Ho
visto, in ritardo, la puntata di domenica 5/2 di “Che tempo che
fa”. Sono rimasto molto colpito dalla dissertazione di Roberto
Saviano sulla poesia in generale e sull'opera di Wisława
Szymborska in particolare, e dalla passione, genuina e coinvolgente,
che ha espresso nello svolgerla. Indubbiamente,
se lo avesse voluto, avrebbe potuto essere un grande professore di
lettere,
uno di quelli in grado di trascinare e motivare intere classi.
Non
conoscevo Wisława Szymborska poiché la mia formazione e le mie
inclinazioni non sono umanistiche e, in particolare, perché ho un
rapporto difficile con la poesia. Per questo sono rimasto colpito
quando Saviano , addirittura sul suo onore, ha assicurato che la
lettura dell'opera della Szymborska sarebbe stata in grado di far
amare questa forma d'arte anche a chi non la capiva e non la amava.
Dicevo,
dunque, un rapporto difficile, che significa? Significa che la
pratica didattica di cui ho potuto fruire (sono classe '54, ma credo
che il crimine venga tuttora perpetuato) ha fatto di tutto, e con
successo, per spogliare la poesia di ogni fascino, di ogni
significato e di ogni bellezza, questo perlomeno ai miei occhi.
La
mia inadeguata capacità mnemonica mi ha sempre reso penoso il
compito di imparare a memoria poemi anche non eccessivamente lunghi.
Nonostante la mia giovanissima età, inoltre, sentivo che la
cantilena tipica sviluppata dallo scolaro medio per ritenere,
perlomeno fino all'interrogazione, la successione di sillabe e fonemi
(che altro non erano diventati) a cui veniva ridotta l'opera di un
insigne letterato del passato, non poteva essermi di alcun aiuto
perché troppo imbarazzante.
Ditemi
che non avete mai sofferto ascoltando qualche volenteroso bimbo delle
elementari declamare, con occhio vitreo, espressione concentrata,
dizione impastata, allegra noncuranza per ritmo e metrica, nonché
qualche involontario sputazzo, versi immortali resi quasi
irriconoscibili. Ho flash mnemonici di atrii muscosi e
fori cadenti quasi urlati, con incongrui ed indesiderati effetti
comici.
Per
ricordare qualcosa avrei dovuto capire il senso dei versi, ma il
linguaggio aulico ed antico, mal spiegato ed esposto
convenzionalmente dalla maestra, non mi era di molto aiuto. Se a
tutto ciò aggiungiamo una certa dose di personalità oppositiva,
ecco confezionata la mia avversione, inossidabile e aprioristica, nei
confronti della poesia.
Non
che fra i miei compagni si potessero annoverare molti consapevoli
estimatori del linguaggio poetico. Anche gli altri, come me,
detestavano cordialmente il dover mandare a memoria componimenti
lunghi ed abbastanza incomprensibili per le nostre acerbe capacità.
Solo che gli altri, dotati di una memoria più efficiente o forse più
ostinati o, diciamo, manescamente motivati dai loro genitori,
spuntavano, al contrario di me, adeguate votazioni che perlomeno li
ripagavano della fatica.
Mi
hanno insegnato ad essere insofferente verso la poesia, ma in realtà
l'ho sempre cercata. La mancanza di adeguati strumenti di lettura e
un'astiosità non riconciliata hanno reso i miei tentativi di
riavvicinamento disordinati e poco produttivi.
Assolutamente
refrattario all'estetica tendenzialmente ridondante e decadente,
tanto gradita a molti dei miei insegnanti, formatisi nel periodo tra
le due guerre, mi sono rivolto istintivamente ad un tipo di poesia
non strutturata e molto scarna. Ho apprezzato alcuni dei
componimenti di Ungaretti, essenziali, densi e potenti. Ho trovato
commoventi, ma solo dopo aver raggiunto una certa maturità, i
sorprendenti haiku giapponesi:
Pioggia
d'autunno
un cane corre
fradicio d'abbandono
un cane corre
fradicio d'abbandono
Tradotti
in italiano perdono la loro perfezione estetica, ma mantengono
intatto il loro pregnante messaggio.
Non
sono mai riuscito, però, a imparare a “frequentare” la poesia.
Molti
dei miei amici d'infanzia hanno recuperato, negli anni finali delle
scuole superiori, un rapporto soddisfacente con la poesia, ma a mio
parere l'hanno fatto a livello prevalentemente estetico perché credo
che per amarla e comprenderla veramente bisogna aver vissuto e aver
provato emozioni profonde e mature. Per come la vedo io, la poesia
deve risuonare in te così come la pura nota di un diapason manda in
risonanza la corda di uno strumento, diversamente è un vuoto
esercizio estetico e retorico.
O
cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna
che portavi colui che non ritorna
Bella
rima, ma solo se sai cosa sia una perdita e come una vita possa,
improvvisamente, non essere più la stessa, diventa una emozione,
solo allora entri in comunione con l'essere umano che l'ha scritta.
Caro Roberto, non ti piacerà la poesia, ma scrivi davvero bene...
RispondiEliminaChe dire? Purtroppo i danni che può produrre un insegnamento sbagliato e un approccio così maldestramente forzato producono poi danni profondi e duraturi.
Per quel poco che posso conoscere di te la sensibilità non ti manca, e infatti da quello che dici su Ungaretti e sugli haiku hai poi trovato un tuo personale approccio alla parola poetica.
Ti consiglio di provare a leggere qualcosa di Wislawa Szymborska, magari cercando in rete o in biblioteca, perun primo assaggio.
Le sue poesie in genere non sono corte, ma sicuramente il linguaggio è quotidiano e non vi sono una metrica e una costruzione classica che possono "disturbare".
Personalmente la trovo straordinaria, anche se non tutto ciò che ha scritto mi risuona nello stesso modo.
Posso consigliarti altri due nomi da "assaggiare"?
Vincenzo Cardarelli e Nazim Hikmet, altri due autori del ❤️
Poi, se vorrai, fammi sapere.
PS
E comunque non è "obbligatorio" frequentare la poesia; però, se si trova una propria personale via di accesso, credo possa dare molto.