Vedo che la lettura che avvalora la figura di uno Tsipras sostanzialmente colluso e rinunciatario piglia sempre più quota, con un rateo di salita temperato solo, per non contraddirsi troppo, dall'esigenza di non stridere eccessivamente con il favore triburatogli fino al mortifero memorandum.
Si, è vero, Tsipras non ha vinto il confronto con l'Europa a guida germanica e, perdendo, ha spento le speranze di tutta la sinistra europea, quella che nelle singole nazioni non ha alcun motivo di rallegrarsi, data l'irrilevanza media che la contraddistingue, o la metastasi centrista che la corrode.
Non rimane che rifugiarsi in Podemos, per quanto già guardata con un po' di sospetto, o nell'inaspettato Corbyn, così incongruamente e inopinatamente emerso da quel feudo liberale che è la Gran Bretagna.
Queste due entità, Podemos e il Labour finalmente post-blairiano, sono sugli scudi, anche perché arrembanti e tuttora in fase progettuale, e dunque non ancora venuti a contatto con il potere interdittivo e ricattuale che esprime la cosca neoliberista che ci dirige con spietata determinazione. Chissà se, una volta esposte al potere contrattuale di chi ha tutte le briscole in mano, e qualche asso nella manica, sapranno cavarsela meglio o se faranno la fine del vituperato Alexis.
Intanto la cruda luce del massimalismo, funzionale se non programmatico, azzera ogni sfumatura, dunque qualsiasi distinguo o elemento di complessità diventano, ipso facto, un cedimento.
La via è decisa e semplice: no Europa e no Euro, ed è giusta tra l'altro, ma solo per ragioni strettamente congiunturali. L'averla imboccata, inoltre, segnala esclusivamente l'accettazione di una sconfitta ineludibile, e la predisposizione di un percorso alternativo degradato rispetto al progetto iniziale, fallito miseramente.
Noi, in realtà avremmo bisogno di una “entità Europa”, ma certo non di quell'orrido simulacro che ne ha preso il posto, smisurata provincia asservita e subalterna agli interessi neoliberali.
Non ci si può confrontare con i colossi economici che si spartiscono il mondo rimanendo nella mera dimensione nazionale, ma neanche si può farlo divenendo la marca esterna di un impero parassita e noncurante.
Dunque una strategia di uscita dall'Euro e dalla trappola di un'Europa politicamente deceduta diventa una necessità, ma solo nel senso che porta un chirurgo ad amputare per non compromettere il corpo. Una cosa necessaria, ma tragica.
Dirlo però equivale a compiere qualche innominabile empietà e guadagna severe rampogne all'incauto che si azzarda a farlo.
Anche esprimere dubbi sulle modalità di uscita dall'Euro, non sulla necessità di farlo ma solo sulla strategia di attuazione, espone a pepatissimi commenti e dunque il dibattito subisce un singolare, e mortale, appiattimento della dinamica.
Nel momento in cui ti predisponi a produrre un'azione politica hai bisogno di una certa stabilità dottrinale, ma scoraggiare la dialettica, anche conflittuale, non è mai un buon affare, perlomeno se dichiari di voler coinvolgere tutte le componenti del tuo seguito nell'elaborazione di strategie e programmi, e se manchi di farlo finisce che allontani più gente di quanta ne attiri.
Intanto qui da noi, contemplando l'arretramento delle velleità del governo ellenico, si conclude che le cause della sconfitta risiedono nell'ambiguità pusillanime di Tsipras, dato che ammettere che la Troika non avesse che da tenere i cordoni della borsa ben stretti e la flessibiltà negoziale a zero, sancirebbe la fragilità contrattuale di qualsiasi nazione che si presentasse isolata al confronto, complicando lo scenario rivendicativo.
Infine, in una recrudescenza del ferale motto “tanto peggio, tanto meglio”, si azzardano tesi che avvalorano come preferibile un secco rigetto dei ricatti mitteleuropei, piuttosto che una lenta morte, corroborando tale considerazione alla luce della disperazione di chi non ha più niente da perdere, con una visione inconsciamente, spero, crepuscolare.
Il fatto è che se fosse realmente così non saremmo qui a parlarne e le strade e le montagne sarebbero teatro di una feroce rivolta. Non è così, non ancora almeno, e precipitare le cose per ottenere una massa critica di disperati non mi sembra un gran servizio, o così avrà pensato Tsipras, io ritengo, nell'operare le sue scelte.
In Grecia si muore di fame e per l'impossibilità di curarsi e questo significa un totale fallimento del nostro modello di cultura e sviluppo, ma a giudicare dal comportamento dei greci e dalle risultanze demoscopiche fin qui raccolte, la fuoriuscita dall'Euro senza un'oculata ed efficace strategia preparatoria non sembra essere una priorità.
Noi dobbiamo uscire dall'Euro perchè quella moneta è un “lusso” che non ci possiamo permettere, ma quello di cui avremmo realmente bisogno sarebbe un Euro con le stesse caratteristiche operative del dollaro, liberamente svalutabile a seconda delle esigenze, e inserito in un contesto federale paritetico di stati di pari rango e con politiche finanziarie, economiche e industriali decise collegialmente, e non da chi è più “uguale di altri”.
Esistono le condizioni, in questo momento, per creare questo contesto? Certo che no. Metterci allora una pietra sopra e non pensarci più divenendo una delle tante nazioni europee “pret a manger”?
Fate un po' voi. Io sono un anziano, malato per di più, e tra un po' toglierò il disturbo. Dopo sarete voi a grattarvi questa piaga. Pensateci bene.
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