sabato 6 aprile 2019

Tutti abbiamo dentro un omino piccolo e miserabile.

Farò coming out dichiarando che nutro una grande diffidenza verso gli appartenenti all'etnia rom.
Ho questo sentimento per due ragioni, una antropologica e l'altra esperienziale.
La prima discende dal fatto che sono stato addestrato a diffidare degli zingari fin dalla più tenera età con le stesse modalità con le quali sono stato avviato a ritenere gli omosessuali degli scherzi di natura intrinsecamente amorali, le donne esseri inferiori e l'uomo nero un pericolo a prescindere e unico soggetto in grado di contendere allo zingaro il ruolo di babau. L'unica cosa che mi è stata risparmiata è stata l'esposizione all'antisemitismo, perché del tutto assente nella mia famiglia e negli ambienti che frequentavo

Quell'addestramento precoce è un sistema ultrasperimentato e molto efficace grazie al quale considerazioni di ogni tipo, soprattutto quelle arbitrarie e ideologicamente autoreferenziali, vengono inculcate nel soggetto fin dalla più tenera età, senza alcun elemento dialettico e al solo scopo di poterle poi contrabbandare come naturali e istintive, giuste insomma, e talmente autoevidenti da non giustificare alcun ripensamento.

La seconda ragione discende da alcuni pessimi incontri ravvicinati con alcuni esponenti dell'etnia rom, che sembravano ritenermi una sorta di bancomat bipede di cui disporre liberamente, in quanto gagè (non rom).
Nel corso della mia ormai piuttosto lunga esistenza, sono stato il bersaglio delle attenzioni indesiderate e malavitose di ogni tipo di persona, di ogni estrazione sociale e provenienza etnica, ma non tutti sono inclusi a priori nella categoria dei reprobi a prescindere come gli zingari, che infatti occupano una nicchia ecologica specifica nei miei timori presuntamente atavici. Sono stato però cresciuto anche venendo messo a contatto con valori elevati, quali la solidarietà, la tolleranza, l'egualitarismo, tutte cose che hanno costituito l'orizzonte etico della mia vita pur con tutte le contraddizioni e la fatica che discendono dalla natura umana, e ho fatto sempre un consapevole sforzo per non cedere alle lusinghe della via più comoda, attenendomi rigorosamente e al meglio delle mie limitate capacità al dettato che quei principi comportavano. Naturalmente quello sforzo consapevole mi ha messo in un bell'impiccio quando ho dovuto fare i conti con i condizionamenti di cui sopra, e non sempre i risultati mi hanno dato la soddisfazione cui aspiravo. Non considero più, e da molto tempo, le donne degli esseri inferiori, anche se come tutti ho a che fare con i cascami di un assetto antropologico e perfino linguistico che complotta per mantenerle, oggi più che mai, in miserabile abiezione. Neanche ho timore dell'uomo nero, dato che sono acutamente consapevole, da nipote di immigrati, che ancora oggi in molti posti sono considerato una specie di negro inaffidabile, in quanto italiano, e se trovo la cosa ridicola non posso certo macchiarmi degli errori che sono così pronto a rimproverare ad altri. Con maggiore fatica ho recuperato un atteggiamento neutro nei confronti degli omosessuali, perché il tema ha fruito di particolare attenzione da parte della Chiesa, che sull'argomento si è accanita in modo particolare e con complicanze dovute alla criminalizzazione di tutto ciò che può avere qualche attinenza, diretta o indiretta, o anche solo larvale o potenziale, con la sfera sessuale. Non ho, intellettualmente, alcuna preclusione verso l'omosessualità, ma le sue manifestazioni in pubblico mi causano tuttora disagio, segno che l'imprinting fu efficace e perfidamente tale. Dove però ho conseguito il risultato più insoddisfacente in assoluto è stato nel recuperare un pregiudizio nei confronti del popolo rom, e la cosa mi disturba profondamente, anche perché le ragioni per le quali sono risultato resistente agli altri condizionamenti dovrebbero essere valide anche in questo caso, ma non è proprio così. In questi giorni la cronaca riporta della sollevazione popolare, accuratamente coltivata dai fascisti del XXI secolo di CasaPound, e i fatti mi hanno dato da pensare. Gli abitanti di un quartiere difficile di una Roma problematica e trascurata sono stati, in tutta evidenza, esposti alle medesime manipolazioni mentali di cui mi lamento a mia volta, ma hanno dato una risposta, all'iniziativa contro la quale si sono ribellati, cui io mi sarei opposto con tutte le mie forze, pur in preda a intimi tormenti.

Perché invece loro hanno avallato una smaccata manipolazione politica in quel modo? Perché si sono scagliati con la bava alla bocca contro dei disgraziati che sono solo marginalmente più disgraziati di loro stessi? Perché quegli indici stesi, nell'universale gesto di spregio aggressivo, quel pane calpestato, quegli occhi sbarrati, quelle urla, quell'astio così totale, tanto da sconfinare nel liberatorio? Io credo sia perché in questo paese vaste parti della popolazione sono rimaste senza alcuna rappresentanza, con bisogni e aspettative inaccudite ed un costante peggioramento dei propri parametri, in balia di una precarietà tormentosa che fa apparire il futuro buio e senza prospettive, immolati sull'altare delle esigenze di chi dispone delle loro esistenze liberamente e per il proprio tornaconto. Persone di cui ci si ricorda solo quando si ha bisogno di una muta di cani da aizzare, col doppio risultato di sistemare un punto programmatico politico, ma veicolando su terzi un risentimento che ha bisogno di sfogarsi senza produrre il mutamento che le salverebbe. Un tempo esisteva qualcosa che organizzava gli ultimi, rivendicava la loro dignità e costruiva con loro e per loro una prospettiva, ma ora quel qualcosa non c'è più, anzi ha tradito passando nelle fila del nemico di classe. Sono rimasti solo i soliti tribuni della plebe, che dicono quello che serve, quando serve, a gente che è sotto ricatto. Lo so, non è la mia un'analisi particolarmente innovativa, anzi, del resto siamo di fronte ad uno schema classico, esaminato in dettaglio da intelletti molto più affilati del mio e già molto tempo fa. Il fatto è che siamo come criceti nella ruota e il giro ci sta riportando nei pressi della cupezza metropolitana della prima rivoluzione industriale. Vasti eserciti di braccia astutamente tenute inoperose per spuntare salari indecorosi in condizioni sanguinosamente inadeguate. Dentro ognuno di noi dorme un ometto piccolo e miserabile, che emerge quando siamo prostrati e privi di prospettive, come certe schifose malattie della pelle. Io quell'ometto ce l'ho dentro, ne sono consapevole e provo vergogna. Lo contrasto in ogni modo possibile, e seppure con esiti ondivaghi e mai definitivi, riesco a contenerlo abbastanza da non macchiarmi di comportamenti che non saprei perdonarmi, ma forse ciò mi riesce perché non sono ancora abbastanza disperato. Forse a Torre Maura troppi hanno valicato un confine di cui io, fortunatamente, non vedo ancora i segni. Poi ci sono quelli che i rom li odiano per pura e semplice ideologia, insieme a negri, giudei, zecche rosse, buonisti ed altri subumani, e che li odiano anche se non hanno alcuna difficoltà a sbarcare il lunario e, anzi, spesso se la cavano più che egregiamente. Ecco, questi ultimi quell'ometto non ce l'hanno DENTRO, quelli SONO l'ometto, e dentro non hanno nulla, solo un odio ancestrale e una presunzione di superiorità del tutto immotivata. Loro non hanno incertezze. Io, a questo punto, mi tengo care le mie contraddizioni.

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