venerdì 26 marzo 2021

Discutere porta a capire?



Mi è sempre piaciuto discutere e confrontarmi, è una cosa che apre la mente. Sono cresciuto in una famiglia nella quale si discuteva sempre e di tutto.   Mio padre era talmente appagato da una buona discussione, da giungere al punto di cambiare la propria posizione, più o meno radicalmente, quando vedeva che il raggiungimento di un punto di convergenza rischiava di farla morire "troppo presto".

A casa mia dunque discutevamo molto, sempre, e quando non discutevamo litigavamo parecchio.  Una volta un mio compagno di classe, israelita, dopo un pomeriggio di domenica passato nel raggio d'azione della mia famiglia mi chiese se ero proprio sicuro che non fossimo ebrei. Mi disse, con divertita ironia, che aveva rilevato molti aspetti di una tipica disputa talmudica e che il tono corrosivo che spesso emergeva gli ricordava certi anziani saggi della sua comunità, taglienti nel linguaggio e implacabili nel giudizio.

Siccome però quando si litigava poi restavano molte cicatrici, con poco costrutto peraltro, ho mantenuto il gusto della discussione, ma non quello del litigio, ragione per la quale limito i contrasti allo stretto necessario e solo se sono in gioco elementi che a mio parere li giustifichino.

Mi sta benissimo discutere, mi è perfino necessario, e mia moglie è talvolta esasperata per questa mia passione, però posso accettare di aggirarmi nel proverbiale "campo delle cento pertiche" - modo di dire milanese applicabile alle discussioni su un un argomento, condotte senza venirne mai a capo - solo quando non ci sono di mezzo situazioni drammatiche e se le determinazioni che vengono focalizzate non hanno conseguenze dannose per sé e per gli altri.

L'emergenza che stiamo vivendo è crudamente drammatica e ben al di fuori di quasi tutto ciò che, collettivamente, abbiamo vissuto in precedenza, a meno che non si sia abbastanza anziani, o sfortunati, da aver vissuto durante la guerra.  

Ha colto la gran parte di noi assai impreparata intellettualmente ed emotivamente e la nostra resistenza morale è stressata e talvolta boccheggiante, prima per la fatica di imparare a gestire un assetto inaspettato, ed ora per il protrarsi, che qualcuno improvvidamente aveva escluso potesse verificarsi, di un'emergenza globale.

Le persone sono a rischio, e muoiono.  La gente affronta un'emergenza per la quale non ha un patrimonio esperienziale da cui trarre conforto e orientamento e se ha faticato a comprendere la necessità di contrastare l'istinto che porta gli essere sociali a raggrupparsi nei momenti di pericolo, oggi lo capisce ancora meno, presa com'è tra fabbriche ed uffici che non hanno mai chiuso, attività commerciali che pretendono di far finta di nulla e cultori del pensiero magico, convinti che a loro non capiterà mai nulla e che tutto, morti, ospedali in crisi e strascichi invalidanti siano "menzogne" al servizio di fantasiosi complotti.

Non appena gli indici cominciano a segnare qualche miglioramento ci si comporta come se il pericolo fosse passato, come una tempesta sfogata, e si pongono le premesse per ondate rese ancora più insidiose dall'insorgenza di perfide "mutazioni" virali.

La disponibilità, recente e peraltro molto avventurosa, di vaccini non ha ancora risolto la situazione, però in compenso ha fornito copioso carburante alla macchina inesauribile della complotteria di ogni tipo, affiancata dalle più incredibili professioni di ignoranza vestite di presunta sapienza, confortata da frettolose letture di concetti inaccessibili, equivocati e assolutamente mal digeriti, che vestono paure ataviche e pregiudizio di una pseudoscienza che sta alla sapienza come il teatro kabuki sta alla vita vera.

Tutti abbiamo la responsabilità di attuare comportamenti adeguati e di saper vedere la situazione da un punto di vista molto più ampio della nostra individualità, però molti non riescono a farlo, e c'è anche gente che non ha neppure alcuna intenzione di provarci.

Mi piace discutere, ma odio reggere il sacco a chi si dimostra inadeguato.     

Gli inutili complottisti, gli sciacalli politici, quelli che non capiscono che non è solo il loro prezioso culo ad essere a rischio. Gli osservatori di ombelico, i relativisti delle regole, inderogabili per tutti tranne che per sé stessi.  I laureati all'università della vita, che spiegano minuziosamente qualcosa che, non sapendone nulla, hanno disastrosamente equivocato. Quelli che per scaricare il loro terrore nevrotizzano gli altri, gli psicopatici che propalano bufale, insomma tutti quelli che "remano contro", per difetto personale o per consapevole sociopatia.

Ho revocato amicizie e bloccato gente come se dovessi vincere una scommessa,  e anche fuori di questo mondo virtuale, nella vita reale, mi sono accorto da tempo che non sarò così impaziente di riallacciare proprio con tutti, quando emergeremo, perché emergeremo, dai nostri rifugi domiciliari e dalle nostre vite col freno a mano tirato.

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