giovedì 20 giugno 2024

UN TRAGUARDO CHE MI FA PENSARE

Gira sui social la citazione del pensiero dell'ultranovantenne Clint Eastwood sulla vecchiaia, che dice:


Tutti i giorni quando mi alzo non faccio entrare il vecchio.
Il mio segreto è lo stesso dal 1959: tenermi occupato. Non faccio mai entrare il vecchio in casa.
Ho dovuto trascinarlo via perché il ragazzo era già comodamente sistemato, mi dava dolore a tutte le ore, senza lasciarmi spazio per altro che la nostalgia.
Bisogna rimanere attivi, vivi, felici, forti, capaci. Bisogna imparare a non far entrare il vecchio. Quel vecchio che ci aspetta stanco sul ciglio della strada per scoraggiarci.
Non lascio entrare lo spirito vecchio, il critico, ostile, invidioso, quell'essere che scruta nel nostro passato per annodarci di lamentele e angosce remote e di traumi rivissuti o di ondate di dolore.


Il prossimo agosto compirò 70 anni, un traguardo che mi ha quasi preso di sorpresa nonostante tutto, e che segna ai miei occhi il confine netto e brusco tra due stagioni della vita differenti, direi anche tra stati d'animo diversi. La lettura del Clint-pensiero mi ha indotto a ripensare a tutte le mie elucubrazioni sull'età, sul tempo che si consuma e sull'inaggirabile punto d'arrivo che tocca a ciascuno di noi.

L'ultima implicazione, quella della dipartita, onestamente non mi angustia veramente. Nonostante la salute non ineccepibile non credo realmente che sia dietro l'angolo, ma anche fosse, che ci posso fare? Nulla, tranne avere rispetto per il mio corpo e fare in modo di non lasciare troppe cose incompiute o sospese. Lo dico ora che sto relativamente bene, e ovviamente non posso garantire che arrivati al dunque io riesca a mantere lo stesso olimpico distacco, ma per ora è questo ciò che penso.

In tutta la mia vita non ho mai fatto "entrare il vecchio" realmente, neanche quando, da giovane, cercavo di apparire più anziano della mia età, solo per cercare - inutilmente - di farmi prendere sul serio da gente più matura che mi collocava d'ufficio tra i "giovani incapaci".

Sono sempre stato curioso, e infatti credo che la cosa che mi peserà di più quando saprò che è arrivato il mio momento sarà che non saprò mai "come è andata a finire", come si svilupperanno certi processi, se i problemi che appaiono oggi gravi e insolubili saranno affrontati con successo.

Ho seguito un percorso scolastico di tipo tecnico per poi affrontare una vita lavorativa per la quale non avevo alcuna preparazione, autoformandomi più e più volte, sempre riuscendo a esprimere un certo valore, anche se non ho mai raggiunto alcun apice.

Mi sono sempre interessato al funzionamento delle cose, anche a quelle meno "utili", risultando, a detta di mio padre perfino dispersivo, e sono sempre stato affascinato dalle parole e dal loro significato. Ricordo che, studente delle medie, quando dovevo scrivere un tema se aprivo il vocabolario per verificare un termine immancabilmente partivo per un viaggio erratico tra le pagine del corposo tomo, balzando da un sinonimo all'altro, cadendo su parole del tutto estranee alla ricerca iniziale per creare un ramo completamente niovo che mi portava in un altrove che non mi bastava mai. Il nuovo è sempre entrato nella mia vita bene accolto, con una innegabile maggiore fatica gli ultimi anni da lavoratore attivo presso un'azienda che imponeva comportamenti che ritenevo sbagliati. Una volta transitato tra i pensionati mi sono dedicato al volontariato, ho imparato a leggere uno spartito musicale, applicandomi a brani e studi di chitarra classica, e non, per esplorare una tecnica esecutiva che non so se sarà mai decente, ma chi se ne importa, in fondo se una cosa ho imparato è che spesso il viaggio vale più della destinazione dichiarata. Ho selezionato un set di letture ad ampio spettro, che continuo ad incrementare, e sono diventato letteralmente schiavo del tango argentino, un'attività "aerobica" come conviene con grande soddisfazione il mio cardiologo, che coniuga movimento, sensibilità artistica, coordinamento psicomotorio, buona musica e socialità in un tutto di grandissima soddisfazione.

