In
risposta ad un amico e collega che è intervenuto in una discussione,
ho scritto un commento che ora vorrei depositare qui, in una forma
autonoma.
Io,
nella vita, avrei dovuto fare altro che lavorare per 36 anni in una
banca. Il mio dequalificatissimo diploma è di maturità
tecnica industriale,
e avrei dovuto operare nel campo della meccanica.
Invece
ho lavorato quale monachello
di
uno degli ordini minori della grande
chiesa del denaro
anche
se, al suo interno, per circa la metà del tempo, e nella parte
centrale della mia carriera,
quella che più mi piacque e che mi diede più soddisfazioni (solo
personali), mi sono occupato di vari aspetti dell'informatica, delle
telecomunicazioni e anche di formazione.
Fui
propriamente bancario all'inizio del percorso, da peone
di
un ufficio posizioni conti correnti, quando mi immersi negli aspetti
più operativi e, apparentemente, di basso livello del lavoro
bancario.
Dico
apparentemente perché, ai tempi e grazie al quasi inesistente
supporto di un centro elettronico ancora distante e basato su schede
perforate,
la tenuta contabile dei conti correnti, la gestione dei quadri valute
e dei portafogli effetti, con tutta la complessa attività relativa a
pagamenti, ritiri e proroghe, consentiva di avere una solida
conoscenza dei meccanismi alla base del lavoro bancario e del
funzionamento di fidi, esposizioni contabili, disponibilità e saldi.
Una
cosa che poi colleghi più giovani, assunti quando certi processi
vennero completamente automatizzati, non riuscirono mai a
padroneggiare, perdendoci molto in consapevolezza e capacità di
comprendere veramente la natura del lavoro che erano chiamati a
svolgere.
Tornai
ad essere un vero
bancario
nella parte finale del percorso, prima quale assistente alla
clientela, con lo sgraditissimo compito di proporre investimenti e
strumenti finanziari dei quali diffidavo profondamente (infatti ebbi
valutazioni pessime), e poi divenendo analista
fidi,
assistente nel settore corporate e, infine, gestore imprese, con un
certa soddisfazione, perlomeno fino a quando, comprati
dalla
grande banca, fui obbligato a lavorare in modo tale da richiedere io
stesso di venir demansionato
nuovamente
ad assistente, dato che per me il cliente è da servire e non da
usare.
Devo
forse al fatto di non essere né ragioniere né laureato in economia
l'ingenua convinzione iniziale, poi azzerata dall'esperienza, che la
borsa valori fosse realmente il posto nel quale investitori e
imprenditori si incontravano con reciproco vantaggio, per mettere in
comunicazione la disponibilità finanziaria con la produzione di beni
e servizi.
In
realtà è il posto nel quale gente con molti soldi, o molto appetito
e non necessariamente facoltosa, va a scommettere, come in un casinò
qualsiasi, ma con la speranza/presunzione/convinzione di farlo con
minore aleatorietà.
La
sostanza oggettiva della finanza, intesa come disciplina
economica che studia i processi e le scelte di investimento e
finanziamento,
è sempre stata slegata dalla realtà produttiva delle attività
umane, traendo da queste, al massimo, i presupposti iniziali, ma
divenendo immediatamente autonoma.
La
finanza scommette
tanto
sul successo quanto sul fallimento
delle
imprese, anzi finisce che i guadagni più grossi ed immediati li
consegue su ciò che deraglia più che su quello che costruisce
positivamente valore aggiunto.
La
fase crepuscolare del capitalismo, quella che stiamo vivendo,
caratterizzata da mercati maturi (anzi scaduti),
risorse in esaurimento e margini in contrazione non può che
stimolare la metastasi finanziaria e incautamente speculativa, anche
perché la visione prospettica del capitalista da manuale raramente
si spinge oltre la prossima assemblea degli azionisti, e solo per i
più lungimiranti quello è l'orizzonte, per tutti gli altri, la gran
parte, si arriva alla semestrale,
o anche meno.
Cosa
gliene cala se tutte le sue ingegnose invenzioni, il suo costante
sollevarsi
per i lacci delle scarpe,
costruiscono il disastro prossimo venturo, se l'effetto cumulativo
dei suoi dissennati scherzetti
è
la più convincente dimostrazione del concetto canonico di entropia?
Nulla!
Non gliene cala nulla. Conciona continuamente sull'inesistenza di
pasti
gratis
e
poi si infila in tasca fette di roastbeef dal vassoio del ristorante.
Il
pensiero liberista ha impiegato molto tempo e risorse per darsi un
supporto teorico, ma alla fine si tratta solo di scommettere, e se si
riesce farlo in modo sporco
tanto di guadagnato.
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