venerdì 24 novembre 2023

Alexa, per caso sei una IA?

 

Quello della IA è un argomento al momento banalizzato nella forma più pericolosa possibile del processo di volgarizzazione di un pensiero complesso, quella resa possibile, anzi inevitabile, dalla mancata comprensione del fenomeno in questione, portando alla presunta e fallace sensazione di averne penetrato a sufficienza sostanza e implicazioni, cosa invece assai lontana dalla realtà.

Di mio penso di possedere i prerequisiti conoscitivi per essere niente altro che uno spettatore attento, quindi posso al massimo azzardare alcune considerazioni di massima che rappresentano più che altro impressioni.

Credo che al momento l'etichetta di IA sia perlomeno prematura, rispondente più ad imperativi economici e di profitto che a criteri scientifici convenientemente saldi, e che ci si trovi di fronte al massimo a "setacci automatici" di fantastica efficienza e potenza, più "servi" che "padroni" secondo la classificazione, credo turingiana, in voga al momento della faticosa e complessa transizione dalla computazione analogica a quella digitale, con un lungo intermezzo ibrido.

E’ affascinante, quasi inevitabile per chi osserva dall’esterno senza nemmeno un’infarinatura sui principi in azione,  pensare che la capacità di “applicazioni IA” come ChatGPT, un chatbot dotato di apprendimento automatico, sia la manifestazione di una intelligenza arcana, mentre in realtà, e per quanto ne so, si tratta di una forma particolarmente efficiente di processazione di dati già acquisiti, in maniera non difforme concettualmente dal passaggio di pacchi particolarmente voluminosi di schede perforate, cui si aggiunge una molto sofisticata procedura di selezione dei contenuti più conformi al contesto trattato, in base a criteri predefiniti, in grado di mantenere memoria dei propri successi.

Il processo è fantasticamente performante, i risultati, dipendendo dai dati in ingresso, potrebbero però essere deludenti, cosa peraltro già verificatasi quando un prototipo di IA sperimentale è divenuto in poco tempo un becero razzista dal linguaggio violento, dato che la media dei dati in ingresso è risultata intossicata dagli interventi di persone che coltivavano xenofobia e suprematismo come valori di riferimento.
Se di intelligenza umanoide possiamo parlare, e non mi sembra il caso, al massimo saremmo in presenza di una personalità labile, suggestionabile e con bassissima autonomia.

E’ pur vero che ciascuno di noi è in larga parte il prodotto di influssi esterni, ma l’ineffabile inconoscibilità del fenomeno creativo e dell’estrazione da dati esperienziali comuni di determinazioni originali, che non siano la semplice “media” dei dati in ingresso, rimane tuttora percepita, ma non compresa nella sua sostanza.

Premesso che non mi risulta vi sia una definizione unanimemente ritenuta valida di “intelligenza umana”, l'identificazione di cosa possa essere in realtà una "intelligenza artificiale" mi risulta ancor meno concordemente definita e, come quella naturale, variamente contesa da vari rami della conoscenza, che riconoscono la necessità di una inevitabile interdisciplinarietà – filosofia, neurologia, matematica, fisica, ingegneria, psicologia - ma non riescono a concordare su uno schema gerarchico tra queste branche del sapere, e neanche ad astrarsi dalla necessità di concepirla quella gerarchia.

Io non so se in un futuro, non so quanto prossimo, un essere senziente “verrà alla luce” da una rete neurale ultrasofisticata, come lo Skynet di Terminator, e non so se quella mente artificiale ci vedrà necessariamente come un antagonista da eliminare, come un compagno di viaggio da coadiuvare e con cui convivere, o come  un coinquilino di cui non si ha alcun bisogno, dopo essere “nata” grazie ai nostri maneggi, e non so neanche se si tratterà di una sola intelligenza o di una comunità di intelligenze artificiali.  