Leggo, su Facebook, quei post che principiano con "noi che...", ascolto le lamentazioni dei miei coetanei che cominciano dichiarando "ai miei tempi" e non riesco a riconoscermi del tutto. Pare che in pochi si ricordino che i loro tempi in fondo sono esattamente come i tempi di tutti i tempi, se mi perdonate il giochetto, con alcune cose buone ed altre cattive, come è sempre stato. Uno dei marescialli che conobbi durante il mio servizio militare era solito ripetere, con sottile arguzia: "l'esercito non è più quello di una volta, e non lo è mai stato", ed aveva ragione. Ascolto quelle recriminazioni e vedo che i più hanno solo nostalgia di un tempo nel quale avevano tutta la vita davanti, molta più voglia di ora di stare al passo coi cambiamenti e la capacità di leggere una realtà che ora li sta lasciando indietro, principalmente perché si ostinano leggerla con le lenti della loro gioventù, cercando fatalmente di infilare pioli quadrati in buchi rotondi. Non che io stesso non faccia confronti tra le stagioni della mia vita, ma quando vi indulgo in genere è solo per riconoscere gli innegabili differenti effetti e dinamiche di fenomeni che, ridotti alla loro essenza, sono in fondo sempre gli stessi, solo declinati ed espressi in scenografie diverse. Ovvio che non possiedo più le potenzialità dei miei vent'anni, e non solo fisicamente, ma dato che ho vissuto a lungo come minimo devo aver maturato la capacità di comprendere chi sono, dove sono, cosa posso fare e la distanza che mi divide dal giovincello inesperto che fui, e capire ed accettare le implicazioni che ne conseguono, che poi è il non fare "entrare il vecchio" che si diceva all'inizio, ovvero far entrare un vecchio che non si cura della sua età, o meglio che non se ne fa un cruccio. C'è un solo argomento nel quale ho spalancato la porta al "vecchio", rimuginando di oggettivi peggioramenti, ed è la politica, con i suoi riflessi nella vita degli individui. Lo so, anche qui in fondo le cose vanno come sono sempre andate, se viste in prospettiva storica, ma lasciatemi dire che in quanto ragazzo del '54 sono cresciuto con l'intimo convincimento che ogni cosa, per quanto deludente potesse essere al momento, era suscettibile di grandi miglioramenti riscontrabili nell'arco di una esistenza umana, e così è stato fino grosso modo all'inizio di questo terribile secolo, quando di colpo siamo precipitati indietro di perlomeno un centinaio di anni nel campo dei diritti e delle aspettative di riuscita personale, mentre redivivi figli di un tempo che credevamo morto e sepolto si industriano per porre le condizioni per ripetere un percorso che costò carissimo ai nostri genitori. Ma in fondo anche queste sono cose già accadute, qui e altrove, oggi e in altri tempi.



lunedì 12 febbraio 2024

"Nemico di classe", anticaglia o categoria vigente?

《Tanti, anche politici, mi candidano a tanti posti in giro per il mondo, mostrando una sollecitudine straordinaria nei miei confronti. Li ringrazio moltissimo, ma vorrei rassicurarli. Se per caso decidessi di lavorare dopo questa esperienza, un lavoro me lo trovo anche da solo》



Palazzo Chigi, conferenza stampa del 11/02/22 - Mario Draghi dixit.



Dalla consultazione dei post degli anni passati, che Facebook mette a disposizione giornalmente, estraggo ciò che espressi in occasione di un mio post sull'esternazione di Draghi
, grondante disprezzo per la classe politica italiana, che ho messo in apertura.

Lo faccio oggi che siamo in un pre-regime che briga per condurci in un ambito presidenzialista con una democrazia recitata, compiendosi una lunga traiettoria che sta portando la "Repubblica nata dalla Resistenza" ad essere la segreteria esecutiva di interessi costituiti, potenti e privati, senza più alcun "laccio o lacciuolo" costituzionale in grado di limitare il potere cesarista che vogliono instaurare.

Commentando quella esternazione utilizzai l'espressione "nemico di classe" per definire l'allora Presidente del Consiglio, cosa che un amico mi rimproverò, addebitandomi di un sentimento veteromarxista fuori tempo massimo.
Quell'amico mi rampognava spesso sia per la mia inossidabile diffidenza verso il PD, uno degli sponsor di Draghi, sia per la mia indisponibilità a quel politicismo un po' straccione che vestiva di accorta sagacia una disposizione all'arretramento da ogni capacità di incidere sulla situazione politica. Oggi il mio amico è un po' meno critico nei miei confronti, non so se per stanchezza o per un riconoscimento delle mie ragioni... che non si ridurrà mai a tributarmi.
Gli risposi, comunque, con irato sarcasmo, che:
mi è in effetti giunta notizia dell'implosione dell'esperienza nota come "socialismo reale", ma non mi risulta che questo abbia comportato anche la fine dell'esistenza delle classi, tuttora vive e in ottima salute, con tutti i guasti che ciò comporta e le gerarchie che le legano e che regolano i rapporti di sfruttamento e le coercizioni connesse tra le componenti sociali.
Tutto quello che è variato è che la "classe vincente", per abbandono dell'avversario, ora ha come unico elemento regolatore la sua stessa inefficienza, a spese di tutti.
L'alfiere comunista sarà pure morto e sepolto, e grazie per avermelo riferito, ché io non mi ero accorto di nulla, teso com'ero ad ordire la vittoria del proletariato in una fumosa cantina della Bicocca, ma ho come l'impressione, sbaglierò di certo, che ciò non abbia reso il "nemico di classe" più bonario, o ragionevole, o meno avido, semmai il contrario, dato che niente gli si oppone più.
Ti dirò anche che tutti gli altri elementi di realtà che hai portato a supporto, un poco fuori contesto e discretamente pleonastici, mi erano già noti, ma ti ringrazio per avermeli fatti notare.
Draghi sarebbe comunque Draghi anche in un paese meno disastrato, perché il contesto agisce sul piano attuativo, ma non sulla strategia.
Detto questo, non posso fare a meno di notare che le mie considerazioni, del tutto contingenti, mi hanno guadagnato sia il rimprovero per essere stato troppo tenero con Draghi, sia un corrosivo perculamento perché sono stato, al contrario, troppo critico, peraltro proprio dopo aver detto che il giudizio di Draghi sulla nostra classe politica è, guarda un po', condivisibile, anche se arriviamo allo stesso punto per strade differenti.
Ho a questo punto la prova provata che non ascoltate altro che voi stessi, ed io ne avrei un po' pieni i cabbasisi.

