Oggi, esattamente 100 anni fa, lo stato sabaudo entrava in guerra, dopo un percorso parlamentare molto vicino ad un vero e proprio colpo di stato per superare le resistenze dei non interventisti.
La retorica patriottarda monarchica e l'acceso nazionalismo che di lì a qualche anno si sarebbe poi metastatizzato nella genesi del fascismo, ci raccontano che quella guerra fu praticamente la nostra "IV Guerra d'Indipendenza", quella che portò al compimento del "sacro compito" di riunificare la "grande patria italiana" e non, come invece fu, l'ultimo atto di un vasto e continuo lavorìo sabaudo per accrescere i propri possedimenti (ulteriori "guadagni" sarebbero poi stati messi a segno, ma a spese di nazioni e popolazioni che di italiano non avevano proprio nulla, neanche la contiguità territoriale).
E neanche delle ragioni di potere, geostrategiche e di concorrenza tra capitalismi nazionali si fece alcun cenno, anche se furono alla base della conflagrazione del conflitto, rimanendo l'attentato di Sarajevo un mero casus belli e l'incoscienza delle cancellerie europee, non meno dei loro servizi diplomatici, lo "stallatico" che propiziò la regolazione di contenziosi per il tramite delle armi.
Dunque 100 anni fa, sulle note del postumo ed epico inno della "canzone del Piave", cominciava anche per la giovane nazione, appena cinquantaquattrenne, la cui unità risultava ancora largamente incompiuta, la grande mattanza.
Quella guerra segnò anche la prima grande sconfitta strategica del movimento socialista internazionale, che aveva postulato il superamento dei nazionalismi in nome di una solidarità ed appartenenza di classe, immediatamente smentito dalla dirigenza dei partiti socialisti nazionali, primo di tutti quello più forte, quello tedesco.
Cosa dobbiamo dunque festeggiare oggi? Le ragioni ampiamente squalificate dal giudizio storico di chi quella guerra la volle? Il fatto che produsse il mancato appello di un'intera generazione, non nata per via di potenziali padri massacrati nelle trincee fangose?
No, non vi è nulla da festeggiare, ma tuttalpiù da commemorare. Rimane da ricordare ed onorare, ma non nel senso che accordano al termine i militari, il tormento di milioni di uomini uccisi per l'incapacità dei comandi prima ancora che per la micidiale pioggia di piombo che li sommerse, la sofferenza di milioni di invalidi dalle vite stroncate, lo sbandamento di intere famiglie distrutte dai lutti, dalla perdita delle loro povere cose, sfollati, sbandati, sradicati.
Rimangono da commemorare e condannare la distruzione di un equilibrio e la nascita dell'incubo fascista, non meno della mancata soluzione politica di quel conflitto, che fece divenire il successivo dopoguerra niente altro che un intermezzo che conduceva alla II Guerra Mondiale ed ai suoi orrori.
Dunque io non festeggio, ma mi scopro la testa, chino il capo e mi fermo un attimo rivolgendo un pensiero affettuoso a chi pagò con la vita le brame innominabili di chi rimase al sicuro, e canto, sottovoce per non turbare il loro sonno, una bellissima e tristissima canzone, "O Gorizia"
La mattina del cinque d'agosto
si muovevan le truppe italiane
per Gorizia, le terre lontane
e dolente ognun si partì
Sotto l'acqua che cadeva a rovesci
grandinavan le palle nemiche
su quei monti, colline e gran valli
si moriva dicendo così:
O Gorizia tu sei maledetta
per ogni cuore che sente coscienza
dolorosa ci fu la partenza
e il ritorno per molti non fu
O vigliacchi che voi ve ne state
con le mogli sui letto di lana
schernitori di noi carne umana
questa guerra ci insegna a punir
Voi chiamate il campo d'onore
questa terra di là dei confini
Qui si muore gridando assassini
maledetti sarete un dì
Cara moglie che tu non mi senti
raccomando ai compagni vicini
di tenermi da conto i bambini
che io muoio col suo nome nel cuor
Traditori signori ufficiali
Che la guerra l'avete voluta
Scannatori di carne venduta
E rovina della gioventù
O Gorizia tu sei maledetta
per ogni cuore che sente coscienza
dolorosa ci fu la partenza
e il ritorno per molti non fu.
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