Leggo questo bell'articolo di Paolo Sassanelli, che ci ricorda che ciascuno di noi è stato, e in molti casi è ancora, lo "sporco negro" o il "terrone" nella considerazione di qualcun altro, e che dunque non abbiamo alcuna giustificazione quando assumiamo atteggiamenti di intolleranza e razzismo verso gente più sfortunata.
Sassanelli è stato un bambino "terrone" in una Milano che faticava ad includere i flussi migratori, pur riuscendo in questo meglio di altre città, ed il mio pensiero è corso ai miei ricordi di bambino "polentone".
Sono un "ragazzo del '54". Ho frequentato la scuola elementare Tommaso Grossi, in via Monte Velino, a Porta Vittoria, in una Milano che non esiste più. Il quartiere era in larga parte popolare, perlomeno nella zona dove abitavo, intorno a Piazza Martini/Piazza Insubria, con frange ben localizzate di relativo benessere; piccoli funzionari, qualche bottegaio ben avviato, qualche libero professionista di oneste, ma non cospicue, capacità.
Nella mia classe di 35 bambini (allora questa era la consistenza media e per non meno di 6-7 sezioni) c'erano tantissimi figli di facchini dell'Ortomercato, data la presenza nel quartiere di quella struttura.
Sassanelli è stato un bambino "terrone" in una Milano che faticava ad includere i flussi migratori, pur riuscendo in questo meglio di altre città, ed il mio pensiero è corso ai miei ricordi di bambino "polentone".
Sono un "ragazzo del '54". Ho frequentato la scuola elementare Tommaso Grossi, in via Monte Velino, a Porta Vittoria, in una Milano che non esiste più. Il quartiere era in larga parte popolare, perlomeno nella zona dove abitavo, intorno a Piazza Martini/Piazza Insubria, con frange ben localizzate di relativo benessere; piccoli funzionari, qualche bottegaio ben avviato, qualche libero professionista di oneste, ma non cospicue, capacità.
Nella mia classe di 35 bambini (allora questa era la consistenza media e per non meno di 6-7 sezioni) c'erano tantissimi figli di facchini dell'Ortomercato, data la presenza nel quartiere di quella struttura.
Nella mia qualità di figlio di commesso di banca io navigavo, per dire, nella fascia medio-alta della classifica di reddito, e il papà del mio migliore amico non lo vedevo mai, perché faceva la guardia notturna alla Montecatini. Quando lui era sveglio, noi dormivamo.
Quel signore era di Bitonto, e la moglie di Berceto, in provincia di Parma. Sul nostro pianeŕottolo si affacciavano gli usci di casa di una famiglia mantovana, di una calorosissima famigliola di messinesi (la signora quando faceva i croccanti di sesamo e mandorle ne dava sempre un po' anche a me e mia sorella) e di una coppia di persone, estremamente riservate, di cui non sapevo nulla, tranne che erano nate altrove.
Al piano di sopra abitava una signora palermitana simpaticamente sboccata, con grande scorno di mia nonna, e al piano di sotto una famiglia bergamasca. Già allora i milanesi "autoctoni" erano in minoranza e, molto spesso, sposati con persone provenienti da ogni dove.
Girando per il quartiere si sentivano accenti e dialetti tra i più disparati e non voglio dire che mancassero gli attriti, dato che quando usi e costumi divergono anche una formula di cortesia può divenire problematica, ma tutti trovavano un modus vivendi, più o meno efficace, e nel mio quartiere, che io sappia, l'orrido cartello "affittasi non a meridionali" non è mai comparso perché, perlomeno allora, la fratellanza di classe aveva il sopravvento. Purtroppo non posso dire la stessa cosa per altre zone della città.
L'unico episodio di intolleranza di cui ho memoria nella mia infanzia provenne dalla nostra maestra che, sciaguratamente, riservò ad un nostro compagno appena giunto dalla Puglia un trattamento infame, che vidi poi replicato solo nelle miserrime pratiche del nonnismo militare.
