Gira sui social la citazione del pensiero dell'ultranovantenne Clint Eastwood sulla vecchiaia, che dice:
Tutti i giorni quando mi alzo non faccio entrare il vecchio.
Il mio segreto è lo stesso dal 1959: tenermi occupato. Non faccio mai entrare il vecchio in casa.
Ho dovuto trascinarlo via perché il ragazzo era già comodamente sistemato, mi dava dolore a tutte le ore, senza lasciarmi spazio per altro che la nostalgia.
Bisogna rimanere attivi, vivi, felici, forti, capaci. Bisogna imparare a non far entrare il vecchio. Quel vecchio che ci aspetta stanco sul ciglio della strada per scoraggiarci.
Non lascio entrare lo spirito vecchio, il critico, ostile, invidioso, quell'essere che scruta nel nostro passato per annodarci di lamentele e angosce remote e di traumi rivissuti o di ondate di dolore.
Il prossimo agosto compirò 70 anni, un traguardo che mi ha quasi preso di sorpresa nonostante tutto, e che segna ai miei occhi il confine netto e brusco tra due stagioni della vita differenti, direi anche tra stati d'animo diversi. La lettura del Clint-pensiero mi ha indotto a ripensare a tutte le mie elucubrazioni sull'età, sul tempo che si consuma e sull'inaggirabile punto d'arrivo che tocca a ciascuno di noi.
L'ultima implicazione, quella della dipartita, onestamente non mi angustia veramente. Nonostante la salute non ineccepibile non credo realmente che sia dietro l'angolo, ma anche fosse, che ci posso fare? Nulla, tranne avere rispetto per il mio corpo e fare in modo di non lasciare troppe cose incompiute o sospese. Lo dico ora che sto relativamente bene, e ovviamente non posso garantire che arrivati al dunque io riesca a mantere lo stesso olimpico distacco, ma per ora è questo ciò che penso.
In tutta la mia vita non ho mai fatto "entrare il vecchio" realmente, neanche quando, da giovane, cercavo di apparire più anziano della mia età, solo per cercare - inutilmente - di farmi prendere sul serio da gente più matura che mi collocava d'ufficio tra i "giovani incapaci".
Sono sempre stato curioso, e infatti credo che la cosa che mi peserà di più quando saprò che è arrivato il mio momento sarà che non saprò mai "come è andata a finire", come si svilupperanno certi processi, se i problemi che appaiono oggi gravi e insolubili saranno affrontati con successo.
Ho seguito un percorso scolastico di tipo tecnico per poi affrontare una vita lavorativa per la quale non avevo alcuna preparazione, autoformandomi più e più volte, sempre riuscendo a esprimere un certo valore, anche se non ho mai raggiunto alcun apice.
Mi sono sempre interessato al funzionamento delle cose, anche a quelle meno "utili", risultando, a detta di mio padre perfino dispersivo, e sono sempre stato affascinato dalle parole e dal loro significato. Ricordo che, studente delle medie, quando dovevo scrivere un tema se aprivo il vocabolario per verificare un termine immancabilmente partivo per un viaggio erratico tra le pagine del corposo tomo, balzando da un sinonimo all'altro, cadendo su parole del tutto estranee alla ricerca iniziale per creare un ramo completamente niovo che mi portava in un altrove che non mi bastava mai. Il nuovo è sempre entrato nella mia vita bene accolto, con una innegabile maggiore fatica gli ultimi anni da lavoratore attivo presso un'azienda che imponeva comportamenti che ritenevo sbagliati. Una volta transitato tra i pensionati mi sono dedicato al volontariato, ho imparato a leggere uno spartito musicale, applicandomi a brani e studi di chitarra classica, e non, per esplorare una tecnica esecutiva che non so se sarà mai decente, ma chi se ne importa, in fondo se una cosa ho imparato è che spesso il viaggio vale più della destinazione dichiarata. Ho selezionato un set di letture ad ampio spettro, che continuo ad incrementare, e sono diventato letteralmente schiavo del tango argentino, un'attività "aerobica" come conviene con grande soddisfazione il mio cardiologo, che coniuga movimento, sensibilità artistica, coordinamento psicomotorio, buona musica e socialità in un tutto di grandissima soddisfazione.
Leggo, su Facebook, quei post che principiano con "noi che...", ascolto le lamentazioni dei miei coetanei che cominciano dichiarando "ai miei tempi" e non riesco a riconoscermi del tutto. Pare che in pochi si ricordino che i loro tempi in fondo sono esattamente come i tempi di tutti i tempi, se mi perdonate il giochetto, con alcune cose buone ed altre cattive, come è sempre stato. Uno dei marescialli che conobbi durante il mio servizio militare era solito ripetere, con sottile arguzia: "l'esercito non è più quello di una volta, e non lo è mai stato", ed aveva ragione. Ascolto quelle recriminazioni e vedo che i più hanno solo nostalgia di un tempo nel quale avevano tutta la vita davanti, molta più voglia di ora di stare al passo coi cambiamenti e la capacità di leggere una realtà che ora li sta lasciando indietro, principalmente perché si ostinano leggerla con le lenti della loro gioventù, cercando fatalmente di infilare pioli quadrati in buchi rotondi. Non che io stesso non faccia confronti tra le stagioni della mia vita, ma quando vi indulgo in genere è solo per riconoscere gli innegabili differenti effetti e dinamiche di fenomeni che, ridotti alla loro essenza, sono in fondo sempre gli stessi, solo declinati ed espressi in scenografie diverse. Ovvio che non possiedo più le potenzialità dei miei vent'anni, e non solo fisicamente, ma dato che ho vissuto a lungo come minimo devo aver maturato la capacità di comprendere chi sono, dove sono, cosa posso fare e la distanza che mi divide dal giovincello inesperto che fui, e capire ed accettare le implicazioni che ne conseguono, che poi è il non fare "entrare il vecchio" che si diceva all'inizio, ovvero far entrare un vecchio che non si cura della sua età, o meglio che non se ne fa un cruccio. C'è un solo argomento nel quale ho spalancato la porta al "vecchio", rimuginando di oggettivi peggioramenti, ed è la politica, con i suoi riflessi nella vita degli individui. Lo so, anche qui in fondo le cose vanno come sono sempre andate, se viste in prospettiva storica, ma lasciatemi dire che in quanto ragazzo del '54 sono cresciuto con l'intimo convincimento che ogni cosa, per quanto deludente potesse essere al momento, era suscettibile di grandi miglioramenti riscontrabili nell'arco di una esistenza umana, e così è stato fino grosso modo all'inizio di questo terribile secolo, quando di colpo siamo precipitati indietro di perlomeno un centinaio di anni nel campo dei diritti e delle aspettative di riuscita personale, mentre redivivi figli di un tempo che credevamo morto e sepolto si industriano per porre le condizioni per ripetere un percorso che costò carissimo ai nostri genitori. Ma in fondo anche queste sono cose già accadute, qui e altrove, oggi e in altri tempi.