lunedì 29 aprile 2019

Sono un uomo fortunato.

Sono un uomo fortunato. In 65 anni di vita non ho mai sofferto i morsi della fame. Da piccolo la mia famiglia non nuotava nell’abbondanza. Mio padre era commesso di banca e in famiglia eravamo in sei, compresi i miei nonni paterni, che partecipavano al bilancio familiare con una striminzitissima pensione.

Mia madre contribuiva facendo le asole ai vestiti per conto dei sarti del quartiere. A nove anni, essendo incaricato degli acquisti presso la merciaia di via Caposile, avevo già una vasta conoscenza dei filati vari, virgolina, filofort e cotone da imbastire. I miei vestiti erano tutti acquistati ai Magazzini All’Onestà, una catena che offriva prodotti di qualità non eccelsa, ma a prezzi molto convenienti, o passati da cugini più grandi.

Il televisore fece il suo ingresso trionfale in casa con comodo, quando frequentavo la terza media e mio padre venne promosso impiegato di II classe, con conseguente aumento della capacità di spesa. Il magico elettrodomestico, un modello americano che somigliava molto ad un monitor da laboratorio, precedette di poco il frigorifero, messo in un angolo del tinello, dato che il cucinotto era troppo piccolo per accoglierlo.
Prima c’era solo una ghiacciaia che veniva tenuta sul balcone, per la quale venivo mandato in strada a comprare cinc ghei de giass, ovvero 5 soldi (lire) di ghiaccio, quando passava il venditore che arrancava sul suo triciclo a pedali, con le stecche di ghiaccio sotto ad un vecchio telo di iuta.

La macchina venne ancora dopo, e si trattava di una vecchia Ford Consul, con già cinque passaggi di proprietà sulle spalle, una certa tendenza a consumare olio e, ricordo, i tergicristalli ad azionamento pneumatico che, talvolta, non si spegnevano più dopo che la pioggia era cessata.
Un'altra fastidiosa irregolarità stava nella sua abitudine a bloccarsi nella terza marcia (non esisteva una quarta) per qualche imperfezione nei leveraggi del cambio, cosa che obbligava ad una sosta presso un meccanico dotato di ponte elevatore per lo sblocco manuale. I giocattoli si vedevano solo una volta l'anno, in occasione della Befana del Banco di Sicilia, ma erano belli, numerosi e appagavano me e mia sorella per i successivi dodici mesi. Ma non ho mai sofferto la fame, e neanche il freddo, dato che i miei vestiti erano senza pretese, o magari riadattati, però sufficientemente caldi.
Alcuni miei compagni di classe, il Calvairate era un quartiere popolare ed operaio, non erano altrettanto fortunati. Il mio più caro amico d'infanzia ha mangiato catalogna ogni sera fino alla fine della scuola dell'obbligo. Non ho mai sofferto la fame e neanche avevo la cognizione di essere situato nella parte medio bassa della piramide sociale. Tutti, intorno a me, vivevano in condizioni analoghe alle mie e tutti potevano sperare in qualche tipo di progresso, che arrivava lentamente, ma con una certa sicurezza. Assolti i miei obblighi di leva non faticai a trovare impiego, a quei tempi qui al nord la disoccupazione non era un problema, anche se non sempre lo stipendio era soddisfacente. Ho svolto diversi lavori, alcuni molto faticosi e poi sono approdato nella stessa banca ove aveva lavorato mio padre, con la prospettiva di rimanere ancorato ad incarichi strettamente operativi e ben lontano da quelli che costituivano il settore più qualificato ed aristocratico, ostacolato da un titolo di studio - perito meccanico - che con il settore bancario non aveva nulla a che fare. Le cose poi non andarono esattamente così, perché grazie alla rivoluzione informatica divenni in breve l'omino dei computer, incarico che mi diede molta autonomia e grandi soddisfazioni e poi, una volta che quel settore venne conferito ad aziende esterne, già quasi cinquantenne, mi applicai con una certa difficoltà ad una riconversione professionale che venne coronata, alla fine, dalla qualifica di Gestore Imprese nel settore Corporate. La mia condizione di impiegato bancario, date le caratteristiche economiche del contratto di lavoro del tempo, mi diedero l'accesso ad una tranquillità economica che, date le mie condizioni di partenza, ritenevo poco meno che sibaritiche, e di cui oggi i miei colleghi non hanno più alcuna nozione, dato che i livelli stipendiali e le condizioni generali del settore si sono nel frattempo molto deteriorate.

Ho dunque vissuto in ristrettezze, ma senza rinunce dolorose, e poi ho compiuto una traiettoria che mi ha reso un uomo tranquillo fino quasi verso la fine, quando è divenuto evidente che le vacche sarebbero diventate magre piuttosto alla svelta e che la mia vecchiaia avrebbe potuto diventare più faticosa di quanto avevo preventivato. Soprattutto non mi rassegno all'idea che mia figlia, al contrario di quanto avvenne nel mio caso, vivrà una vita più faticosa ed incerta della mia. Oggi manca un'ingrediente fondamentale, che invece era profondamente intessuto nelle condizioni della mia infanzia, della mia adolescenza e in generale di quasi tutta la mia vita, fino a prima del tonfo finanziario del 2008.

Si tratta di un ingrediente che rendeva le condizioni di vita sopportabili anche se, in un dato momento, piuttosto faticose, ed era la fiducia che, applicandosi con una certa costanza, il miglioramento fosse un fattore praticamente inevitabile. Oggi è quasi impossibile congegnare un progetto di vita, mancano le basi per poterlo fare. Si vive alla giornata, passando da un lavoretto ad un altro, inframmezzati da tormentose inoperosità mitigate da redditi genitoriali che, prima o poi, verranno a mancare.

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