sabato 17 novembre 2018

La fine di un sogno, ovvero quando la toppa è peggiore del buco.



In questi giorni un numero crescente di senatori pentastellati, ma analogo processo si agita nelle fila dei deputati, si ritrova a valutare la possibilità di non seguire gli ordini di scuderia che vengono loro impartiti.

La forte pulsione alla disobbedienza è il frutto avvelenato di un altrettanto forte disagio causato da ciò che il personale politico grilliano viene sollecitato ad approvare in aula, sempre più distante dalle promesse elettorali grazie alle quali il loro movimento, divenuto il primo partito italiano, si è insediato al governo della nazione.

Che le cose fossero destinate ad incancrenirsi lo si vide già ad inizio legislatura quando, verificato che la pretesa di conseguire la maggioranza assoluta si rivelò un sogno poco realistico, la strategia M5S, subito in affanno, non trovò di meglio che bussare alle porte di due nemici dichiarati, uno vero e l'altro teorico, per riuscire a capitalizzare un risultato elettorale importante, ma non abbastanza da consentire un monocolore a cinque stelle.

Messo alle strette, e timoroso di quello che un un immediato ritorno alle urne avrebbe potuto generare, lo stato maggiore grillino (eterodiretto da un anziano guitto e da una srl milanese) fece prima una mossa sostanzialmente propagandistica, proponendo una collaborazione al PD, l'arcinemico preso a palate di sterco per tutta la legislatura precedente.

Una mossa solo apparentemente incongrua, fatta solo per incassare il più che prevedibile gran rifiuto renziano e dunque porre le premesse per far digerire ad una base inizialmente stranita il necessario concerto con la Lega, ovvero con la germinazione di un neofascismo privo dell'apparato scenografico meloniano e reduce da un risultato elettorale appena discreto, conseguito peraltro quale membro di una coalizione i cui superstiti sono ora all'opposizione, o giù di lì nel caso dei nipotini del duce di Fratelli d'Italia.

Costruita dunque a tavolino l'oggettiva necessità, M5S si alleò, chiedo scusa, si obbligò contrattualmente con le vecchie volpi padane, che in breve tempo si sono impadronite dell'iniziativa e dell'agenda politiche, privilegiando le proprie battaglie a danno di quelle pentastellate, erodendone costantemente il consenso elettorale.

A distanza di pochi mesi le iniziative più qualificanti del Movimento sono ferme, o depotenziate, oppure ancora rinviate. I voltafaccia - TAV e TAP - si accumulano e le furbate da prima e seconda repubblica - condoni e provvedimenti ischitani ben nascosti dentro urgenze luttuose - si moltiplicano, secondo l'antica prassi democristiana.

Questo è quello che accade quando dei neosanculotti privi di acume e indebitamente spocchiosi scendono dall'empireo delle fregnacce per sbattere il cipiglioso grugno contro la realtà. 

La guida strategica del Movimento è fallimentare, mentre quella della Lega beneficia di una lunga esperienza e di un grado di cinismo terrificante.
Colpa dell'inesperienza? Vi piacerebbe eh? Sorry, no, colpa della presunzione.

Il problema però, dal punto di vista del guitto genovese e della srl milanese, è che alcuni parlamentari pentastellati credevano veramente alla narrazione grillina, e quando si sono proposti come candidati avevano realmente l'intenzione di realizzare il programma che oggi vedono così malamente tradito.

All'inizio hanno tacitato il loro disagio, dandosi il tempo di vedere se si trattava di sbagli o di malafede, ma ora evidentemente non riescono più a chiudere gli occhi di fronte all'evidenza, e dunque si trovano di fronte alla scelta se rimanere fedeli alla propria etica o divenire dei mercenari non migliori dei politicanti che hanno finora criticato con foga.

Alcuni quella scelta l'hanno già fatta e con limpida presa di posizione hanno espresso un voto contrario a quello imposto dall'alto, anche se Di Maio ed altri suggeriscono miserabili interpretazioni legate ad un presunto tornaconto economico, altri invece hanno optato per assenze strategiche o imbarazzate astensioni.

Il gruppo dirigente pentastellato, con piglio cesarista e supremo disprezzo di dialettica e democrazia interne, ha già fatto la faccia feroce, comminato sospensioni e minacciato espulsioni, minaccia peraltro rinforzata dall'impegno a suo tempo sottoscritto dagli eletti - con una clausola smaccatamente vessatoria - a corrispondere una penale ridicolmente elevata di 100mila Euro.

Quell'impegno non è altro che l'introduzione, surrettizia e indebita, di un vincolo di mandato, espressamente vietato dall'art. 67 della Costituzione, che recita:

Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato

Considerato poi che il referente ultimo dei parlamentari grilliani sembra essere la più volte ricordata srl milanese, mi chiedo se valga di più il giuramento prestato alla Repubblica o un impegno di natura commerciale, per di più con evidenti vizi di forma, a favore di un'impresa privata nell'espletamento di un alto servizio pubblico.

Fossi un eletto grillino dissidente andrei a vedere il bluff e mi farei trascinare in tribunale. Non credo infatti che un giudice anteporrebbe gli obblighi di natura costituzionale a quelli di matrice privatistica, e credo che mi potrei prendere una bella soddisfazione.

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