
Non
molto organico nella sua implementazione, il New Deal
fu ferocemente avversato dalle componenti più conservatrici della
politica e della finanza statunitensi, componenti che poi addossarono
a Roosevelt la responsabilità delle inefficienze
dell’intervento roosveltiano, indotte proprio dalla loro reazione.
Tutti
ricordano, di quel programma, le spese federali di sostegno al
reddito, con vaste campagne di lavori pubblici, ma la parte più
qualificante dell'intervento si concretò mediante la promulgazione
di leggi strategiche volte a disciplinare l'azione
degli attori dello scenario economico ed industriale.
Tra
quegli interventi quello che ritengo più importante fu il
Glass-Steagall Banking Act il quale, imponendo la
separazione tra banche commerciali e banche d'investimento,
aggredì alla fonte la causa principale o, meglio, il presupposto
funzionale della catena di eventi che portò al tracollo finanziario
culminato nel famoso giovedì nero.
Quella
legge resistette indomita, nonostante le continue pressioni del mondo
bancario e finanziario, fino al 1999 quando, durante il
secondo mandato di Bill Clinton, venne
promulgato il Gramm-Leach-Bliley Act, che abrogò
quella separazione.
Fu
una decisione tragica, che pose le basi funzionali per la famigerata
crisi dei subprime del 2006, causa
scatenante dell'attuale e più che decennale crisi economica che ci
ha tutti fatti arretrare, nelle condizioni di vita, a livelli infimi
e con prospettive di ripresa miserabili.
Parafrasando
Clemenceau, che disse che la guerra è una faccenda
troppo seria per lasciarla ai generali, direi che anche
l'economia è troppo importante per lasciare che se ne curino
banche e finanziarie.
Dovrebbe
occuparsene la politica, ma non certo ciò che oggi
passa sotto quel nome, non quella pletora di teste di legno,
nel senso di prestanome al servizio delle esigenze
della speculazione su larga scala, vera e propria banda di miracolati
dalla visione strabica e con prospettive a raggio minimo, che
infestano le strutture di governo e legislative di gran parte delle
sempre meno rappresentative democrazie occidentali.
Di
certo non dovrebbero occuparsene i fantasisti oggi al potere nel
nostro paese, equamente suddivisi tra analfabeti funzionali
che giocano sulla fonetica sovrapponibile tra 2,4 e
2,04 per cento di deficit del PIL, come
se l’improvvisa sparizione di circa 6,48 miliardi di Euro fosse un
dettaglio ininfluente, e muscolari tromboni, facondi
produttori di tweet incauti ed esternazioni fragorose per far
dimenticare la totale inosservanza degli impegni presi in campagna
elettorale.
Secondo
Max Weber, un uomo politico deve possedere tre qualità,
da lui definite sommamente decisive: passione, senso
di responsabilità, lungimiranza. Se è così mi sa che siamo
messi male.
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