“Ho
votato Bersani, ma se tornassi indietro non lo rifarei”. Queste
le parole di Peppino Caldarola, proferite durante una puntata di
Omnibus, su La7, di alcuni giorni fa.
Le
ragioni di questa tombale dichiarazione il giornalista le individua
nella, a suo dire, scriteriata gestione che Bersani ha sviluppato
successivamente al voto.
Non
mi è chiaro chi Caldarola voterebbe se potesse tornare indietro.
Renzi? Non mi sembra coerente con le sue convinzioni di comunista di
lungo corso, figuriamoci Tabacci. Forse la Puppato? Grande donna,
a mio parere, ma ancora acerba per una scena nazionale. Senz'altro
non il Vendola da lui molto spesso ritenuto sostanzialmente
ininfluente. Non lo so cosa farebbe Caldarola e, dopotutto, non me
ne importa nulla.
Ai
tempi delle primarie la grande scelta, in tutta evidenza, fu tra il
rappresentante di una spregiudicatezza blairiana (Renzi)
programmaticamente nuovista e l'epigono (Bersani) di una concretezza
padana, continuatrice di un'antica e nobile tradizione, quel
socialismo sempre più irriso per la sua vetustà proprio mentre,
invece, i disastri sociali lo definiscono di grande attualità,
analitica se non progettuale. Vendola, con la sua grande
passione, ma anche con la sua ben prevedibile marginalità, partecipò
ridotto alla funzione di sostegno esterno all'anima “di sinistra”
di un PD in cerca di se stesso.
La
proposta di Renzi, foriera di pragmatici ammiccamenti verso un
liberismo disastroso, ci venne
comunicata avvolta in scoppiettanti slogan di “grande efficacia
comunicativa”, personificata con atteggiamenti di disinvolta e
spazientita modernità da parte del suo propugnatore (e da
piagnucolosi distinguo dei suoi supporter).
In
contrapposizione vi fu la proposta di Bersani, contraddistinta
dall'ormai proverbiale inconsistenza comunicativa del PD. Una
proposta di assunzione di responsabilità nei confronti del disastro
che stiamo vivendo, di una road map, non sufficientemente
esplicitata, di ricostruzione del decoro istituzionale, della
situazione economica e di un progetto di futuri assetti da nazione
moderna ed europea.
Bersani,
come tutti sappiamo, vinse sulla fiducia, ma solo all'interno del PD
e non definitivamente. La nazione, al momento del voto, non seppe
decidersi tra il distacco dell'astensione, l'insensato credito verso
quello stesso Berlusconi che ci cacciò nel guano in cui ci
dibattiamo, la conturbante promessa di improbabili nuovi processi
democratici espressa da un M5S tra il forcaiolo e l'innovatore ed un
PD che non è riuscito a rassicurare a sufficienza né gli elettori
né se stesso.
Monti, infine e a grande distanza, riuscì solo a
soccorrere il boccheggiante “grande” centro, innestandogli un po'
della sua residua rendita di posizione, in rapido disfacimento
peraltro.
Emerso
dalla contesa elettorale con una vittoria tanto risibilmente tecnica,
Bersani si è ritrovato praticamente “castrato”. Il potere
interdittivo del PDL sostanzialmente intatto, un M5S intollerante ed
atterrito dal suo stesso successo ed il pronto risveglio delle
componenti più retrive e compromissorie del PD, temporaneamente
contenute ai tempi delle primarie, hanno consegnato al povero
segretario, ben lontano dal possedere le doti risolutorie di un Ethan
Hunt, la classica “mission impossible”.
Una
vera e propria via crucis si è dipanata da un “preincarico”
espresso da un circospettosissimo Presidente della Repubblica dotato di inossidabile
propensione verso una mortifera Große
Koalition in salsa italiana.
Il
primo, e unico, passo fu in direzione di M5S, il giusto
riconoscimento di un'ansia di rinnovamento espressa dall'elettorato,
ma la porta venne chiusa, e malamente, in faccia.
A
molti brucia lo sprezzante “non ce ne frega niente”
ripetutamente espresso dall'intellighenzia pentastellata, mentre
della relativa base non è dato di sapere con certezza, visto che
nessuno ha mai quantificato credibilmente la consistenza del
dissenso, opportunamente derubricato a trollismo mercenario e
controrivoluzionario.
Il
tentativo, comunque, andava fatto e pure reiterato, anche a costo di
fare figuracce. A imperitura memoria, infatti, dovrà essere ben
chiara ed individuabile la quota di responsabilità storica di M5S
nella spinta verso la resurrezione definitiva (e mortale) delle ansie
inciuciste del PD.
Tutti
sanno che, chiusa la strada di un'alleanza con Grillo, rimangono solo
nuove elezioni con una legge disgraziata che ci riconsegnerebbe la
stessa identica situazione, oppure la pratica di larghe intese con
una controparte inaffidabile e mendace, e tutti sono ben contenti di
attribuire la responsabilità esclusiva della scelta a Bersani, curando così i
propri interessi di bottega senza pagarne lo scotto.
Grillo
stressa il PD, il suo vero avversario, e vaneggia di democrazie
digitali, al presidente/imprenditore, quello che "ha a cuore
l'Italia", interessa solo di emergere intonso dai suoi guai
giudiziari e ricatta tutti pretendendo un presidente “amico” e
Bersani, che certo non sta facendo una grande figura, si piglia tutti
i fischi, ma fra tutti non è certo il peggiore.
Si
dà addosso a quello che ha vinto perdendo e ci si dimentica di
quelli che hanno perso vincendo e che stanno cinicamente lucrando
sullo stallo determinato dalla frammentazione dell'elettorato.
Tutti,
compreso il Caldarola che non voterebbe più Bersani, ritengono che
si dovrà andare verso le larghe intese, sapendo già quale funesto
esito ne deriverà, ma si guardano bene dall'esprimerlo con chiarezza
e si infuriano se Bersani si ostina a non favorirli in questo.
Ora
vedremo chi diventerà Presidente della Repubblica e poi, quasi
senz'altro, ci imbarcheremo in qualche forma di governo promiscuo e
dalla fantasiosa, e farisaica, definizione.
Andremo tutti a sbattere ed il PD dovrà affrontare tutte le conseguenze della sua pluriennale indeterminazione, lo stesso PD che ora si affanna a dire che l'ipotesi scissione non è credibile, ma io sono quasi giunto a sperare che non sia così.
Le prove tecniche
d'inciucio, l'emergere sempre più prepotente delle due anime, quella
cattolica e quella socialista che non sono mai riuscite ad
amalgamarsi veramente, e dei loro notabili, bonzi dediti alla manovra
correntizia ed alle pratiche egemoniche, la costante mancanza di
coraggio e la pervicace solerzia nel percorrere strade antiche e
fallimentari. Meglio forse il dissolvimento.
Come
dice Travaglio, che pure ne gode e lo odio per questo, nel suo
articolo “Progetto forconi”: gli elettori PD sono stati fin qui
troppo pazienti. Sto leggendo il documento di Barca, corposo e non
facile, perché sono alla ricerca costante di qualcosa che mi
riconcili con l'idea di un grande partito che tenga in conto le
istanze di chi lo vota.
Ultima
fermata, mi sa.
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