Non so se quella possibilità sarà la nostra fine o una benedizione, però penso che prima di pensare ai rischi, eventuali, che correremo convivendo con quella entità credo che dovremmo attentamente valutare quelli che stiamo correndo ora, affidandoci più del dovuto a sistemi esperti e ciò che oggi definiamo con troppo ottimismo IA, perché un processo molto efficiente di catalogazione ed ordinamento di dati, senza il supporto di un livello discrezionale la cui elevata raffinatezza è al momento riservata al solo apporto umano, rischia di condurci “automaticamente” verso esisti disastrosi grazie al fatto che in sede di progetto non siamo stati in grado di gestire la complessità e la vastità dei possibili esiti computazionali.

E’ possibile produrre un “libero arbitrio” sintetico? E se sì, quanto sarebbe assimilabile al nostro? Saprebbe intervenire nell’elaborazione, stolida e massiva, dei dati in ingresso e sui risultati decisionali che conseguirebbero sapendo separare una conseguenza “logica” da una “auspicabile” ed operando tra queste una scelta “intelligente”?  E se sì, su quali basi?    

Non lo so e credo che nessuno lo sappia ancora, ma per il momento dobbiamo evitare che ciò che viene definito oggi IA ci fornisca brodi ristretti di medie profondamente dipendenti dalla bontà di ciò che immettiamo all’inizio del processo, perché il vecchio detto informatico “garbage in, garbage out”, ovvero se immetti spazzatura otterrai solo altra spazzatura, è sempre valido, e non abbiamo alcun bisogno di appendere i nostri destini ad un idiota molto veloce ed efficiente.

sabato 11 novembre 2023

La pace è più importante di ogni giustizia; e la pace non fu fatta per amore della giustizia, ma la giustizia per amor della pace. (Martin Lutero)


Non sono più un ragazzino, anzi, quindi dovrei aver capito ormai come funzionano le cose, eppure mi ritrovo, vicino a raggiungere il settimo decennio di vita, a sbattere il muso contro le logiche di intolleranza ed unilateralità che incancreniscono ogni confronto umano, e a meravigliarmene ancora, manco fossi un decenne fresco di catechismo e imbevuto di letture edificanti per l'infanzia.

Successe, recentemente, con il conflitto russo-ucraino, quello che molti credono sia deflagrato il 24 febbraio del 2022, con Putin come unico "villain" d'elezione e col fasullissimo statista in maglietta verde nella parte del buono, mentre in realtà in quelle terre si ammazzavano innocenti da molto prima, nel disinteresse totale di tutti gli indignati svegliatisi al suono delle trombe atlantiste.

Da subito mi resi conto che non vi era alcuno spazio per una valutazione indipendente dei fattori che portarono morte e distruzione in quelle terre, e che le logiche manicheistiche, interessate ed ipocrite, prevalevano su tutto sia in virtù della spudorata propaganda cui venimmo immediatamente sottoposti, sia perché a fronte di processi complessi e contraddittori le semplificazioni interessate sono un balsamo efficace per gestire la confusione che ci affatica nel contemplare le umane cose, a prezzo ovviamente del disprezzo per le realtà sottostanti.

Accadde, a suo tempo, con la Siria, e prima ancora con la tragedia sanguinosissima balcanica e, in linea di massima, con ogni tipo di contrasto che insanguina cronicamente i troppi teatri di crisi sparsi per il mondo.

Ovunque vi siano contenziosi di lungo corso si originano fazioni estremistiche e settarie, che non intendono concedere alcuno spazio di contrattazione all'avversario e che affastellano provocazioni, uccisioni e sopraffazioni che appaiono galleggiare in uno spazio senza tempo e con cause originanti a propria esclusiva discrezione, così da giustificare ogni nefandezza in base a fattori scatenanti il cui punto d'inizio è ipocritamente stabilito in base alle proprie ragioni, risultando quelle dell'avversario speciose e false, ovviamente.

Questo schema si è recentemente intensificato in Terrasanta, una terra devastata da quelle logiche già da prima della costituzione dello stato d'Israele, nel 1948, con l'esecrabilissima "operazione Tempesta Al Aqsa", un attacco terroristico eseguito con l'abituale efferatezza di Hamas.   Una sanguinosa provocazione di cui molto prevedibilmente ne avrebbero fatte le spese non solo i bersagli umani israeliani, ma anche, e a questo punto soprattutto, i civili palestinesi, esseri umani che vivono da tempo compressi tra il potere sostanzialmente dittatoriale della formazione islamista e la protervia di uno stato, quello israeliano, che pare al servizio esclusivo della sua componente oltranzista che da decenni sta occupando terre con supremo disprezzo delle numerose e inascoltate risoluzioni ONU.