Noi bambini, in un primo momento e per consonanza con la maestra, collaborammo con il dileggio, ma poi, piuttosto a disagio, smettemmo e so che molti genitori, venuti a conoscenza della cosa, protestarono vivacemente con il direttore della scuola.
Il razzismo è un modo di pensare apparentemente "ragionevole". Prende tutti i problemi che possono verificarsi tra persone provenienti da ambiti diversi e, invece che cercare di individuare i punti di contatto, esalta le differenze e identifica immancabilmente nel processo di fusione tra culture che vengono a contatto un'azione ostile di conquista da parte "dell'intruso".
Una volta passato il concetto, non vi è più alcuna necessità di comprendere le ragioni dell'altro, perché si tratta di un nemico, un pericoloso antagonista, e la faccenda risulta essere unicamente una lotta per la sopravvivenza nella quale non si fanno prigionieri.
Il razzismo di conseguenza si attrezza costruendo un arsenale di assiomi indimostrati e non negoziabili, la cui messa in discussione, come il più timido dubbio a riguardo, vengono prontamente e ferocemente bollati come inqualificabile tradimento.
La sua perpetuazione si articola principalmente nella riproposizione continua, spasmodica e martellante di radicatissimi pregiudizi.
Il razzismo dunque prospera nell'ignoranza, nella paura e nella meschinità e nessuno di noi ne è veramente immune, perché tutti abbiamo un pezzettino di umanità imperfetta e paure inespresse e corrosive.
Bisogna essere vigili e saper fare quel passo che supera il fossato, e tenere presente che proprio perché l'altro ti è fratello potrebbe, a sua volta, essere diffidente, dunque ti sarà richiesto essere paziente, oltre che fiducioso, così potrai trovare un abbraccio invece che un pugno serrato.
Noi bambini, in un primo momento e per consonanza con la maestra, collaborammo con il dileggio, ma poi, piuttosto a disagio, smettemmo e so che molti genitori, venuti a conoscenza della cosa, protestarono vivacemente con il direttore della scuola.
Il razzismo è un modo di pensare apparentemente "ragionevole". Prende tutti i problemi che possono verificarsi tra persone provenienti da ambiti diversi e, invece che cercare di individuare i punti di contatto, esalta le differenze e identifica immancabilmente nel processo di fusione tra culture che vengono a contatto un'azione ostile di conquista da parte "dell'intruso".
Una volta passato il concetto, non vi è più alcuna necessità di comprendere le ragioni dell'altro, perché si tratta di un nemico, un pericoloso antagonista, e la faccenda risulta essere unicamente una lotta per la sopravvivenza nella quale non si fanno prigionieri.
Il razzismo di conseguenza si attrezza costruendo un arsenale di assiomi indimostrati e non negoziabili, la cui messa in discussione, come il più timido dubbio a riguardo, vengono prontamente e ferocemente bollati come inqualificabile tradimento.
La sua perpetuazione si articola principalmente nella riproposizione continua, spasmodica e martellante di radicatissimi pregiudizi.
Il razzismo dunque prospera nell'ignoranza, nella paura e nella meschinità e nessuno di noi ne è veramente immune, perché tutti abbiamo un pezzettino di umanità imperfetta e paure inespresse e corrosive.
Bisogna essere vigili e saper fare quel passo che supera il fossato, e tenere presente che proprio perché l'altro ti è fratello potrebbe, a sua volta, essere diffidente, dunque ti sarà richiesto essere paziente, oltre che fiducioso, così potrai trovare un abbraccio invece che un pugno serrato.
Un'ultima cosa. Mia madre era francese di nascita perché mio nonno, bergamasco del Lago d'Iseo, emigrò in Francia per sfuggire alla miseria che lo attanagliava. Sono dunque nipote di migranti e figlio di una "straniera", non potrei mai angariare qualcuno solo perché nato altrove.
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