Ho
letto con sgomento della tristissima vicenda del bimbo di Cittadella
messo al centro (e vittima assoluta) di una squassante e prolungata
battaglia tra i genitori, evolutasi fino all'inverecondo episodio di
“prelievo” forzato presso la scuola che frequentava.
Tutti
gli adulti con un livello adeguato di equilibrio mentale, e di
tranquillità esistenziale, non possono che obbedire a quella sorta
di impulso innato (la letteratura scientifica si spinge a
considerarlo un condizionamento genetico) che li stimola ad assumere
atteggiamenti protettivi nei confronti dei bambini.
Anzi,
tale pulsione è talmente forte che, sempre in assenza di condizioni
patologiche o disequilibrate, l'istinto si rivolge anche ai cuccioli
di altre specie.
E'
dunque per questo, credo, che la stragrande maggioranza dell'opinione
pubblica ha reagito alla notizia con una molteplicità di
manifestazioni che, invariabilmente, denotano grande emotività,
grande indignazione e grande desiderio di giustizia declinata però,
quest'ultima, in senso punitivo piuttosto che di riparazione dei
torti.
In sostanza, non potendo agire direttamente in tutela del
bimbo, si cerca di individuare un responsabile, un colpevole più
precisamente, sul quale rivalersi.
Un vero e proprio surrogato
dell'azione diretta che non si è potuta sviluppare, reso ancor più
necessario ed urgente dalla visione del noto filmato, girato dalla
zia del bimbo, così drammatico e duro.
Parlo
da adulto adeguatamente equilibrato, consentitemi, e da padre; se la
sola conoscenza del fatto mi ha generato un sentimento di assoluta
costernazione, la visione delle immagini mi ha indotto un'urgenza
impellente di intervento e di coinvolgimento personale.
Come
tutti infatti sono stato sollecitato dolorosamente dallo spettacolo,
tremendo, di un bambino tenuto per gli arti e sono stato coinvolto
dal sottofondo di una voce femminile che urla la propria
indignazione e richiede, anzi esige, l'intercessione degli astanti,
come solo una donna sa fare (altro segnale ancestrale che, in
condizioni normali, scatena una risposta pressoché pavloviana).
Ovviamente
non ho potuto beneficiare di una catarsi di
questi sentimenti e dell'urgenza che mi avevano indotto. Gli
avvenimenti si erano già svolti e compiuti, altrove per giunta,
quindi avevo solo due possibilità: o scatenare la mia indignazione (la mia frustrazione in realtà) sui responsabili che credevo di
poter individuare, oppure elaborare l'acuto malessere che provavo e
salvaguardare il mio equilibrio, senza cedimenti forcaioli.
Siccome
la penso esattamente come il ministro (o ministra, fate voi)
Cancellieri, ho optato per la seconda possibilità.
Sono
assolutamente convinto che il bambino sia la vera vittima della
situazione. Ritengo anche che qualcuno, probabilmente più di una
persona, abbia assunto comportamenti e decisioni sbagliate e che, in tutta evidenza, la
vicenda abbia coinvolto emotivamente chiunque ne sia venuto a contatto.
Sono
però altrettanto sicuramente cosciente che, in realtà, noi non si
sappia assolutamente nulla dei fatti e del decorso che, alla fine ha
portato a quel terribile esito.
Noi
non sappiamo che tipo di persone siano la madre, il padre o i nonni
del bimbo.
Non abbiamo la minima idea delle condizioni e delle
ragioni che hanno portato al fallimento del matrimonio dei due
genitori.
Possiamo arrivare alla conclusione che perlomeno una
delle parti abbia strumentalizzato la questione dell'affidamento a seguito della dinamica del rancore e della rivalsa che, frequentemente,
si presentano alla fine dei rapporti affettivi, non siamo però in
grado di discriminare le valenza e le responsabilità, in questo
senso, degli attori coinvolti.
Non
conosciamo neppure il dispositivo della sentenza che sancì
l'affidamento al padre. Quali furono gli elementi che convinsero il
magistrato a pronunciarsi in quel modo? Quali competenze abbiamo
per valutare le perizie fornite al tribunale?
Perché
la madre ed i nonni sono così determinati? Perché il padre,
ancorché sostenuto da una sentenza, arriva a tali estremi?
Atteggiamenti così drammatici possono discendere sia da egoismo che
dal desiderio, disperato, di porre fine ad una situazione
insostenibile. Una
delle parti potrebbe anche essere mossa da buone intenzioni, ancorché
attuate malamente. Anzi, ambedue le parti potrebbero essere in buona
fede, oppure tanto egoiste e crudeli da far ritenere più adeguato il
ricorso alla casa famiglia.
Cosa è successo in realtà?
Noi
non lo sappiamo, né potremmo saperlo, in quanto i mezzi di
informazione hanno riferito il fatto (spesso con indecente
opportunismo), ma non hanno circostanziato nulla, perlomeno in prima
battuta. Si sono pilatescamente astenuti dal riferire altro che un
ghiotto evento di sicura evidenza.