Uno sfogo il mio forse inutile, ma che mi sento di sottoscrivere anche oggi quando la parabola introdotta nel lontano 2008, con il salto della quaglia piddino e la di poco successiva messa in opera della "necessità di un governo tecnico" crudamente liberista, hanno portato, passo dopo passo, all'insediamento di un governo di estrema destra agito da neofascisti con l'ineluttabilità di un teorema euclideo. Quella parabola, peraltro, non è ancora interamente compiuta e prevede l'instaurazione di un regime d'ispirazione presidenzialista privo dei contrappesi che, altrove, ne temperano gli eccessi.

venerdì 24 novembre 2023

Alexa, per caso sei una IA?

 

Quello della IA è un argomento al momento banalizzato nella forma più pericolosa possibile del processo di volgarizzazione di un pensiero complesso, quella resa possibile, anzi inevitabile, dalla mancata comprensione del fenomeno in questione, portando alla presunta e fallace sensazione di averne penetrato a sufficienza sostanza e implicazioni, cosa invece assai lontana dalla realtà.

Di mio penso di possedere i prerequisiti conoscitivi per essere niente altro che uno spettatore attento, quindi posso al massimo azzardare alcune considerazioni di massima che rappresentano più che altro impressioni.

Credo che al momento l'etichetta di IA sia perlomeno prematura, rispondente più ad imperativi economici e di profitto che a criteri scientifici convenientemente saldi, e che ci si trovi di fronte al massimo a "setacci automatici" di fantastica efficienza e potenza, più "servi" che "padroni" secondo la classificazione, credo turingiana, in voga al momento della faticosa e complessa transizione dalla computazione analogica a quella digitale, con un lungo intermezzo ibrido.

E’ affascinante, quasi inevitabile per chi osserva dall’esterno senza nemmeno un’infarinatura sui principi in azione,  pensare che la capacità di “applicazioni IA” come ChatGPT, un chatbot dotato di apprendimento automatico, sia la manifestazione di una intelligenza arcana, mentre in realtà, e per quanto ne so, si tratta di una forma particolarmente efficiente di processazione di dati già acquisiti, in maniera non difforme concettualmente dal passaggio di pacchi particolarmente voluminosi di schede perforate, cui si aggiunge una molto sofisticata procedura di selezione dei contenuti più conformi al contesto trattato, in base a criteri predefiniti, in grado di mantenere memoria dei propri successi.

Il processo è fantasticamente performante, i risultati, dipendendo dai dati in ingresso, potrebbero però essere deludenti, cosa peraltro già verificatasi quando un prototipo di IA sperimentale è divenuto in poco tempo un becero razzista dal linguaggio violento, dato che la media dei dati in ingresso è risultata intossicata dagli interventi di persone che coltivavano xenofobia e suprematismo come valori di riferimento.
Se di intelligenza umanoide possiamo parlare, e non mi sembra il caso, al massimo saremmo in presenza di una personalità labile, suggestionabile e con bassissima autonomia.

E’ pur vero che ciascuno di noi è in larga parte il prodotto di influssi esterni, ma l’ineffabile inconoscibilità del fenomeno creativo e dell’estrazione da dati esperienziali comuni di determinazioni originali, che non siano la semplice “media” dei dati in ingresso, rimane tuttora percepita, ma non compresa nella sua sostanza.

Premesso che non mi risulta vi sia una definizione unanimemente ritenuta valida di “intelligenza umana”, l'identificazione di cosa possa essere in realtà una "intelligenza artificiale" mi risulta ancor meno concordemente definita e, come quella naturale, variamente contesa da vari rami della conoscenza, che riconoscono la necessità di una inevitabile interdisciplinarietà – filosofia, neurologia, matematica, fisica, ingegneria, psicologia - ma non riescono a concordare su uno schema gerarchico tra queste branche del sapere, e neanche ad astrarsi dalla necessità di concepirla quella gerarchia.

Io non so se in un futuro, non so quanto prossimo, un essere senziente “verrà alla luce” da una rete neurale ultrasofisticata, come lo Skynet di Terminator, e non so se quella mente artificiale ci vedrà necessariamente come un antagonista da eliminare, come un compagno di viaggio da coadiuvare e con cui convivere, o come  un coinquilino di cui non si ha alcun bisogno, dopo essere “nata” grazie ai nostri maneggi, e non so neanche se si tratterà di una sola intelligenza o di una comunità di intelligenze artificiali.  

