La "lunga"
presidenza Napolitano è giunta alla fine e, non volendomi confondere
con Grillo, i suoi seguaci e i numerosi interpreti "fai da te"
della nostra Costituzione, dico subito che il suo "novennato"
non mi è piaciuto quasi per nulla, soprattutto l'ultima parte, ma
solo per via delle scelte che ha fatto e non per il presunto e
pretestuoso addebito di aver "travalicato" le sue funzioni
istituzionali.
Giova ricordare, infatti,
che nonostante le pretese berlusconiane di legittimazione popolare
del “premier”, una figura inesistente nel nostro ordinamento, la
designazione del “Primo Ministro”, figura affatto diversa, è di
stretta competenza del Presidente della Repubblica, il quale lo
identifica tra le personalità che lui ritiene più adeguate
all'esigenza di formare un governo passibile di riscuotere la
fiducia del Parlamento. Solo se quest'ultima non viene conseguita
allora il Presidente ricorre all'indizione di elezioni generali
politiche.
E' quello che è successo
in numerosi momenti e passaggi della storia della Repubblica, senza
che nessuno avesse da ridire.
Dunque Napolitano non ha
fatto altro che interpretare correttamente il suo ruolo. Quello che
gli si addebita è di non essere stato passivo nell'elaborazione del
percorso che la politica italiana ha poi intrapreso, una mancanza di
passività che peraltro gli è stata contestata solo “dopo”,
mentre al momento la classe politica italiana è stata ben felice che
fosse il Presidente a prendersi la responsabilità di “consegnarci”
alla tutela contabile mitteleuropea.
Non dimentichiamoci,
infatti, che il Parlamento, votando la fiducia al governo Monti e
producendo il desolante spettacolo della tragicomica rielezione dello
stesso Napolitano, ha di fatto confermato e convalidato le scelte del
vituperato Presidente. Si potrebbe discutere che il paese avrebbe
potuto essere di diverso avviso, ed io sarei anche d'accordo, ma sta
di fatto che l'elettorato, se è stato tradito, cosa che io penso, lo
è stato dai parlamentari e non dal Presidente.
Napolitano, questo è il mio pensiero, ha anteposto la supina accettazione dei diktat europei alle legittime aspirazioni del corpo elettorale, il quale espresse piuttosto chiaramente una volontà di cambiamento, ma non altrettanto chiaramente il metodo di questo cambiamento, dividendosi tra un partito tradizionale, il PD, e gli arrembanti sanculotti di M5S e producendo, per le diverse interpretazioni dei rispettivi ruoli da parte dei “vincitori” della competizione elettorale, un sostanziale stallo.
Napolitano, questo è il mio pensiero, ha anteposto la supina accettazione dei diktat europei alle legittime aspirazioni del corpo elettorale, il quale espresse piuttosto chiaramente una volontà di cambiamento, ma non altrettanto chiaramente il metodo di questo cambiamento, dividendosi tra un partito tradizionale, il PD, e gli arrembanti sanculotti di M5S e producendo, per le diverse interpretazioni dei rispettivi ruoli da parte dei “vincitori” della competizione elettorale, un sostanziale stallo.
Moltissime sono le
argomentazioni che è possibile svolgere contro la visione
programmatica di Napolitano ed io, in tal senso, non mi risparmio di
certo essendo, tra l'altro in numerosa e qualificata compagnia, una
delle vittime della scellerata riforma Fornero, ma credo che a
Napolitano si possa, al massimo, contestare un “concorso di colpa”,
dove le responsabilità maggiori sono in capo alla dirigenza dei
nostri partiti politici.
Come non ricordare il
clima di smarrimento, se non di panico, che portò l'ultimo governo
Berlusconi a sottoscrivere quella famosa “letterina” che ci
consegnò, legati mani e piedi, al rigore finanziario germanico?
Ebbene in quel clima da “8 settembre”, laddove tutti i nodi di
una ilare e sconsiderata gestione politica, economica e finanziaria
giungevano al pettine, i partiti non seppero far altro che replicare
quel “tutti a casa” morale che nel '43 ci portò a un passo dal
dissolvimento di una nazione allora non ancora centenaria.
Nessuno volle prendersi
la responsabilità di elaborare una decisione qualsiasi, sapendo che
sarebbe stata dolorosa e costosa in termini di consensi. Tutti
furono ben felici di lasciare la cosa in mano a Napolitano, il quale
non si sottrasse, unica figura istituzionale a farlo, e produsse
scelte che noi ora contestiamo, e con più di una ragione, ma che
qualcuno doveva comunque prendere. La colpa maggiore, semmai, è di
chi si rifiutò di generare un contraddittorio, di contribuire ad una
dialettica. Insomma “Re Giorgio” divenne una sorta di
monarca presidenziale, un ossimoro infausto, ma più per diserzione
della gran parte degli attori che per sua usurpazione del potere.
Ecco dunque che mi trovo
a salutare le dimissioni di Napolitano e a valutare negativamente,
nel complesso, la sua prestazione, ma, ripeto, senza dimenticarmi che
altri, più di lui, sono responsabili di gran parte dei problemi che
ci affliggono.
Vedremo ora se questo
Parlamento, ormai così poco rappresentativo del sentimento degli
elettori e in procinto di essere rottamato da un Primo Ministro,
Renzi, che è uno degli “errori” che mi sento di addebitare a
Napolitano, saprà produrre un Capo dello Stato adeguato al momento e
alla bisogna.
Nel
frattempo vorrei ricordare a quei costituzionalisti da Bar Sport, o
da circolo carbonaro, che lo stato di Senatore a vita che compete
agli ex Presidenti della Repubblica, non è un arbitrio del “Signor”
Napolitano, ma un dispositivo previsto dall'art. 59 della
Costituzione della Repubblica Italiana che recita: "È
senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente
della Repubblica". Napolitano
potrebbe
“rinunziare”?
Certamente, ma per sua scelta e non certo perché lo dice Grillo in
una delle sue fantasiose interpretazioni del bon ton istituzionale.
Tra l'altro pochi ricordano che Napolitano era già Senatore a vita
da “prima” di diventare Presidente della Repubblica, essendo
stato nominato da Carlo Azeglio Ciampi il 23 settembre 2005 per
“meriti in campo sociale”.
Alla
fine di tutto io condanno Napolitano? No, io non condanno nessuno,
piuttosto lo critico duramente, ma non per quello che gli viene
comunemente addebitato. E' stato un Presidente rispettoso del suo
ruolo. Lasciato solo nel momento più critico dalle altre funzioni
che regolano, o dovrebbero regolare, il funzionamento della politica
italiana, si è prodotto in alcune scelte strategiche che non
condivido, ma ha assolto il suo dovere.
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