venerdì 20 marzo 2020

La fragile "democrazia pandemica".

Scusate, sarò più prolisso del solito, ma solo Trump pensa che un tweet basti e avanzi, e tra le mie poche qualità quella del dono della sintesi brilla per assenza.



Questo articolo (qui il link) mette nero su bianco le preoccupazioni di molti di noi, talvolta declinate in chiave complottarda, ma più spesso con la sincera preoccupazione di chi sa quanto sia delicato l'assetto democratico.

I più anziani tra noi ricordano i tempi bui del "terrorismo di stato" e dell'uso criminale e liberticida che venne fatto della paura, ma si stanno scordando che quei disegni vennero alla fine sconfitti dalla risposta immunitaria della gente che rigettò quel disegno.     Sembrano anche sottovalutare che quelle bombe furono un'azione consapevole di chi voleva destabilizzare, mentre questa pandemia, al netto delle letture complottistiche, è un evento statisticamente atteso, una disgrazia non meno naturale di altre, come i terremoti.

Come in altre disgrazie naturali, ovviamente, sono le scelte strategiche fatte prima dell'evento a marcare il grado di difficoltà che sperimentiamo nell'affrontarle.

In questo caso paghiamo la visione aziendalistica della sanità, vista come lucrosa attività e non invece, come dovrebbe essere,  quale settore che assicura il benessere ed il regolare funzionamento di una società, oltreché il diritto fondamentale alla salute e all'assistenza medica.

Inoltre non sono più tra di noi i più anziani, quelli che vissero una o anche due guerre mondiali, e che non sentivano la sopravvivenza come un "diritto acquisito" e che dunque, al contrario di noi occidentali (in altre parti del mondo la cosa è differente), non si sentono traditi per il brusco contatto con la fragilità umana cui siamo oggi costretti.

Molte persone si sentono smarrite, tradite, spaventate e spesso danno risposte esageratamente emotive.    Hanno fin qui vissuto il tutto tracciando una parabola classica nelle fasi che la compongono.  
Iniziale sottovalutazione, risposta irridente, perfino "guascona", presunzione di immunità a prescindere, avversione ideologica alle prime restrizioni, coltivazione compiaciuta dell'italico individualismo che ci contraddistingue.

Poi i primi dubbi, esorcizzati con i flash-mob, i canti alle finestre, gli hashtag auto-motivazionali (#andràtuttobene), chiari segni di un panico a malapena contenuto e pronto a scattare.  Chi, solo una settimana fa, trattava con condiscendenza noi poveri idioti che esortavamo a ridurre le uscite, ora si apposta alle finestre e insulta i passanti, perché adesso deve prendere atto che pure il suo importantissimo culo è in gioco.

Dunque il panico ti fa invocare le restrizioni che fino a poco fa ti andavano strette, e pretendi l'esercito nelle strade, con amministratori locali e politici che non aspettavano altro che questa vidimazione popolare.   Per converso le maggiori restrizioni fanno scattare la natura oppositiva di altri, che a quel punto e improvvisamente da olimpionici del divano si tramutano in maratoneti kenioti, smaniosi di frequentare parchi e giardini, cosa che giustifica ancora di più la stretta impositiva sulle libertà personali perché, per quanto possa essere strumentalizzata, la circolazione ridotta al minimo indispensabile è al momento l'unica profilassi possibile.

Sta di fatto che le perplessità sulla tenuta del sistema democratico si fanno più pressanti e l'articolo che ho linkato più sopra costituisce una buona riflessione sull'argomento.
Il danno maggiore, secondo me, viene dalla decisione presa inizialmente, non so quanto "incosciente" e quanto" incompetente", di ventilare una risoluzione dell'emergenza a quindici giorni. Una cosa irrealistica, decisa forse per sostenere il morale. 

Un piccolo sforzo e poi ne saremo fuori, ci hanno detto, ma i più avveduti tra di noi, e devo dire che siamo la maggioranza, non pensava veramente che sarebbe andata così, e infatti ora siamo in molti a non essere per nulla stupiti del fatto che "si vada lunghi".

Il problema però è che chi invece ci aveva creduto, soprattutto chi aveva bisogno di crederci, ora si sente tradito, e magari fosse solo questo. Il fatto è che si tratta delle persone che, caratterialmente ed emotivamente, sono tra quelle più facilmente soggette a farsi prendere dall'agitazione, quando non dal panico.

Hanno "voluto" credere al decorso sprint, anche se irrealistico, perché non volevano prendere in considerazione altre ipotesi, ed ora si trovano a sbattere la faccia contro ai loro timori, tra l'altro con molto tempo per pensarci e poche cose da fare per concentrarsi su altro.

Certo che ci sono pericoli per l'impianto democratico, e non voglio pensare cosa sarebbe successo se al comando ci fossero stati Salvini e la Meloni, con le loro suggestioni dittatoriali, ma il fatto è che non ci sono solo quei pericoli e, per quanto importante sia la democrazia, al momento abbiamo anche un altro problema che contende, per così dire, la vetta della classifica.
Si, perché noi ora noi abbiamo per le mani un bel problema. L'emergenza giustifica le pesanti limitazioni, l'individualismo sfrenato di molti da una parte pregiudica l'efficacia dei provvedimenti, dall'altra sollecita giri di vite che possono diventare pericolosi, se non tenuti sotto controllo, e il panico comincia a serpeggiare, grazie anche a quella iniziale sottovalutazione, che si è rivelata un autogol. E il panico è una brutta bestia, che chiama molti comportamenti sbagliati, personali, sociali e politici.

Maggiore autoritarismo è la risposta sbagliata, ma anche un malinteso sentimento democratico a prescindere è sconveniente.
Non credo ci sia una risposta "prét a manger" per la problematica in questione.

Dobbiamo aumentare la vigilanza democratica, ma come noto gli incendi non si spengono spiegando loro che sono devastanti.

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