Non so se quella possibilità sarà la nostra fine o una benedizione, però penso che prima di pensare ai rischi, eventuali, che correremo convivendo con quella entità credo che dovremmo attentamente valutare quelli che stiamo correndo ora, affidandoci più del dovuto a sistemi esperti e ciò che oggi definiamo con troppo ottimismo IA, perché un processo molto efficiente di catalogazione ed ordinamento di dati, senza il supporto di un livello discrezionale la cui elevata raffinatezza è al momento riservata al solo apporto umano, rischia di condurci “automaticamente” verso esisti disastrosi grazie al fatto che in sede di progetto non siamo stati in grado di gestire la complessità e la vastità dei possibili esiti computazionali.

E’ possibile produrre un “libero arbitrio” sintetico? E se sì, quanto sarebbe assimilabile al nostro? Saprebbe intervenire nell’elaborazione, stolida e massiva, dei dati in ingresso e sui risultati decisionali che conseguirebbero sapendo separare una conseguenza “logica” da una “auspicabile” ed operando tra queste una scelta “intelligente”?  E se sì, su quali basi?    

Non lo so e credo che nessuno lo sappia ancora, ma per il momento dobbiamo evitare che ciò che viene definito oggi IA ci fornisca brodi ristretti di medie profondamente dipendenti dalla bontà di ciò che immettiamo all’inizio del processo, perché il vecchio detto informatico “garbage in, garbage out”, ovvero se immetti spazzatura otterrai solo altra spazzatura, è sempre valido, e non abbiamo alcun bisogno di appendere i nostri destini ad un idiota molto veloce ed efficiente.

sabato 11 novembre 2023

La pace è più importante di ogni giustizia; e la pace non fu fatta per amore della giustizia, ma la giustizia per amor della pace. (Martin Lutero)


Non sono più un ragazzino, anzi, quindi dovrei aver capito ormai come funzionano le cose, eppure mi ritrovo, vicino a raggiungere il settimo decennio di vita, a sbattere il muso contro le logiche di intolleranza ed unilateralità che incancreniscono ogni confronto umano, e a meravigliarmene ancora, manco fossi un decenne fresco di catechismo e imbevuto di letture edificanti per l'infanzia.

Successe, recentemente, con il conflitto russo-ucraino, quello che molti credono sia deflagrato il 24 febbraio del 2022, con Putin come unico "villain" d'elezione e col fasullissimo statista in maglietta verde nella parte del buono, mentre in realtà in quelle terre si ammazzavano innocenti da molto prima, nel disinteresse totale di tutti gli indignati svegliatisi al suono delle trombe atlantiste.

Da subito mi resi conto che non vi era alcuno spazio per una valutazione indipendente dei fattori che portarono morte e distruzione in quelle terre, e che le logiche manicheistiche, interessate ed ipocrite, prevalevano su tutto sia in virtù della spudorata propaganda cui venimmo immediatamente sottoposti, sia perché a fronte di processi complessi e contraddittori le semplificazioni interessate sono un balsamo efficace per gestire la confusione che ci affatica nel contemplare le umane cose, a prezzo ovviamente del disprezzo per le realtà sottostanti.

Accadde, a suo tempo, con la Siria, e prima ancora con la tragedia sanguinosissima balcanica e, in linea di massima, con ogni tipo di contrasto che insanguina cronicamente i troppi teatri di crisi sparsi per il mondo.

Ovunque vi siano contenziosi di lungo corso si originano fazioni estremistiche e settarie, che non intendono concedere alcuno spazio di contrattazione all'avversario e che affastellano provocazioni, uccisioni e sopraffazioni che appaiono galleggiare in uno spazio senza tempo e con cause originanti a propria esclusiva discrezione, così da giustificare ogni nefandezza in base a fattori scatenanti il cui punto d'inizio è ipocritamente stabilito in base alle proprie ragioni, risultando quelle dell'avversario speciose e false, ovviamente.

Questo schema si è recentemente intensificato in Terrasanta, una terra devastata da quelle logiche già da prima della costituzione dello stato d'Israele, nel 1948, con l'esecrabilissima "operazione Tempesta Al Aqsa", un attacco terroristico eseguito con l'abituale efferatezza di Hamas.   Una sanguinosa provocazione di cui molto prevedibilmente ne avrebbero fatte le spese non solo i bersagli umani israeliani, ma anche, e a questo punto soprattutto, i civili palestinesi, esseri umani che vivono da tempo compressi tra il potere sostanzialmente dittatoriale della formazione islamista e la protervia di uno stato, quello israeliano, che pare al servizio esclusivo della sua componente oltranzista che da decenni sta occupando terre con supremo disprezzo delle numerose e inascoltate risoluzioni ONU.

Anche in questo caso le due parti, ed i loro simpatizzanti al sicuro nei loro lontani paesi, si affannano a giustificare o condannare atrocità che si vendono a tre soldi il mazzo ricorrendo a "considerazioni oggettive" notevoli soprattutto per la loro conveniente estraneità alla profondità temporale del processo in atto.