Anche in questo caso le due parti, ed i loro simpatizzanti al sicuro nei loro lontani paesi, si affannano a giustificare o condannare atrocità che si vendono a tre soldi il mazzo ricorrendo a "considerazioni oggettive" notevoli soprattutto per la loro conveniente estraneità alla profondità temporale del processo in atto.

Nulla è abbastanza indecente da non venir strumentalizzato, da una parte un antisemitismo a prescindere, con tanto di strumentalizzazione dei milioni di morti della Shoa, dall'altra un islamismo peloso e fuori tempo massimo, seppellito nei fatti dalle convenienze dei ras petroliferi e dei loro giochi geostrategici.
Una delle ragioni che hanno infatti "motivato" Hamas a scatenare la penultima mattanza (l'ultima è il massacro dei civili della striscia) è stato il desiderio iraniano di sabotare il processo di normalizzazione che stava prendendo corpo tra Israele e gli emirati arabi, che avrebbe di fatto accentuato l'isolamento del regime di Teheran.

Veniamo tirati per la giacchetta a prendere partito con la ferale e schifosissima formula del "senza se e senza ma", che tanti danni ha sempre fatto, ma io intendo prendere partito solo per le vittime innocenti che stanno dalle due parti di un muro che è tanto fisico quanto morale, e intollerante nella sua mortale consistenza.

Da quando Hamas ha scatenato Tempesta Al Aqsa ho dapprima contemplato ogni tipo di esternazione in proposito da parte dei miei amici e contatti social, e l'ho fatto con molto disagio per la prevalenza di una partigianeria, da ambo le parti, che di quei civili massacrati alla fine non tiene gran conto, quasi dandoli per scontati, dovuti e, nei casi peggiori, meritevoli delle loro disgrazie per un "appoggio oggettivo" ad uno dei contendenti, come se se da quelle parti un singolo potesse esimersi facilmente dall'aderire, almeno formalmente, all'imperio di due regimi nemici, ma "affratellati" dalla stessa intolleranza.

Inizialmente mi ero imposto il silenzio, sapendo che non avrei avuto spazio per esprimere la mia distanza dalle ragioni "ufficiali" dei due contedenti. Quando poi, soverchiato moralmente da ciò che stava accadendo, ho affidato ai social la mia opinione, relativamente poche sono state le manifestazioni di vicinanza, e molte di più le bastonate verbali da parte dei supporter dei due schieramenti, per i quali sono una sorta di ipocrita portatore di opportunistica ignavia. E così mi ritrovo, ancora una volta, ad essere il classico "cane in chiesa", a venire tacciato di antisemitismo da una parte e di contiguità col terrorismo dall'altra, e oggi, da un vecchio amico che mi ha sorpreso(?) con una consapevole parzialità, di colpevole inanità a quanto pare.

Ne ho abbastanza. Ciò che vorrei è prendere le distanze dai condizionamenti che, dalle due parti, hanno creato le logiche di morte e sopraffazione che vigono in quella terra, pare però che non sia concesso a nessuno di farlo. Ora io posso anche incassare critiche e insulti, ci sono abituato e a risentirne, brevemente, è solo il mio amor proprio, ma tutta quella gente, tutta, araba o israeliana che sia, che sta subendo ogni sevizia, morale e fisica, non se la può cavare così facilmente. Siamo sicuri che basti sputare sentenze da qui, confortevolmente lontani da bombe e terrore eletto a sistema di vita? Non dovremmo forse lasciar cadere rivendicazioni che ormai si legittimano e squalificano a vicenda, portando "l'indice della giustezza morale" su un inutile nulla, e cercare prima di tutto di fermare la macina dell'instancabile morte che gira alacremente da decenni in quella terra disgraziata?