E'
un po' che non alimento questo blog. In parte ciò è avvenuto per
uno strano miscuglio tra crisi di rigetto da frequentazione della
rete ed insorgenza di noiosi problemucci (di non grave entità, ma
persistenti) da frequentazione della burocrazia sanitaria e degli
enti locali.
Si
è anche però verificata una sorta di blocco “valutazionale” di
fronte a due differenti problemi che recentemente hanno occupato la
cronaca. Mi riferisco alla TAV ed alla riforma del mondo del lavoro.
Per
il secondo problema mi riprometto di esprimermi più avanti, quando e
se sarò stato in grado di padroneggiare l'incazzatura al calor
bianco che mi ha causato la visione della solenne noncuranza, per gli
aspetti sociali della riforma, mostrata dai nostri cosiddetti
salvatori. Il governo dei tecnici anche questa volta ha esibito la
sua abituale e glaciale determinazione che già ha caratterizzato il
disastro delle pensioni. Mi sembra, a questo punto, del tutto
evidente che gli esimi professori hanno un concetto di “equità”
piuttosto strabico.
Perché
il Prof. Monti non ha inalberato la stessa petulante e querula
espressione imbronciata, che ci proviene dal suo tour asiatico, in
occasione del coro di distinguo inverecondi seguiti alla sua
timidissima azione su monopoli e liberalizzazioni? Evidentemente, ai
suoi occhi, non tutte le terga sono ugualmente violabili.
Riguardo
alla TAV (e premetto subito che io non
sono contrario), grande è la mia confusione e profonda la mia
frustrazione di fronte alle bordate propagandistiche incrociate delle
due parti. Ascolto le due campane e non riesco a non pensare che
nessuno ce la racconta giusta. Da una parte vedo mobilitati gli
interessi delle imprese, illanguidite dalla prospettiva di lucrosi
appalti, e non riesco a non pensare che il malcostume e la corruzione
hanno costellato la nostra terra di opere la cui utilità – non
sempre assodata – è spesso stata annullata da grottesche
levitazioni di costi e da rovinosi effetti collaterali sull'ambiente.
Dall'altra parte vedo una rigidità manichea ed una compunta
strategia aprioristicamente antagonista, peraltro extraterritoriale
rispetto alla Val di Susa, che si appropria di un contendere per
esercire la propria “giustezza” d'intenti e “bellezza”
d'animo.
Come
sempre avviene in questi casi, le belluinità propagandistiche
assolute proferite dalle parti finiscono con il marginalizzare la
sottostante realtà e, lasciando spazio solo alle estreme
polarizzazioni, uccidono la complessità delle ragioni opposte.
Avviene comunemente infatti che nelle guerre e, generalmente, nelle
contese più accese, le zone di sovrapposizione delle argomentazioni
dei due partiti vengano negate e criminalizzate dagli zeloti degli
opposti schieramenti.
E quando i giusti “senza se e senza ma”
decidono di far vincere la propria visione, quelli che amerebbero
avere certezze, ma riescono solo a nutrire dubbi, vengono
immediatamente additati al pubblico ludibrio e ritenuti più
pericolosi dello stesso nemico dichiarato.
Io,
purtroppo per la mia pace interiore, pur collocandomi per storia
personale e per intimo sentire nel campo progressista, non riesco a
condividere (e neanche a comprendere veramente) la contrarietà
assoluta e pugnace che una parte della sinistra nutre nei confronti
della TAV.
Una
rilettura, anche superficiale, della storia della penisola italiana
dimostra come l'esecuzione dei principali trafori alpini abbia
permesso, a suo tempo, alla nostra nazione di inserirsi
vantaggiosamente nella dinamica degli scambi commerciali europei.
Quelle opere ci consentirono di ovviare da una parte all'isolamento
indotto dalla presenza del formidabile ostacolo alpino e, dall'altra,
alla marginalità delle rotte mediterranee rispetto ai flussi
mondiali. E non si trattò solo di privilegiare un'ottica
mercantilistica; insieme alle merci iniziarono a circolare più
facilmente le idee e, grazie a queste, i processi costitutivi stessi
della nostra nazione ne trassero vigore ed impulso.
Molti
di quei trafori sono ora, a dispetto degli interventi manutentivi e
delle modernizzazioni operabili nei limiti della circostante natura,
inadeguati tecnicamente e funzionalmente, quando non rischiosi nella
loro operatività per vetustà o eccessivo sfruttamento.
E'
stato spesso opposto che la linea ferroviaria già esistente è al
momento sottoutilizzata e che, quindi, la costruzione di un'altra
sarebbe inutile e inutilmente dispendiosa. Questa è una
considerazione valida esclusivamente nel breve termine. Si presume e
si opera perché l'attuale crisi che deprime gli scambi e le economie
venga superata rendendo l'opera necessaria, funzionale e conveniente.
E non sarebbe neanche possibile implementare la linea esistente
senza interrompere i collegamenti per anni, spendere comunque cifre
comparabili o superiori ed ottenere risultati inferiori. Io non
riesco a capire perché si debba sancire la nostra esclusione dal
futuro network europeo condannandoci ad una marginalità da
repubblica caucasica ex-sovietica, priva però di risorse naturali.
Non
capisco neanche perché la possibilità reale di spostare il
transito delle merci da gomma a rotaia debba essere così messa in
secondo piano. Questa perplessità è stata, a suo tempo, espressa
anche da alcuni ambientalisti transalpini. Di loro non ho più
sentito parlare.
Mi
si dice che il materiale di risulta degli scavi sarebbe composto in
gran parte da amianto ed uranio. Questa è una obiezione
formidabile, ma credo che sarebbe stato sufficiente prevedere ed
imporre un adeguato trattamento dei detriti, costituendo un organismo
di vigilanza composto dai valligiani (o da tecnici di loro fiducia)
munito di poteri effettivi e non di semplici funzioni consultive e di
controllo. Questo avrebbe neutralizzato le eventuali furbate delle
imprese costruttrici e le avrebbe responsabilizzate per i loro
intuibili dinieghi dimostrando, se del caso, che il re era nudo.
Io
sono sicuro che c'è stato un tempo, all'inizio di tutto, in cui le
ragioni pro o contro questa infrastruttura sono state più chiare e
lineari. Tale chiarezza è oramai persa e, credo,
irrecuperabile, sotterrata sotto slogan, forzature ed iniziative
volte a negare dignità e valore alle posizioni avverse. In questo
sport nessuno si è risparmiato, né i pro né i contro.
Io
so solo che ritengo necessaria l'esecuzione dell'opera, ma che non
vorrei per questo prevaricare chi abita in prossimità dei cantieri. Mi (e ci) è stata negata la possibilità di valutare serenamente la situazione. Ancora una volta mi (e ci) viene richiesto un arruolamento “a
prescindere” e negata la possibilità di sviluppare ed articolare le nostre considerazioni.
Siamo dei barbari.
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