Nulla è abbastanza indecente da non venir strumentalizzato, da una parte un antisemitismo a prescindere, con tanto di strumentalizzazione dei milioni di morti della Shoa, dall'altra un islamismo peloso e fuori tempo massimo, seppellito nei fatti dalle convenienze dei ras petroliferi e dei loro giochi geostrategici.
Una delle ragioni che hanno infatti "motivato" Hamas a scatenare la penultima mattanza (l'ultima è il massacro dei civili della striscia) è stato il desiderio iraniano di sabotare il processo di normalizzazione che stava prendendo corpo tra Israele e gli emirati arabi, che avrebbe di fatto accentuato l'isolamento del regime di Teheran.

Veniamo tirati per la giacchetta a prendere partito con la ferale e schifosissima formula del "senza se e senza ma", che tanti danni ha sempre fatto, ma io intendo prendere partito solo per le vittime innocenti che stanno dalle due parti di un muro che è tanto fisico quanto morale, e intollerante nella sua mortale consistenza.

Da quando Hamas ha scatenato Tempesta Al Aqsa ho dapprima contemplato ogni tipo di esternazione in proposito da parte dei miei amici e contatti social, e l'ho fatto con molto disagio per la prevalenza di una partigianeria, da ambo le parti, che di quei civili massacrati alla fine non tiene gran conto, quasi dandoli per scontati, dovuti e, nei casi peggiori, meritevoli delle loro disgrazie per un "appoggio oggettivo" ad uno dei contendenti, come se se da quelle parti un singolo potesse esimersi facilmente dall'aderire, almeno formalmente, all'imperio di due regimi nemici, ma "affratellati" dalla stessa intolleranza.

Inizialmente mi ero imposto il silenzio, sapendo che non avrei avuto spazio per esprimere la mia distanza dalle ragioni "ufficiali" dei due contedenti. Quando poi, soverchiato moralmente da ciò che stava accadendo, ho affidato ai social la mia opinione, relativamente poche sono state le manifestazioni di vicinanza, e molte di più le bastonate verbali da parte dei supporter dei due schieramenti, per i quali sono una sorta di ipocrita portatore di opportunistica ignavia. E così mi ritrovo, ancora una volta, ad essere il classico "cane in chiesa", a venire tacciato di antisemitismo da una parte e di contiguità col terrorismo dall'altra, e oggi, da un vecchio amico che mi ha sorpreso(?) con una consapevole parzialità, di colpevole inanità a quanto pare.

Ne ho abbastanza. Ciò che vorrei è prendere le distanze dai condizionamenti che, dalle due parti, hanno creato le logiche di morte e sopraffazione che vigono in quella terra, pare però che non sia concesso a nessuno di farlo. Ora io posso anche incassare critiche e insulti, ci sono abituato e a risentirne, brevemente, è solo il mio amor proprio, ma tutta quella gente, tutta, araba o israeliana che sia, che sta subendo ogni sevizia, morale e fisica, non se la può cavare così facilmente. Siamo sicuri che basti sputare sentenze da qui, confortevolmente lontani da bombe e terrore eletto a sistema di vita? Non dovremmo forse lasciar cadere rivendicazioni che ormai si legittimano e squalificano a vicenda, portando "l'indice della giustezza morale" su un inutile nulla, e cercare prima di tutto di fermare la macina dell'instancabile morte che gira alacremente da decenni in quella terra disgraziata?

venerdì 8 settembre 2023

Le batterie per autotrazione sono un costoso vicolo cieco.

A mio modesto avviso le macchine elettriche, così come ce le stanno proponendo, NON sono la risposta più adeguata ai problemi ambientali, sono solo la risposta più pronta che l'industria aveva convenienza a dare.

La tecnologia della trazione elettrica non è certo innovativa quanto ci danno ad intendere, dato che il primo veicolo a trazione elettrica risale alla prima metà dell'Ottocento.


Se fate una veloce ricerca su Google potete vedere che vi sono molte discordanze circa la data precisa, il costruttore o il paese che tenne a battesimo la nascita della prima auto elettrica, ma tutti i link la collocano in quella ormai piuttosto lontana finestra temporale.

Il problema della trazione elettrica è sempre stato il costo, peso e durata delle batterie, nonchè della densità di carica delle stesse rispetto al peso, con conseguenti e sconvenienti ricadute su autonomia e ricarica, ovvero sull'economia generale degli spostamenti.

E' una disdetta che tale limite vanifichi le potenzialità del motore elettrico, perché la sua convenienza la vediamo, per esempio, nei mezzi destinati alla movimentazione di carichi pesanti, ingombranti e per lunghe distanze, segnatamente navi e treni a trazione diesel-elettrica, nei quali potenti motori a combustione interna azionano generatori che forniscono energia elettrica destinata a far muovere senza inutili dispersioni di potenza quei mezzi senza complicati , pesanti e spesso delicati congegni atti a gestire la parzializzazione ed utilizzo della potenza prodotta .

