martedì 1 ottobre 2019

Certe scelte sono un lusso... e non risolvono i problemi.


Con una dinamica inversa, rispetto a quanto faccio normalmente, un mio post su Facebook diventa un articolo sul mio blog che accoglie i:
"Pensieri sparsi di un anziano sessantottino che contempla un mondo che ha imboccato una strada ben diversa da quella che si aspettava".  
Lo faccio per dare una base più permanente e più agevolmente rintracciabile ad una riflessione che altrimenti perderei , e in breve tempo, nel mare magnum dell'ambiente social.



Mi ero ripromesso di non scrivere più la parola vegano nei miei post, perché quando lo faccio finisco poi per accapigliarmi con persone che stimo, anche se non ne condivido le scelte, ma i tempi sono quelli che sono e i sintomi evidenti del dissesto ambientale occupano sempre più spesso le nostre esternazioni.


Questo significa che sempre più spesso viene individuata nella scelta vegana una possibile via d'uscita dal problema, seppure su basi che neanche sfiorano il cuore morale di quella scelta, dimostrando dunque che, a dispetto di un'apparente convergenza, i vegani rimangono ben fraintesi.

La scelta vegana in realtà non è in sé risolutiva, e neanche credo pretenda di esserlo, ai fini ambientali perlomeno.   Penso si possa definirla una scelta morale il cui limite, almeno per come la vedo io, sta nel fatto che è maturata in una situazione di abbondanza, e consentita da presupposti che sono propri di un contesto avanzato e, dunque, intimamente dissipativi.

Essere vegani non comporta solo adottare un'alimentazione differente (e non conforme alla nostra natura vorrei aggiungere, almeno in base alle nostre caratteristiche fisiche intrinsecamente onnivore), ma anche il rifiuto di utilizzare oggetti, additivi, indumenti ed accessori derivati dagli animali.

Questo significa, per gli indumenti, che è necessario evitare pelle, cuoio e lana, ma anche trattamenti di fibre vegetali con sostanze derivate da fonti animali. Ne deriva che i nostri piedi dovrebbero calzare zoccoli con tomaia in fibra vegetale, e i calzoni andrebbero sorretti da un tratto di corda, oppure dovremmo fare massiccio ricorso, come già sta avvenendo, a fibre sintetiche, spesso malsane a contatto con il corpo, e che hanno una bella fetta di responsabilità nel dissesto ambientale. Ma pure vestirsi di cotone e lino, nei nostri rigidi inverni, presenta qualche controindicazione.

Però non si tratta solo di individuare criticità o contraddizioni, vere o presunte, nella scelta vegana, perché credo che il problema vero stia nel fatto che siamo troppi, e che dunque qualsiasi opzione circa la nostra alimentazione, ma più in generale per ogni nostra attività, metta in crisi l'ambiente e le nostre prospettive non solo di benessere, ma anche di sopravvivenza.

La scelta morale di non cibarsi di carne può avere importanti e benefiche conseguenze sull'ambiente, vanificate però dal fatto che, rinunciando alle fibre sintetiche, per via delle loro implicazioni, dovremmo decidere se porre il terreno coltivabile al servizio della produzione alimentare, a discapito di quella tessile, o viceversa, perché vestire e sfamare 7 miliardi di persone, a crescere, non è semplice.

Se poi dovessimo andare incontro ad un collasso a questo punto non così improbabile, con perdita, o estrema penuria, di carburanti fossili e base industriale insufficiente a sostenere la produzione di energia da fonti rinnovabili, quanti vegani accetterebbero di trainare personalmente il vomero che dissoda la terra ed il carro che trasporta i prodotti agricoli? Perché naturalmente sfruttare buoi o cavalli per compiere un lavoro per loro innaturale sarebbe profondamente immorale.

Siccome credo che nessuno accetterebbe di compiere certi massacranti lavori, ne consegue che dovremmo decidere le quote di terreno da riservare alla produzione tessile, a quella alimentare e a quella per il sostentamento animale.

A quel punto, essendo noi così numerosi, non potremmo far altro che contendere quei terreni alla popolazione animale selvatica, che dunque tenderebbe a cibarsi delle nostre colture, costringendoci a reagire abbattendo gli incursori.

Ripercorrendo poi un sentiero già battuto agli albori della nostra storia, utilizzeremmo i capi abbattuti per rifornirci di proteine, pellame ed ogni altra parte utile.

Forse il problema, complesso, prevede soluzioni altrettanto complesse, ma d'altra parte arretrare industrialmente potrebbe, vedendola cinicamente, risolvere il problema demografico mietendo vittime per fame e malattie, riducendo dunque l'impatto antropico, ma lasciando una situazione di arretratezza nella quale i presupposti per una scelta vegana non ci sarebbero proprio.

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