giovedì 7 ottobre 2021

Quella sciacquetta di Greta


Greta sta facendo la fine della Pulzella d'Orleans.
Verrà bruciata sul rogo, e le fascine di legna le stanno portando da destra e da sinistra.

Della destra non me ne occupo, ma la sinistra, ambito nel quale la pulsione a prendere la testa del corteo ed esercitare la tetrapilocromia dottrinale è insopprimibile, è "casa mia" e vedo che tra di noi Greta sta sulle palle a molti.

La canzoncina che cantano i frati trappisti del pensiero rivoluzionario è che la "signorina è strumentalizzata", collusa coi poteri forti, viaggia su barca in resina e col motore diesel.

Beh sì, usa spesso un mezzo poco ecologico, ma ce ne sono di peggiori e, anzi, di politicamente corretti a ben vedere non ce ne sono proprio, perché se ti vuoi spostare e ti confronti con i professionisti del pelo nell'uovo non ti salvi neanche se ti muovi a piedi, dato che ti verrebbe probabilmente rimproverato di calzare snickers in sintetico confezionate da minori pachistani o calzature in cuoio a spese di qualche animale.

La ragazza, si dice, è sostenuta dal mainstream, dunque è merce avariata da cui tenersi alla larga.
La "ragazza", comunque, ha cominciato tutta sola, davanti alla sua scuola, senza che nessuno se la filasse, fino a quando qualche giornalista locale ha pensato che valesse un articolo di costume, di quelli da proporre quando non succede nulla.

Inopinatamente il fenomeno si è allargato, tra i suoi coetanei più che altro, quelli che dovranno convivere, più di noi che siamo già grandi, con gli effetti di un'economia dissipativa e irresponsabile, ed ora è un fenomeno mondiale. 

Il dissesto climatico è negato da sempre meno persone, e tra di loro molti lo fanno più che altro d'ufficio, perché hanno da spremere altro profitto da comportamenti suicidi.
Il problema climatico ed ambientale è, dunque e finalmente, all'ordine del giorno, anche in parte grazie a Greta, ma non possiamo certo addebitare alla "Sciaquetta d'Orleans" il fatto che vi siano anche robusti interessi dietro.

L'ambientalismo è, anche e purtroppo, l'occasione di fare buoni affari e questa è una implicazione con la quale Greta non c'entra.  Più che fare gli spocchiosi con lei dovremmo vigilare che gli ecologisti per interesse e convenienza non combinino guai.

Che il fenomeno Greta sia stato colonizzato da informazione e robusti interessi non è, purtroppo, agevolmente negabile, ma è una conseguenza inevitabile della raggiunta centralità dell'argomento.
L'eroica ragazzina è diventata un leit motiv, volgarizzato e attentamente disinnescato nella sua componente più radicale, cosa che ha disgustato i professionisti del dissenso.

A me, per esempio, non è piaciuto lo spezzone video del "bla bla bla" perché l'hanno banalizzato fino a renderlo controproducente, e l'atteggiamento un po' scostante di una che ha la sindrome di Asperger, non conquista molte simpatie, ma Greta, nel bene e nel male, ha iniziato qualcosa, e sì, certo, qualcuno sta cercando di edulcorare la cosa, ma la colpa non è di Greta, è di chi sta brigando dietro le quinte, e chi ci spiega quanto è stronza Greta, forse farebbe meglio a stanare i manovratori occulti.


Fino a prova contraria quella sciacquetta di Greta ha fatto, per l'ambiente e per tutti noi, molto più dei suoi cipigliosi critici di sinistra.

sabato 2 ottobre 2021

Cercasi lieto fine... disperatamente.

Oggi, alla vigilia di una tornata di elezioni amministrative che potrebbero fornire alla destra del Paese l'appiglio per pretendere elezioni politiche anticipate, o quantomeno i necessari presupposti per condizionare l'azione del governo in carica, di suo già piuttosto suscettibile di farsi orientare, il mio pensiero corre agli anni appena trascorsi, nei quali ho raccolto infinite patenti di ingenuità politica e di movimentismo irresponsabile, con varie e sprezzanti etichettature che andavano da pseudorivoluzionario nostalgico, in odore di pentademenza (cosa che mi indispettiva particolarmente, per la mia supposta contiguità coi fivestars) a sostanziale supporter della destra arrembante, per stigmatizzare il mio tignoso disgusto per il processo di transizione del fu grande partito della sinistra italiana nel campo del neoliberismo.


Quelle critiche, anzi sentenze, provenivano dal mio côté politico, soprattutto dai miei ex compagni sessantottini. 
 
Non tutti, fortunatamente, solo quelli usciti per una
ragazzata protestataria dalla loro classe di elezione alto-borghese, per rientravi, beninteso, subito dopo lo spegnimento del sacro fuoco rivoluzionario, ma con quella leggera mano di vernice rossa, sempre più sbiadita e screpolata per i tartufeschi contorcimenti logico-dialettici che servivano loro per rimanere on the sunny side of the street, rivendicando però il diritto/dovere di smerdare chi turbava il loro pacifico, e gesuitico, adattamento.

Erano rampolli dell’alta borghesia condannati per diritto di nascita, per così dire, ad una fulgida riuscita nella vita, qualunque cosa facessero, o quasi.
Non erano numerosi quanto eravamo noi poveri peones, tutti più o meno rimasti nella modesta nicchia della classe d’origine, ma risaltavano meglio.