Il fatto è che un serbatoio di idrocarburi consente una maggiore densità di energia e minore peso e dimensioni, nonchè più veloce ed efficiente "ricarica", rispetto ad una batteria elettrica di capacità comparabile.    L'industria automobilistica non ha quindi fatto altro che prendere una tecnologia già relativamente matura, accoppiarla  ad un altrettanto ben avviato stato dell'arte della meccatronica, e sfornare un prodotto variamente rifinito che, sostanzialmente, non prevedesse costi troppo elevati di ricerca e sviluppo, dopodiché ha sfornato veicoli in ogni modo troppo costosi rispetto allo sforzo, conteggiando il peso di un'attività di ricerca non così elevata quanto preteso.

In questo cointesto la proposta dell'auto ibrida non è che una sorta di "ponte" tra un presente occupato dal motore a combustione interna, per estrarre fino all'ultimo centesimo di margine possibile da prodotti obsolescenti, ed un futuro di macchine elettriche... ed un problema appena dietro l'angolo di smaltimento di montagne di batterie esauste ed esaurimento di terre rare, perlopiù estratte da paesi economicamente depressi nei quali rapaci corporation schiavizzano popolazioni alla fame mediante il foraggiamento di compiacenti e corrotti funzionari locali.

Da un punto di vista strettamente meccanico ed ingegneristico la trazione elettrica è enormemente superiore a quella dei motori a combustione, sia in termini di semplicità che prestazionali e di tipo costruttivo, quindi la soluzione sarebbe di trovare una fonte di alimentazione, a bordo del mezzo, dalle caratteristiche operative di un vecchio serbatoio di carburante.

Ebbene una possibile risposta a questa esigenza sarebbe già disponibile, per quanto ancora da affinare, e consiste nell'utilizzo della tecnologia delle celle a combustibile, un dispositivo elettrochimico in grado di generare energia elettrica da conversione di energia chimica mediante un processo a temperatura costante in cui l’idrogeno viene combinato con l’ossigeno, ottenendo come "scarto" acqua in luogo di gas di scarico.

Il principio, in sé, non è meno "stagionato" dell'auto elettrica, essendo stato scoperto nel 1839 in Gran Bretagna, dal fisico inglese William Grove. 
La sua ingegnerizzazione però dovette attendere un secolo perchè le varie componenti venissero affinate abbastanza per dar seguito a qualche utilizzo fuori del contesto meramente sperimentale, rimanendo però gli impianti relativi poco pratici e non particolarmente efficienti.

E' solo negli anni '60 che, sulla potente spinta delle esigenze dei programmi aerospaziali, si sono investiti fondi ed energie per ottenere celle in grado di produrre energia elettrica per l'alimentazione degli impianti delle capsule Gemini ed Apollo per la durata delle loro missioni.

Successivamente, per necessità legate al comparto militare, in particolare l'alimentazione dei motori elettrici di sommergibili convenzionali allo scopo di ridurre i tempi di navigazione in emersione per la ricarica delle batterie, nei quali i battelli risultano estremamente vulnerabili, sono stati perfezionati impianti affidabili e performanti, sebbene troppo voluminosi per un impiego nell'automotive.

Lo stato dell'arte, ed un programma di ricerca e sviluppo non ancora ben foraggiato, hanno comunque reso concretamente perseguibile lo sviluppo di celle a combustibile abbastanza contenute da poter essere installate su un'autovettura fornendo prestazioni, autonomia e tempi di rifornimento sostanzialmente comparabili con quelli delle vetture con motori a combustione interna.

Cosa manca per arrivarci?  Più o meno i soldi che il settore automotive non ha voluto investire, per andare piuttosto sul sicuro con le batterie elettriche che diverranno presto un problema e che pongono più limiti che soluzioni.

Poi, ovviamente rimane il problema di come produrre l'idrogeno necessario al funzionamento delle celle a combustibile, perché se per ottenerlo usiamo fonti fossili allora non abbiamo risolto nulla, ma questa è un'altra storia, risolvibile, ma solo se lo si vuole.

In fondo a tutto mi sento di dover aggiungere che, comunque, i problemi ambientali e climatici, generati da cause antropiche, non si potranno affrontare e risolvere agendo solo sul fronte tecnologico.   Molto più importante sarà intervenire ANCHE sulle nostre abitudini e sul modello di mobilità individuale e collettiva, nonchè sulle esigenze che le generano e le rendono necessarie, una considerazione che, mi sa, non gode di molto favore, perché comporta una riformulazione completa e radicale del nostro modo di vivere, cosa che in troppi rigettano senza pensarci troppo, coi risultati che vediamo


martedì 21 marzo 2023

“Vado matto per i piani ben riusciti!” [John "Hannibal" Smith]

Se qualcuno, a suo tempo, rimase interdetto per la precipitosa ritirata USA dall'Afghanistan, senza preavviso o ragioni immediatamente riconoscibili, lasciando in modo assolutamente prevedibile un paese in mano agli stessi talebani che furono la causa nominale dell'invasione americana (ops, a quanto pare c'è invasione ed invasione), ebbene direi che il quasi immediatamente successivo precipitare della questione ucraina può fornire qualche motivazione per quella ignominiosa ritirata: gli USA avevano bisogno di concentrarsi su un nuovo capitolo geostrategico.     

