Quelle
critiche, anzi sentenze, provenivano dal mio côté politico,
soprattutto dai miei ex compagni sessantottini.
Non
tutti, fortunatamente, solo quelli usciti per una ragazzata
protestataria dalla loro classe di elezione alto-borghese, per
rientravi, beninteso, subito dopo lo spegnimento del sacro fuoco rivoluzionario, ma con quella leggera mano di vernice rossa, sempre più sbiadita e
screpolata per i tartufeschi contorcimenti logico-dialettici che
servivano loro per rimanere on the sunny side of the street,
rivendicando però il diritto/dovere di smerdare chi turbava il loro
pacifico, e gesuitico, adattamento.
Erano
rampolli dell’alta borghesia condannati per diritto di nascita, per così dire, ad una fulgida
riuscita nella vita, qualunque cosa facessero, o quasi.
Non erano numerosi quanto eravamo
noi poveri peones, tutti più o meno rimasti nella modesta
nicchia della classe d’origine, ma risaltavano meglio.
Torme di propagandisti del qualunquismo da maggioranza silenziosa si sono liberamente servite delle loro conversioni ad “u” per alimentare l’implacabile controrivoluzione conservatrice che lo sterilizzò quel ‘68, un fenomeno cui sono felice di aver partecipato, che tante ragnatele tolse alle strutture della nostra società, e che tanto fece, collegandosi alle lotte operaie, per una stagione di avanzamento dei diritti dei lavoratori, quelli poi distrutti, da Treu a scendere, dai compagni ragionevoli della sinistra di governo.
Tra
di loro c’è anche qualcuno che, come me, proviene dalla base della
piramide sociale, senza radiosi futuri garantiti, individui che in
questi anni sono stati particolarmente aggressivi nell’appioppare
le etichette di cui più sopra, con la solerzia tipica del parvenu
in arrampicata, perché alla fine non c’è cane peggiore
di quello che vuole far scordare di essere stato un lupo.
La loro rivendicatissima ragionevolezza, cui il massimalismo onanistico degli atomi sparsi della sinistra radicale non ha fatto nemmeno il solletico, ha coltivato accuratamente le condizioni che hanno portato la destra neo e post fascista a divenire il prevedibile futuro, ferale, del nostro disgraziato Paese.
La cosiddetta "sinistra di governo" edulcorando la sostanza e l'identità stessa della sua origine politica, fino a compiere la sua completa trasmutazione liberista, ha creato un vuoto che, in quanto tale, è stato immediatamente riempito ed occupato da qualcosa o qualcuno che ha sempre interpretato meglio la natura centrista e conservatrice, rispetto al nuovo arrivato.
E' al PD, ed ai suoi cespuglietti funzionalmente parascissionisti che dobbiamo la nascita e l'affermazione dei neo-giacobini pentastellati, che hanno raccolto il risentimento della gente, salvo poi disperderlo per incapacità politica e tare metodologiche congenite. Ed è sempre alla sedicente sinistra di governo che dobbiamo il tasso di ambiguità che ha consentito alla Lega di rappresentare, in potenza, un terzo dell'elettorato, limitata e poi mortificata nel suo successo solo dalla tracotanza autolesionista del suo capo politico, superato infatti a destra dai nipotini del Duce, pronti ad esprimere il prossimo governo e la prossima Primo Ministro, in quella che dovrebbe essere la repubblica nata dalla Resistenza.
La dinamica politica di questo Paese è mutilata, monca di una componente necessaria, senza la quale la democrazia diventa un fatto recitato e privo di reale sostanza.
C'è, nella galleria tassonomica politica una nicchia vuota, quella della sinistra, e stiamo avviandoci a pagarne il prezzo.
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