L'incontenibile
pulsione a soddisfare la nostra naturale reazione ha prevalso su
tutto, ma non è solo questo.
In
realtà, proprio per la dimensione emotiva della nostra risposta,
dall'esperienza personale di tutti noi non ha potuto fare a meno di
emergere prepotentemente il vissuto più problematico che ciascuno
cela nelle profondità dell'animo. E più tale vissuto è
irrisolto, maggiore è la veemenza della nostra reazione.
Chi ha
sofferto, o ritiene di aver subito torti, per le azioni di un coniuge
ostile o infedele, di un genitore instabile o autoritario, chi nutre
rancori verso le autorità costituite, chi si rimprovera per una
carenza di azioni, magari non più redimibile, verso i propri figli o
ha vissuto l'ostracismo sociale per veri o presunti addebiti inerenti
la propria figura parentale, ebbene tutti costoro non possono evitare
facilmente di sentirsi coinvolti personalmente.
Si urla la propria
opinione, ma in realtà si grida la propria autodifesa o il proprio
risentimento, quando non una mescolanza di questi; comunque si proietta il nostro dolore.
E
ancora, oltre alle prese di posizione di chi si sente passionalmente
coinvolto, onesto seppure parziale e spesso oggettivamente in
errore, vi è anche quella categoria di persone, ciniche e inumane,
che trae un certo conforto (sic!) dalla contemplazione, ingorda e
ributtante, delle altrui disgrazie.
Si tratta di quel tipo di
essere vivente (altri e più precisi termini sono inadeguati)
che, non avendo la capacità o la fibra morale necessarie a vivere
con pienezza e responsabilità la propria vita prende, per così
dire, in appalto le vite altrui.
Costoro si appropriano delle
sciagure vissute da altri per supplire al loro vuoto emotivo azzerando i rischi
personali e detestano e negano le altrui virtù per evitare
sgradevoli comparazioni. E' per questo che si accaniscono
particolarmente in compiaciute, virulente e inappellabili sentenze.
Questo
tipo di persone è sempre esistito, ma ha tratto particolare impulso
dal consolidarsi dei programmi di “reality”, dove però i pretesi
drammi umani sono invariabilmente costruiti a tavolino e recitati dai
partecipanti.
Non che questo renda la cosa meno sgradevole; trovo
comunque ributtante la strumentalizzazione operata, in quei prodotti di "intrattenimento",
da chi li produce e da chi li consuma; gli uni cinici e profittatori,
gli altri guardoni inqualificabili e onanisti.
La sempre più frequentata arena dei social forum, inoltre, ha offerto una ineguagliabile possibilità di esternare le proprie posizioni e, in questo caso e grazie ai sentimenti particolarmente sollecitati dalla vicenda, tale opportunità è stata sfruttata massivamente e, molto spesso, con grandissima intolleranza verso opinioni divergenti dalle proprie.
Ho provato a seguire alcuni dei roventi dibattiti che si sono sviluppati in questo caso e sono rimasto colpito, anche se non stupito, dalla singolare polarizzazione tra l'adesione assoluta alle considerazioni espresse da chi originava il commento, quest'ultimo peraltro quasi sempre fortemente assertivo e non negoziabile, e l'altrettanto insofferente rigetto di quelle stesse considerazioni.
Non ho provato ad interagire in quel contesto poiché, come si vede, la mia posizione è troppo articolata per trovare adeguata collocazione all'interno del mezzo e comunque, viste le opinioni maggiormente rappresentate e focosamente difese, avrei solo collezionato insulti senza un'adeguata contropartita in termini di dibattito.
Proporrò un link a questo post, ma con esiti incerti ritengo. Anzi no, credo che potrò contare su un certo numero di contumelie.
Mi
si potrebbe obiettare che, a mia volta, ho trovato dei bersagli sui
quali sfogare la mia frustrazione e, in qualche misura, ciò è vero.
Me la sono presa con tutti quelli che, a mio sindacabilissimo
parere, non hanno rispettato la figura del bambino conteso e in
qualche modo, comprensibile o meno, lo hanno strumentalizzato per dar
sollievo alle proprie tensioni.
Non
posso fare nulla per il bimbo, anche se vorrei che le cose stessero
diversamente. Non posso e non voglio entrare nel merito di quello
che è accaduto perché non potrei essere altro che arbitrario e
conseguentemente in errore.
Penso che i diretti interessati
abbiano già sufficientemente complicato la situazione e non vi è
alcun bisogno di aiutarli in questo.
La mia solidarietà ed il mio
affetto vanno incondizionatamente al bimbo perché è l'unica vittima
sicuramente individuabile ed io sarei un uomo scadente, e un pessimo
padre, se non nutrissi questa convinzione.
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