"Aggiustato" il fenomeno islamico, più o meno (o quanto basta), era arrivato il momento di dedicarsi al contenimento della Cina, silenziosamente arrembante ed inarrestabile, passando attraverso la destabilizzazione del gigante russo, che con il "paese di mezzo" pechinese ha una smisurata linea di confine.

Indurre la frantumazione della federazione russa in sparse sottounità fatte di signori della guerra in possesso di alcune testate nucleari, o perlomeno causare un "regime change" nel Cremlino, favorendo l'avvento di un nuovo satrapo più "western oriented", avrebbe conferito alla Cina un ingombrante problema confinario che l'avrebbe disturbata nella silenziosa ed inarrestabile scalata verso la supremazia economica che stava inseguendo.

In Ucraina già da tempo, circa un decennio o poco più, gli USA avevano nel frattempo  cominciato a "preparare" il terreno mediante Maidan, favorendo l'avvento di un revanscismo nazionalista di matrice neonazista che alimentò una guerra civile di stampo etnico a danno dei russofoni degli oblast orientali.

Era arrivato il momento di indurre nei moscoviti la necessità/opportunità (perché comunque il Cremlino ha una sua tendenza imperialista) di una risposta muscolare, per cui era necessario non avere risorse impegnate in buchi mediorientali privi di prospettive.
L'aggressività di Kiev venne alimentata con una dieta ipercalorica di promesse di aiuto e incitazioni ad un riscatto nazionalista ammantato di virtuosa affermazione del bene sul male.       Il gioco di provocazioni e reazioni scivolò sugli oliati binari dell'automatismo strategico pavloviano e ciò che "doveva succedere" successe.

Si potrebbe obiettare che offrire alla Cina la possibilità di sconfiggere un ipotizzato frammento siberiano della fu federazione moscovita, militarmente debole ancorchè in possesso di qualche testata, ma detentore di rilevanti risorse minerarie e naturali, non sia esattamente una pensata strategicamente ineccepibile, ma stiamo parlando di americani, cioè di gente inadatta a pensare in termini autenticamente e sagacemente strategici, una nazione che "sistema" i problemi  dell'oggi creandone di più grossi domani, come fa fin dalla sua indipendenza dalla corte britannica di re Giorgio III.

Comunque sia ora il sanguinario confronto è in atto.   Il prezzo più elevato lo stanno pagando gli ucraini di ogni tipo, seguiti dalle truppe russe, mercenarie o meno che siano (il gruppo Wagner non è meno esecrabile dell'americanissima Academi, la ex Blackwater, ma la cosa viene opportunamente dimenticata), mentre gli USA al momento si limitano a soffiare sul fuoco, a incitare a combattere "fino all'ultimo ucraino" e a impastoiare le potenzialità europee disgregando la coerenza politica UE e inducendo Bruxelles a dissipare la propria ricchezza in spese militari a vantaggio dei progetti imperiali statunitensi.

Tutto bene e secondo i piani?  Non proprio! E' difficile per noi europei  renderci conto di quanto i progetti americani stiano faticando ad affermarsi, perché la nostra sedicente "informazione" non ha mai neanche tentato di essere imparziale e distaccata, risultando anzi spudoratamente di parte e grottescamente propagandistica, ma le cose a livello globale non stanno andando come ce la raccontano.

La Cina, che vanta un'antichissima sapienza diplomatica e ragiona da millenni in prospettiva storica, non ha mai cessato di offrire alla Russia un punto d'appoggio ed uno sfogo commerciale, mentre una parte rilevante delle nazioni detentrici di risorse naturali e materie prime si rifiuta ostinatamente di aderire alle sanzioni contro la Russia, rendendo il presunto "cinturamento" dell'economia russa più una pretesa che un fatto compiuto.

Il quadro generale delle alleanze USA è alquanto instabile.      Alleati ritenuti affidabili cominciano a progettare un futuro nel quale Pennsylvania Avenue potrebbe perdere il posizionamento di favore attuale.  L'Arabia Saudita apre alla Siria del filorusso Al Assad, il sultano Erdogan gioca il ruolo di intermediario rifiutandosi di fare il "piazzista" di Foggy Bottom e la Cina si fa latrice di un progetto di pace che solo gli USA e la serva Europa si ostinano a non prendere in considerazione.

Il Corriere della Sera riporta degli incontri tra Xi Jinping e Putin.  Il presidente russo dichiara:  "valutiamo il piano di pace cinese", e Biden ribatte, molto prontamente: "diremmo no ad una richiesta di cessate il fuoco dalla Cina ora".    Nessuno chiede cosa ne pensino gli ucraini, non le marionette governative, ma quelli che vivono precariamente schivando bombe e proiettili, dato che le loro prevedibili risposte non sarebbero gradite, ammesso e per nulla concesso che i vari battaglioni della morte zelenskyani consentano una libera espressione.

