano separati da pochissimi punti percentuali e
rappresentavano un vincente senza abbrivio, un secondo arrivato già
olezzante come una carogna ben stagionata, ed un club dopolavoristico
di neosanculotti che nel bene e nel male, soprattutto quest’ultimo,
si avviava a rappresentare le istanze di riscossa di una parte
importante, e potenzialmente in crescita, di un popolo deluso e
incarognito dal pessimo spettacolo offerto dai partiti tradizionali.
A
quei tempi io già nutrivo forti dubbi sull’assai indefinito
programma piddino, poi metastatizzatosi nel tradimento
della propria duale appartenenza, al campo socialista ed al
cattolicesimo democratico, e sapevo già, con ogni più intima fibra
del mio essere e grazie alla mia pluridecennale osservazione dei
processi politici, che gli apritori di tonno parlamentare,
molto efficaci nel campo poco impegnativo dell’opposizione urlata,
avrebbero fatto un tonfo rumorosissimo una volta transitati nel
settore di chi deve attuare una politica governativa, o anche solo
produrre leggi e decreti con un minimo di verosimiglianza.
Pensai
a quei tempi che Bersani avrebbe dovuto sedersi al tavolo di quella
indecorosa diretta e tirar fuori un voluminoso paio di gran coglioni,
oltre ad una smisurata faccia di tolla, e dire:
“guardate, noi siamo arrivati primi, ma di poco, e chiunque sappia di politica vede che voi del Movimento avete saputo interpretare il disagio dell’elettorato meglio di chiunque altro. A questo punto mi sembra chiaro che se noi abbiamo la forza, voi avete la fiducia della gente quindi, sapete che c’è? Andiamo dal Presidente e diciamo che il PD appoggerà un esecutivo pentastellato nel quale noi potremmo avere qualche ministero, ma anche no. Ci state?”
A
quel punto i pentastellati, che ancora ci pigliavano per il culo con
la storiella del facciamo le cose con chi ci sta,
o accettavano, avviandosi poi a dimostrare con un anticipo di cinque
anni che razza di pericolosi incompetenti sono sempre stati (e il PD
avrebbe potuto staccare la spina in ogni momento), oppure fiutavano
il pericolo e si ritiravano, magari senza infliggere a Bersani quella
penosa umiliazione, ma assicurando al PD una posizione morale meno
precaria di quella che poi propiziò il penoso spettacolo che seguì
e, magari, evitando di aprire la strada alla deriva renziana, con
relativa distruzione dello Statuto dei Lavoratori.
Ai
tempi, esponendo questa mia idea, mi guadagnai sonori pernacchi
e numerosi e sanguinosi insulti, ma a me fu
chiaro fin dall’inizio che a quelle elezioni qualcuno
perse
vincendo e qualcun altro vinse perdendo,
e che
la situazione avrebbe meritato un approccio il meno ortodosso
possibile, proprio perché, rimanendo nel solco della prassi
consolidata, come in effetti avvenne, tutto quello che seguì, lo psicodramma della
rielezione del Presidente della Repubblica, il festival del
franco tiratore e le più infide pratiche di opportunismo
parlamentare, si sarebbe concretato con la stessa sicurezza
per la quale il tanfo ristagna su un letamaio, per non parlare delle
premesse per il successivo, per quanto malissimo utilizzato, successo
elettorale pentastellato, preparato, facilitato e sdoganato dalla successiva berlusconizzazione, per via renziana, del PD.
Solo
un anno dopo, nel 2014, vi fu quell’altra diretta, tra Renzi e
Grillo, ma si trattò di puro e semplice teatro, un’occasione per
segnalare a tutti che la distanza tra i due soggetti era siderale ed
incolmabile, con i due capataz che parlavano alle proprie rispettive
basi mostrando il massimo disprezzo possibile per il proprio
interlocutore, al quale si rivolgevano solo in quanto elemento
scenografico di soliloqui sovrapposti.
Oggi
noi abbiamo, nelle posizioni apicali del favore elettorale, tre
soggetti variamente scossi:
- il PD, che è l’ombra del partito che sbandierava il 40,8% alle europee del 2014, ha in sostanza due segretari, quello ufficiale ostaggio di quello dimesso ma mai effettivamente rimosso, con relativa incerta traiettoria;
- M5S, che ha passato gli ultimi 15 mesi a smentire i propri irrinunciabili capisaldi morali e a farsi brutalizzare da un partito originariamente di seconda schiera, ha perso per strada qualche milionata di voti, pressoché dimezzandosi;
- la Lega , partito capeggiato da un soggetto, Sua Ferocità Salvini, che è riuscito in un batter di ciglia a passare dall’essere il più accorto animale politico del momento a far la figura del peracottaro, sbagliando tempi, strategia ed esibendosi in indecorosi comizi autoassolutori, scivola bruscamente nei sondaggi fin qui baldanzosamente rivendicati, perdendo 5 o 6 punti percentuali, fino ad ora.
Il Paese è ad una svolta cruciale, ma non è attrezzato per affrontarla al meglio.
Il sedicente Governo del Cambiamento ha costruito le premesse per una manovra finanziaria lacrime e sangue (una delle ragioni che, nel tentativo di sottrarsi alle proprie responsabilità, ha originato l'improvvida sceneggiata salviniana), manovra che si avvicina implacabilmente, mentre l'economia della locomotiva teutonica, dalla quale dipendiamo, ansima e scricchiola in una salita inaspettata e le paturnie britanniche si apprestano ad assestare un colpo micidiale agli asfittici indicatori economici comunitari.
Il ricorso alle urne, velleitario e quantomeno prematuro, rischierebbe comunque di perpetuare lo stallo attuale per via dello smagrimento leghista e della permanenza di una legge elettorale che ha pretese maggioritarie, ma che, mancando del tutto un partito del 51%, richiede ugualmente ai partiti una capacità, al momento del tutto inesistente, di praticare un tipo di politica ormai dimenticata, fatta di capacità di mediazione e chiara visione dei pesi effettivi degli attori coinvolti, con conseguente visione realistica degli obiettivi perseguibili.
E così ora abbiamo partiti che hanno passato gli ultimi sette anni ad accoltellarsi, fantasticando sulla onorabilità e propensione alla promiscuità interrazziale delle donne e sull'incerta sessualità degli uomini delle formazioni avversarie, che improvvisamente si trovano a cercare di mettere assieme un programma di governo, negando tutto ciò che avevano precedentemente affermato e pigliandoci tutti per scemi, pretendendo di propinarci ragioni ridicolmente disinteressate per giustificare il loro attaccamento al potere, conseguito o da riguadagnare.
Io non so come andrà a finire, ma uno degli indicatori certi della nostra miserevole condizione è che essere scampati, per il momento, all'avvento del novello uomo della Provvidenza, il paninofago Salvini, a molti sembra già un buon affare.
Si naviga a vista su una nave lunga 50 metri, con la plancia situata a poppa ed una visibilità di 20 metri scarsi, e lo facciamo sottocosta, su bassi fondali e fondo roccioso.