Torme di propagandisti del qualunquismo da maggioranza silenziosa si sono liberamente servite delle loro conversioni ad “u” per alimentare l’implacabile controrivoluzione conservatrice che lo sterilizzò quel ‘68, un fenomeno cui sono felice di aver partecipato, che tante ragnatele tolse alle strutture della nostra società, e che tanto fece, collegandosi alle lotte operaie, per una stagione di avanzamento dei diritti dei lavoratori, quelli poi distrutti, da Treu a scendere, dai compagni ragionevoli della sinistra di governo.

Tra di loro c’è anche qualcuno che, come me, proviene dalla base della piramide sociale, senza radiosi futuri garantiti, individui che in questi anni sono stati particolarmente aggressivi nell’appioppare le etichette di cui più sopra, con la solerzia tipica del parvenu in arrampicata, perché alla fine non c’è cane peggiore di quello che vuole far scordare di essere stato un lupo.

La loro rivendicatissima ragionevolezza, cui il massimalismo onanistico degli atomi sparsi della sinistra radicale non ha fatto nemmeno il solletico, ha coltivato accuratamente le condizioni che hanno portato la destra neo e post fascista a divenire il prevedibile futuro, ferale, del nostro disgraziato Paese.

La cosiddetta "sinistra di governo" edulcorando la sostanza e l'identità stessa della sua origine politica, fino a compiere la sua completa trasmutazione liberista, ha creato un vuoto che, in quanto tale, è stato immediatamente riempito ed occupato da qualcosa o qualcuno che ha sempre interpretato meglio la natura centrista e conservatrice, rispetto al nuovo arrivato.

E' al PD, ed ai suoi cespuglietti funzionalmente parascissionisti che dobbiamo la nascita e l'affermazione dei neo-giacobini pentastellati, che hanno raccolto il risentimento della gente, salvo poi disperderlo per incapacità politica e tare metodologiche congenite.   Ed è sempre alla sedicente sinistra di governo che  dobbiamo il tasso di ambiguità che ha consentito  alla Lega di rappresentare, in potenza, un terzo dell'elettorato, limitata e poi mortificata nel suo successo solo dalla tracotanza autolesionista del suo capo politico, superato infatti a destra dai nipotini del Duce, pronti ad esprimere il prossimo governo e la prossima Primo Ministro, in quella che dovrebbe essere la repubblica nata dalla Resistenza.

La dinamica politica di questo Paese è mutilata, monca di una componente necessaria, senza la quale la democrazia diventa un fatto recitato e privo di reale sostanza.

C'è, nella galleria tassonomica politica una nicchia vuota, quella della sinistra, e stiamo avviandoci a pagarne il prezzo.

venerdì 1 ottobre 2021

Quando diritto e giustizia hanno percorsi separati.


Mimmo Lucano è stato condannato a 13 anni e 2 mesi di carcere.

Il dispositivo (per la sentenza dovremo aspettare mesi) certifica che Lucano non ha favorito l’immigrazione clandestina, mentre l’accusa di aver organizzato “matrimoni di comodo tra cittadini riacesi e donne straniere al fine di favorire illecitamente la permanenza di queste ultime nel territorio italiano” è stata ritirata dai PM.

La condanna è dunque stata comminata per punire i reati contro la pubblica amministrazione, la pubblica fede e il patrimonio, ovvero: associazione per delinquere finalizzata a “commettere un numero indeterminato di delitti”, falso in atto pubblico e in certificato, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, abuso d’ufficio e peculato.

Messa giù così suona malissimo, e non incidentalmente, come sospetto.

Parrebbe quindi che non sia stato condannato per aver violato una legge voluta da Lega e Alleanza Nazionale per creare un reato, prima inesistente, al solo scopo di respingere i profughi che arrivano alle nostre frontiere, in un impianto di diritto xenofobo intrinsecamente anticostituzionale.
È stato condannato, con suprema ipocrisia, per i mezzi e gli escamotage da lui impiegati per offrire a quei poveri disgraziati qualche prospettiva, aggirando gli ostacoli pretestuosi inventati dalla parte destra dell'emiciclo parlamentare.

In pratica è stato comunque condannato per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, ma in modo ellittico e presentandolo come "truffatore", come si è subito premurato di sottolineare quel rodomonte privo di umana dignità di Capitan Mojito, che adombra certezze di vantaggi personali, per Lucano, del tutto smentite dai fatti.   

La strada percorsa dal collegio giudicante, peraltro, ha consentito di moltiplicare le pene minime previste dai reati contestati fino a triplicarne la consistenza, cosa che ha suscitato ben più di una perplessità tra gli addetti ai lavori.

In un certo senso il paradigma è speculare a quello che ha assolto Dell'Utri per la vicenda della trattativa Stato-mafia.  In quel caso l'esponente forzista è stato coinvolto in un fatto accertato, che è stato dichiarato "reato" solo in riferimento ai capi mafiosi coinvolti.  Nella vicenda di Mimmo Lucano il reato principale non è contestabile, dunque lo si condanna per altro.

Io sento un forte odore di bruciato, non so voi.  

La questione è sempre la stessa, dalle leggi razziali a scendere: una cosa può essere illegale, ma anche e contemporaneamente giusta e degna, perché diritto e giustizia non camminano sempre insieme.

Apartheid, schiavitù e colonialismo sono aberrazioni che hanno goduto dei crismi della legalità, ma le leggi che le autorizzavano erano una forzatura, la formalizzazione di un sentire che autorizzava comportamenti inumani e puniva chi ne confutava la legittimità.

Se domani dovesse essere dichiarato illegale prestare opera di volontariato, settore nel quale sono impegnato, e dovessi scegliere tra la mia coscienza e la legge, dovrei diventare un "fuorilegge" per sopportare la faccia nello specchio che vedo ogni mattina.