Qui da noi qualcuno, in un thread social, si chiede:

 "ma perché Biden dice 'sta cosa? Il cessate il fuoco dovrebbe essere chiesto agli USA?"

e qualcuno gli risponde:

"no, ma gli USA rispondono per tutti, nel caso qualcuno 'sbagliasse' risposta".

Un botta e risposta che delinea abbastanza chiaramente un intreccio di relazioni che non è quello che viene spacciato ufficialmente, ma che emerge abbastanza chiaramente dalla nebbia delle frescacce che ci raccontano. 


sabato 18 marzo 2023

Lo scopo confessato della propaganda è persuadere e non illuminare... la propaganda è sempre un tentativo di asservimento. [Simone Veil]

Vladimir Putin, il satrapo moscovita, è stato colpito da un mandato d’arresto spiccato dalla Corte penale internazionale (Cpi) con l’accusa di deportazione illegale di "popolazione" (bambini) e di trasferimento illegale degli stessi dalle zone occupate dell'Ucraina verso la Federazione Russa.
Si tratta di un atto che in sostanza obbliga tutti i 123 Paesi del mondo che riconoscono quella Corte, inclusi i 27 Stati membri dell’Ue, a privare della libertà il leader del Cremlino qualora dovesse mettere piede in una di queste nazioni.

La cosa ha diversi aspetti grotteschi.  Il primo è che tra i paesi che non hanno ratificato il Trattato di Roma che istituì la Corte vi sono la Russia stessa, Israele, il Sudan e gli ispiratori ed istigatori del provvedimento, gli Stati Uniti, che certamente non possono rivendicare mani pulite ed anime candide per i numerosi misfatti compiuti, in proprio e per interposto fantoccio, nel loro interesse in ogni parte del globo.   D'altra parte perché mai avrebbero dovuto ratificare uno strumento che potrebbe metterli, con molte ragioni, sotto accusa?

Se dunque Putin si recasse a Washington i suoi più feroci oppositori non potrebbero fare altro che ospitarlo senza alcun modo di agire quel mandato, perlomeno legalmente, emesso per una presunta "deportazione" che, ad una lettura meno maliziosamente interessata, potrebbe perfino essere ritenuta un'iniziativa umanitaria.

Assurdo?   Non troppo dato che gran parte di quei bambini sono, mi risulta, degli "ucraini di serie B", ovvero appartenenti a quella parte di popolazione russofona che per un decennio ha subito, nel disinteresse totale dell'Occidente che oggi alimenta le fiamme del conflitto, le sevizie di un governo ucraino dedito alla pulizia etnica.     I bambini di cui si lamenta la deportazione sono gli stessi che Kiev ha bombardato per anni, ma ora vengono buoni per chiudere Putin nell'angolo.

Per lunghi e tormentatissimi anni le formazioni paramilitari neonaziste di Kiev, integrate nel dispositivo militare nazionale, hanno bombardato, seviziato, sequestrato e massacrato senza che dalle capitali europee, oggi così solerti nel condannare gli eccidi di Buča e Mariupol e celebrare la "resistenza all'Azovstal", venisse nemmeno un fiato, un sopracciglio alzato, un'iniziativa per risollevare le sorti di popolazioni condannate al martirio per il solo fatto di sentirsi troppo contigue al sentire russo.

I russi hanno spostato quei bambini in luoghi più sicuri, sottraendoli ad un inferno di morte e tormenti fisici, psicologici e morali?   E meno male, mi viene da dire.
No, Putin ha commesso molti misfatti, ma quello per cui è stato emesso il mandato non è, verosimilmente, tra quelli di cui dovrebbe rispondere, però ha il pregio di essere emotivamente remunerativo quando glielo contesti.     Il fatto che la Corte non abbia preso in considerazione altri crimini è certamente dovuto al fatto che gli accusatori, per altri delitti, non avrebbero potuto rivendicare alcuna innocenza. 

Il fatto è che nonostante il mondo sia pieno zeppo di leader di ogni declinazione politica cui possono essere tranquillamente contestati crimini anche più efferati di quello speciosamente attribuito a Putin, che pure ha molto di cui rispondere, quei leader dormono sonni tranquilli, del tutto sicuri che nessuno penserà mai di sottoporli ad identico trattamento, perché stanno dalla "parte giusta" del confronto geostrategico tra Russia, USA e Cina, o quantomeno non è ancora venuto il momento di toglierli di mezzo.

Questo mandato, nella sua evidente proditorietà, è destinato a rimanere lettera morta in realtà, il che aggiunge alla sua strumentalità un carico di svergognato cinismo, ma è stato emesso nel quadro di un'azione diplomatica e propagandistica spudorata, un costante florilegio di condizionamenti cui siamo sottoposti da molto tempo e in totale spregio del nostro diritto di conoscere la verità, o perlomeno di avere accesso a tutti gli elementi atti alla formazione di un giudizio autonomo sui fatti.

Non so voi, ma io sono molto stanco dello scarso rispetto che ci stanno dimostrando, tra l'altro mentre si gioca coi fiammiferi nel bel mezzo della polveriera.

P.S.  lo sapete chi altri non riconosce la Corte penale internazionale?
Esatto! L'Ucraina.